«In Atlantic Boulevard» gli risponde. «In automobile.»
«Lo immaginavo. C’è un fracasso…» Marino non perde l’occasione di prendere in giro Lucy per la sua passione per le auto.
«Sei geloso?» sta al gioco lei.
Marino si allontana dal distributore del caffè e si guarda intorno per controllare che nessuno nell’Istituto di medicina legale lo possa sentire. «Volevo dirti che la situazione qui è problematica» le comunica, sbirciando dal vetro della porta della biblioteca per vedere se c’è dentro qualcuno. Non c’è anima viva. «Questo posto sta andando a ramengo» sussurra nel minuscolo cellulare. «Volevo informarti.»
Dopo un attimo, Lucy osserva: «Non volevi soltanto informarmi di questo. Che cosa vuoi che faccia?».
«Per la miseria, che casino fa la tua macchina…» Marino continua a passeggiare avanti e indietro e a guardarsi intorno. Ha in testa il berretto della polizia di Los Angeles che gli ha regalato Lucy.
«Mi stai mettendo in ansia» dice lei. «Quando mi hai assicurato che era tutto sotto controllo, avrei dovuto capire che non lo era per niente. Maledizione. Eppure vi avevo avvertito tutti e due, che era meglio non tornare in quel postaccio.»
«Non è solo per la storia della ragazza» le spiega a bassa voce. «È questo che ti volevo dire. Non c’è solo quel problema lì. Cioè, è senz’altro il problema più grosso, ma stanno succedendo un sacco di cose che non capisco. Il nostro comune amico, peraltro, conferma.» Si riferisce a Benton. «Tu la conosci bene, no?» Adesso si riferisce a Kay Scarpetta. «Non è una che si tira indietro di fronte ai guai.»
«Cosa sono queste cose che non capisci? Fammi un esempio.» Lucy ha cambiato tono. Quando è seria, ha la voce tesa e parla più lentamente.
Marino pensa che adesso lei gli starà con il fiato sul collo e non gli darà requie, specie se la situazione diventerà ancora più spinosa di quello che è già. «Guarda, è più che altro una mia sensazione. Capo, tu lo sai che mi fido del mio istinto…» La chiama “capo”, come se non avesse problemi a considerarla tale, quando invece ne ha, specie se sente che Lucy non è d’accordo con lui. «E il mio istinto mi dice che qui c’è sotto qualcosa» aggiunge. Una parte di lui sa benissimo che Lucy e Kay Scarpetta vedono la sua insicurezza, quando si dà delle arie, parla del suo istinto e le chiama “capo”, ma non riesce a trattenersi e peggiora le cose. «Io odio questa città, odio questo posto di merda. E sai perché questo è un posto di merda? Perché nessuno porta rispetto, ecco perché.»
«Eviterò di ricordarti che io l’avevo detto» mormora Lucy, sempre più preoccupata. «Vuoi che veniamo lì?»
«No» risponde Marino, infastidito nel constatare che non può sfogarsi con Lucy senza che lei si senta in dovere di fare qualcosa. «Per il momento, non è nulla di grave» continua, rimpiangendo di averla chiamata e di averle espresso le proprie paure. “Ho fatto male” pensa. Ma se dovesse mai scoprire che sua zia ha dei problemi e lui non le ha detto niente, Lucy non glielo perdonerebbe.
La conosce da quando lei aveva dieci anni ed era un’insopportabile saputella occhialuta. All’inizio non si erano piaciuti. Poi però le cose erano cambiate: per un certo periodo lei lo aveva adorato come un eroe, poi erano diventati amici. Dopo, però, le cose erano cambiate di nuovo, purtroppo, e Marino si rammarica di non aver fatto qualcosa per evitarlo, perché era molto più contento prima, quando le insegnava a guidare, ad andare in moto, a sparare, a bere birra, a capire quando uno mentiva… Insomma, le cose importanti della vita. Allora non aveva paura di lei. Forse neanche adesso, forse quella che prova non è propriamente paura: il problema è che Lucy ha potere e lui no e la metà delle volte, dopo che si sono parlati per telefono, Marino si sente un deficiente. Lucy può fare tutto quello che vuole, ha un sacco di soldi, dà ordini a un sacco di gente… Lui no. Marino non ha mai avuto il potere che ha lei, nemmeno quando era nella polizia. Ma non è paura, la sua. È un’altra cosa, si dice.
«Se avete bisogno, veniamo» ribadisce Lucy al telefono. «Anche se non è propriamente un bel periodo: ho dei problemi.»
«Ti ho già detto che non è il caso che veniate» risponde Marino immusonito. Sa che quando si immusonisce gli altri si preoccupano più per lui che per loro stessi. È un trucco che funziona sempre. «Volevo solo informarti che abbiamo dei problemi, tutto qui. Non ho bisogno che tu venga. Non potresti fare niente comunque.»
«Okay» dice Lucy. Ormai con lei i musi non attaccano, Marino se lo era scordato. «Adesso devo andare. Ciao.»
9
Con l’indice della mano sinistra Lucy Farinelli sfiora il pulsante del cambio al volante e, mentre l’auto rallenta, il motore raggiunge i mille giri al minuto.
Sul cruscotto si accende una luce rossa e scatta un allarme sonoro a indicare che nei dintorni c’è un radar della polizia.
«Non sto mica andando troppo forte» dice a Rudy Musil, che osserva il tachimetro. È seduto accanto a lei, vicino all’estintore. «Solo dieci chilometri oltre il limite.»
«Non ho aperto bocca» replica lui, guardando nello specchietto laterale dalla sua parte.
«Vediamo se ho ragione.» Lucy resta in terza e si assesta sui settanta chilometri all’ora. «Scommetto che al prossimo incrocio troviamo una macchina della polizia.»
«Cosa voleva Marino?» chiede Rudy. «Non dirmi che ci tocca fare di nuovo le valigie.»
Sono tutti e due molto attenti, controllano gli specchietti, osservano le altre auto, le palme, i pedoni e i palazzi. In questo momento non c’è molto traffico in Atlantic Boulevard, a Pampano Beach, a nord di Fort Lauderdale.
«Che cosa ti avevo detto?» esclama Lucy, gli occhiali scuri fissi sulla strada, mentre una Ford LTD blu sbuca sulla destra da Powerline Road e le si piazza dietro, sulla corsia di sinistra.
«Li hai incuriositi» dice Rudy.
«Non sono pagati per essere curiosi» risponde lei aggressiva, mentre la Ford continua a seguirla. È convinta che sia un’auto della polizia e che l’uomo al volante stia aspettando che lei faccia qualcosa che gli permetta di azionare luci e sirena, fermarla e multarla. «Guarda: quello sorpassa a destra e quell’altro ha il bollo scaduto» dice indicando fuori dal finestrino. «Ma lui ha occhi solo per noi.»
Smette di osservare l’uomo alla guida della Ford blu dallo specchietto retrovisore e sospira, pensando che Rudy è sempre di cattivo umore, da quando lei ha aperto la sede di Los Angeles. Non sa bene perché, ma è convinta di aver frainteso le sue ambizioni: dava per scontato che a lui facesse piacere andare a lavorare in un grattacielo con vista mozzafiato in Wilshire Boulevard, invece si è sbagliata. Non ha capito niente.
Il tempo sta migliorando, il cielo da plumbeo sta diventando grigio perla e il vento freddo sta allontanando la pioggia, che fino a poco prima è caduta torrenziale. La strada è bagnata e piena di pozzanghere. Uno stormo di gabbiani vola basso sopra di loro, disperdendosi in diverse direzioni. La Ford blu continua a seguirli.
«Marino mi ha detto poco o niente» risponde a Rudy. «Pare che ci siano problemi a Richmond. Come al solito, mia zia sta per ficcarsi in un casino.»
«Ho sentito che ti sei offerta di raggiungerli. Credevo tua zia fosse andata là per una semplice consulenza. Cos’è successo?»
«Non so se sarà il caso di raggiungerli. Vedremo. È successo che il direttore dell’Istituto di medicina legale della Virginia, che non mi ricordo più come si chiama, le ha chiesto una mano su un caso difficile, una ragazzina morta improvvisamente, non si capisce bene perché. O, perlomeno, lui non riesce a capirlo. Non mi sorprende. Dirige l’istituto solo da quattro mesi, e al primo problema chiama mia zia. “Sa, è scoppiata una grana: le dispiacerebbe occuparsene lei?” Io le ho consigliato di mandarlo a quel paese, ma lei è voluta partire lo stesso, e adesso ha dei problemi. Com’era prevedibile. Non capisco, io le avevo detto chiaro e tondo che non ci doveva andare, ma lei non mi sta a sentire…»