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«Tutte le volte che volevo.» Lo fissa.

«Tutti i giorni, per andare al campo?»

«Quando mi pareva.» Lo fissa imperturbabile, ma con una luce rabbiosa negli occhi.

«Ti ricordi quando l’hai presa l’ultima volta?»

«Non lo so. Prima di stare male.»

«Prima che ti venisse l’influenza, intendi dire? E cioè? Due settimane fa?»

«Non lo so.» Sta opponendo resistenza. Benton sa che non gli dirà più niente a proposito della Ferrari ed evita di insistere, perché anche le resistenze e le difese hanno un loro significato.

Benton è bravo a capire ciò che non viene detto e Henri gli ha ribadito che poteva prendere la Ferrari tutte le volte che voleva, che faceva una bella figura quando la guidava e che questo le piaceva perché ama attirare l’attenzione. Henri adora essere al centro dell’universo, creatrice di caos, protagonista di drammi folli. Anche solo per questo, viene spontaneo pensare che si sia inventata tutto e nessuno abbia mai tentato di ucciderla. Ma non è vero: l’aggressione è avvenuta sul serio. È questa la cosa strana: quel dramma, assurdo e pericoloso, è reale e Benton ha paura per Lucy. È sempre stato preoccupato per lei, ma adesso lo è in maniera particolare.

«Con chi parlavi prima al telefono?» Henri ritorna sull’argomento. «Rudy sente la mia mancanza? Mi sarei dovuta mettere con lui. Ho perso troppo tempo.»

«Vogliamo riprendere il discorso dei limiti, Henri?» dice Benton e ripete le stesse cose che ha già detto il giorno prima e quello prima ancora, quando ha scritto quegli appunti sul blocco.

«Va bene» replica Henri dal fondo delle scale. «Ha chiamato Rudy. Non me lo vuoi dire, ma era lui.»

6

L’acqua scorre nei lavandini e i medici osservano le radiografie mentre Kay Scarpetta si china a osservare la profonda ferita sul volto dell’uomo investito dal trattore. Ha il naso quasi staccato.

«Controlliamo i livelli di alcol e co» dice a Fielding, che è dall’altra parte del tavolo di acciaio inossidabile su cui è disteso il cadavere.

«A cosa pensi?»

«Non sento odore di alcol e il colorito non è rosso ciliegia, ma penso sia meglio andare sul sicuro. Questi sono casi rognosi, Jack.»

Ted Whitby ha ancora i pantaloni verde oliva indosso, sporchi di terra e squarciati all’altezza delle cosce. Ne escono carne e frammenti di osso. Il trattore lo ha investito poco dopo che Kay Scarpetta l’ha visto. Pochi minuti, forse cinque, dopo che lei ha svoltato. È sicura che Ted Whitby sia l’operaio che ha notato nel cantiere. Cerca di scacciare quel ricordo, che però continua a perseguitarla: lo vede lì, davanti all’enorme trattore, che traffica con il motore.

«Ehi, tu» dice Fielding a un ragazzo con la testa rasata che probabilmente è un militare di Fort Lee. «Come ti chiami?»

«Bailey.»

Kay Scarpetta si guarda in giro e vede altri ragazzi e ragazze in camice, cuffia e copriscarpe, probabilmente militari che stanno facendo uno stage. Si chiede se sono destinati a partire per l’Iraq. Pensa alle divise verdi dell’Esercito e poi a Ted Whitby, rimasto ucciso sotto il proprio trattore.

«Sia gentile con quelli delle pompe funebri, Bailey: gli ricucia la carotide» dice Fielding brusco. Kay Scarpetta non può fare a meno di pensare che quando lavorava con lei non era così sgarbato. Non usava quei toni supponenti e non era ipercritico.

Bailey è mortificato. Resta con il braccio destro tatuato a mezz’aria. Ha fra le dita un lungo ago ricurvo con un filo di cotone del numero sette e sta aiutando un inserviente a suturare l’incisione a Y di un cadavere che è stato sottoposto ad autopsia prima della riunione di quella mattina. Toccherebbe all’inserviente, e non a lui, ricucirgli la carotide. Kay prova compassione per il povero Bailey e pensa che, se ci fosse ancora lei a dirigere l’istituto, riprenderebbe Fielding per i suoi modi sgarbati.

«Sissignore» risponde Bailey con la faccia preoccupata. «Stavo proprio per farlo, dottore.»

«Davvero?» lo prende in giro Fielding. Tutti sentono. «Sai perché si ricuce la carotide?»

«Veramente no.»

«Per gentilezza» spiega Fielding. «Si passa un filo intorno ai vasi sanguigni più importanti in maniera che gli imbalsamatori non debbano fare troppa fatica a trovarli. È un gesto di cortesia.»

«Ho capito.»

«Per la miseria, guarda cosa mi tocca sopportare!» borbotta Fielding. «E tutto perché il capo lascia entrare qui dentro cani e porci… L’hai mai visto fare un’autopsia?» Prende una serie di appunti su una cartellina. «Io no. È qui da quattro mesi e non è mai entrato in sala autopsie. Figuriamoci se si degna. Ah, e poi, se hai notato, ama farsi aspettare. Ci prova gusto. Immagino che nessuno ti avesse descritto il personaggio. Se me lo avessi chiesto, ti avrei messo in guardia.»

«Sì, avrei dovuto chiamarti» dice Kay Scarpetta, guardando cinque persone che cercano di spostare una donna obesa da una lettiga al tavolo di acciaio. Dal naso e dalla bocca le colano dei liquidi. «Mai visto un pannicolo adiposo tanto spesso» prosegue, indicando l’enorme pancia della donna. Lo fa per cambiare discorso, perché non vuole parlare del dottor Marcus in sala autopsie, in mezzo a gente che lo conosce.

«Così me ne sono dovuto occupare io» si lamenta Fielding, riferendosi a Gilly Paulsson. «Sua altezza non effettua autopsie e gli altri hanno capito subito che si trattava di un caso difficile e si sono volatilizzati. Un caso bello tosto, te lo dico io. Il primo, da quando è arrivato lui. Oh, senti, non fare quella faccia, dottoressa» dice rivolto a Kay Scarpetta. Su sua richiesta, le dà del tu, ma continua a chiamarla dottoressa. «Non ci ascolta nessuno, e comunque non me ne frega niente. Hai programmi per questa sera?»

«Pensavo che potremmo cenare insieme» risponde lei. Lo aiuta a togliere gli scarponi da lavoro di pelle a Whitby, slacciando le stringhe sporche. Il morto non si è ancora irrigidito né raffreddato del tutto.

«Mi spieghi come fa uno a finire sotto il suo stesso trattore?» chiede Fielding. «Non capisco proprio. Per la cena va bene. Ci vediamo a casa mia alle sette? Abito sempre nello stesso posto.»

«Okay. Te lo spiego io, come si fa» risponde Kay Scarpetta ripensando a Whitby davanti alla ruota del trattore, intento a trafficare con il motore. «Hai un guasto, scendi, ti piazzi davanti a una ruota e cerchi di azionare lo starter, magari con un cacciavite, dimenticandoti di mettere il mezzo in folle. Così, appena il motore si accende, il trattore parte e ti investe.» Indica i segni lasciati dal pneumatico sui pantaloni verdi e sulla giacca nera di Whitby, con il suo nome ricamato in rosso. «Io l’ho visto. Era lì, davanti alla ruota.»

«Nel cantiere? Vicino alla sede vecchia? Bentornata, a proposito.»

«È stato ritrovato sotto la ruota?»

«No, il trattore l’ha investito e ha continuato ad andare.» Fielding toglie al morto le calze, che gli hanno lasciato il segno sui piedi bianchi e grossi. «Ti ricordi che davanti all’ingresso sul retro c’era un paletto di metallo giallo? Be’, il trattore ci è finito contro e si è fermato, altrimenti avrebbe buttato giù anche la saracinesca. Poco male, visto che tanto devono demolire tutto.»

«Non credo che sia morto per asfissia. La ruota ha provocato lesioni molto estese, quindi immagino sìa morto dissanguato» dice Kay Scarpetta guardando il cadavere. «Deve avere l’addome pieno di sangue, lesioni alla milza, al fegato, alla vescica e all’intestino, e il bacino rotto. Alle sette, hai detto?»

«E il tuo scagnozzo?»

«Non chiamarlo così. Lo sai che mi dà fastìdio.»

«Be’, comunque può venire anche lui, se gli va. Ma perché si mette quel berretto della polizia di Los Angeles?»

«Glielo avevo detto, che era meglio lasciarlo in macchina.»

«Secondo te, che cosa gli ha procurato questo taglio? Un pezzo sporgente dal telaio del trattore?» domanda Fielding toccando il naso parzialmente staccato di Whitby e facendogli colare un rivolo di sangue sulla guancia mal rasata.