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La osserva tornare alla poltrona con la tazza fumante fra le mani. Non fa caso al fatto che non gli ha chiesto se voleva un altro caffè anche lui. Henri è probabilmente la persona più egoista e insensibile che abbia mai conosciuto. Lo era anche prima dell’aggressione, ne è certo, e lo sarà sempre. Si augura che la smetta di frequentare Lucy, anche se non ha nessun diritto di pensare una cosa del genere.

Si alza per andare a prendersi un altro caffè e le dice: «Henri, te la senti di cercare di ricostruire che cosa è successo?».

«Sì, me la sento. Il problema è che non me lo ricordo.» Mentre lui è in cucina, aggiunge: «So che non mi credi».

«Perché dici così?» Benton versa il caffè e torna nel salotto.

«Il dottore non mi ha creduto.»

«Il dottore non ti ha creduto» ripete sedendosi di nuovo sul divano. «Ritengo di averti già detto che cosa penso di quel dottore, ma voglio ribadirlo. È un misogino, è convinto che le donne siano tutte isteriche e non le rispetta perché le teme. Inoltre lavora al pronto soccorso e non sa come trattare le vittime di violenza.»

«Pensa che io abbia fatto tutto da sola» replica Henri arrabbiata. «Ma io ho sentito quello che ha detto all’infermiera…»

Benton sta attento a reagire nel modo giusto. Henri gli sta dando delle informazioni nuove, che spera veritiere. «Dimmi: che cosa ha detto all’infermiera?»

«Dovrei fargli causa, a quel bastardo.»

Benton beve un sorso di caffè, in attesa di una risposta.

«Magari lo faccio davvero» aggiunge lei furiosa. «Pensava che non lo sentissi perché avevo gli occhi chiusi. È entrato nella mia stanza mentre ero mezza addormentata. L’infermiera era sulla porta, lui è arrivato e io ho fatto finta di niente.»

«Hai fatto finta di dormire?» chiede Benton.

Henri annuisce.

«Sei un’attrice. Eri attrice di professione.»

«Lo sono ancora. Un attore non smette mai di essere un attore… Solo che in questo periodo non recito, faccio dell’altro.»

«Sei sempre stata una brava attrice, immagino» dice Benton.

«Sì.»

«Sei sempre stata brava a recitare, a fingere.» Si interrompe, poi riprende: «Fingi spesso, Henri?».

La ragazza lo guarda male. «Fingevo di dormire, in ospedale, solo per sentire cosa diceva il dottore. E ho sentito tutto. Ha detto: “Quando sei arrabbiato con qualcuno, non c’è come farsi stuprare. Sensi di colpa a gogo”. E si è messo a ridere.»

«Capisco che tu abbia voglia di fargli causa» dice Benton. «Questo è successo nel pronto soccorso?»

«No, no, mi avevano già fatto tutte le analisi e trasferito in una camera. Non so in che reparto, non mi ricordo.»

«Peggio ancora» dice Benton. «Non sarebbe dovuto salire in reparto. È un medico del pronto soccorso, e non aveva motivo di venire lì. Era curioso, e questo non va bene.»

«Gli faccio causa. Lo odio.» Si massaggia di nuovo l’alluce. Il livido è quasi sparito. Anche quelli sulle mani sono sbiaditi, ormai giallastri. «Ha parlato di anfetamine, non so a che proposito. Ma mi stava prendendo in giro. Ce l’aveva con me.»

Anche questa è un’informazione nuova, e Benton si sente tutto a un tratto speranzoso: forse, con il tempo e tanta pazienza, Henri riuscirà a ricordare più cose e a dire meno bugie.

«Stronzo» borbotta la ragazza stringendosi la vestaglia sul petto. «Non si può fare niente per fargliela pagare?»

«Henri, come mai secondo te ha parlato di stupro?» domanda Benton.

«Non lo so. Io non credo che mi abbia stuprata.»

«Ti ricordi l’infermiera?»

Henri scuote piano la testa.

«Ti hanno accompagnato su una sedia a rotelle in una stanza vicino al pronto soccorso e ti hanno sottoposto a una serie di analisi, giusto? Hanno usato un kit per la raccolta di prove. Tu lo conoscevi già, no? Quando ti sei stufata di recitare, sei entrata nella polizia. Questo prima che conoscessi Lucy lo scorso autunno, prima di andare a lavorare con lei. Ti hanno fatto i tamponi, hanno raccolto peli e fibre…»

«Non mi sono stufata di recitare. Volevo solo fare un break, provare qualcos’altro.»

«Okay. Ma ti ricordi il kit per la raccolta di prove? Si chiama PERK.»

Henri annuisce.

«E l’infermiera? Mi hanno detto che è stata molto gentile. Si chiama Brenda. Ti ha visitato per vedere se eri stata stuprata. In una stanzetta che viene usata anche per i bambini, piena di animaletti di peluche, con la tappezzeria di Winnìe the Pooh. Brenda non era vestita da infermiera. Aveva un tailleur azzurro.»

«Tu non c’eri.»

«Me l’ha detto per telefono.»

Henri si guarda i piedi posati sul cuscino della poltrona. «Le hai chiesto com’era vestita?»

«Capelli neri, corti, occhi castani…» Benton sta cercando di smuovere quello che Henri si sforza di dimenticare, o finge di aver dimenticato. È venuto il momento di parlare dell’ospedale, delle analisi che le sono state fatte. «Non c’era liquido seminale, Henri. Nessun elemento che facesse pensare a uno stupro. Però Brenda ti ha trovato sulla pelle alcune fibre. Sembra che avessi una lozione o dell’olio sulla pelle. Ricordi di esserti spalmata dell’olio o qualche lozione sul corpo, quella mattina?»

«No» risponde lei a bassa voce. «Ma non posso escludere di averlo fatto.»

«Avevi dell’olio sulla pelle» dice Benton. «Secondo Brenda, perlomeno. Si sentiva anche il profumo. Profumo di lozione, appunto.»

«Lui non mi ha messo nessuna lozione.»

«Lui?»

«Non può che essere stato un uomo, no? Tu non credi che fosse un uomo?» chiede Henri con un tono speranzoso che suona stonato. È il tipico tono di chi cerca di ingannare se stesso, o il proprio interlocutore. «Non può essere stata una donna. Una donna? No, le donne non fanno certe cose.»

«Anche le donne fanno certe cose. Per il momento non sappiamo se ad aggredirti è stato un uomo o una donna. C’erano diversi capelli sul materasso, nella camera da letto. Neri e ondulati. Lunghi una quindicina di centimetri.»

«Be’, lo sapremo presto, allora. Sui capelli si può fare la prova del DNA e scoprire se era un uomo o una donna» ribatte lei.

«Non credo. Con il tipo di prova che stanno effettuando non si stabilisce il sesso. La razza, forse, ma il sesso no. E anche per la razza, ci vorrà almeno un mese prima di avere i risultati. Dunque pensi di esserti messa tu la lozione.»

«No. Ma lui non è stato. Non glielo avrei lasciato fare. Mi sarei ribellata, avrei lottato. Forse lui avrebbe voluto, ma…»

«Non te la sei spalmata tu?»

«Ho detto che lui non è stato, e io nemmeno. Basta così. Perché insisti?»

Benton capisce: la lozione non c’entra con l’aggressione, sempre che Henri stia dicendo la verità. Pensa a Lucy e prova a un tempo dispiacere e rabbia.

«Dimmelo tu» lo affronta Henri. «Dimmi come sono andate le cose secondo te, e io ti dico sì o no.» Sorride.

«Lucy è tornata a casa.» Benton comincia con un dato certo. Si trattiene dal raccontare troppi particolari troppo presto. «Era mezzogiorno appena passato. Ha aperto la porta e ha visto subito che l’allarme era disinserito. Ti ha chiamato, ma tu non hai risposto. A quel punto ha sentito sbattere la porta di servizio, quella che dà sulla piscina, ed è corsa da quella parte. Quando è arrivata in cucina, ha visto che la porta era aperta e che il cancello che conduce al mare era spalancato.»

Henri guarda fuori dalla finestra con gli occhi sbarrati. «Vorrei che l’avesse ammazzato.»

«Non l’ha nemmeno visto. Probabilmente, l’ha sentita arrivare sulla Ferrari nera ed è fuggito…»

«Era in camera mia, e si è dovuto fare tutte le scale» lo interrompe Henri, sempre con gli occhi sbarrati. Benton ha l’impressione che in quel momento stia dicendo la verità.