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Un uomo troppo sicuro di sé, oppure un uomo molto stupido, perché ha lasciato due impronte digitali parziali sul piano di cristallo del comodino. O non ci ha pensato, o se ne è fregato. Non corrispondono a nessuna delle impronte contenute nell’Automated Fingerprint Identification System e quindi forse nessuno gliele ha mai prese, perché non è mai stato arrestato. E forse se ne è fregato anche dei capelli che ha lasciato sul letto. Tre, neri. Perché avrebbe dovuto preoccuparsene, comunque? Nei casi più urgenti, per la prova del DNA mitocondriale ci vogliono comunque dai trenta ai novanta giorni. E non è detto che serva a qualcosa, dato che non esiste una banca dati significativa per il DNA mitocondriale (ossa e capelli) che, a differenza di quello nucleare (sangue e tessuti), non rivela il sesso. Le tracce lasciate dalla bestia sul luogo dell’aggressione non sono risolutive. Potrebbero non esserlo neppure nel caso venisse arrestata una persona ed effettuato un confronto.

«È vero, sono stressata. Non sono più io. Mi sono lasciata prendere troppo da questa cosa» ammette Lucy concentrandosi sulla guida. La spaventa pensare che forse Rudy ha ragione e lei sta perdendo il controllo. «Non avrei dovuto comportarmi così, con quello della Ford. Non esiste. Non bisogna cacciarsi in certi pasticci.»

«Infatti. Da te non me lo aspettavo. Da quella là, sì.» Rudy tiene il muso, con gli occhi nascosti dietro lenti scure lievemente specchiate. Evita il suo sguardo, e questo la turba.

«Credevo stessimo parlando del sudamericano sulla Ford» dice.

«Io te l’avevo detto subito che metterti qualcuno in casa è pericoloso» continua Rudy. «Specie se usa la tua macchina, fruga fra le tue cose, ha la possibilità di restare solo nei tuoi spazi e non rispetta le tue regole. Non ti scordare che quella non ha l’addestramento che abbiamo noi. E ha ben altre priorità.»

«Nella vita non conta solo l’addestramento» ribatte Lucy. Preferisce parlare dell’addestramento che delle priorità di Henri. E preferirebbe parlare del sudamericano della Ford che di lei. «Sono stata scema, prima, a lasciarmi prendere dal panico. Mi dispiace.»

«Ho l’impressione che tu sia un po’ confusa riguardo ai tuoi obiettivi nella vita» replica Rudy.

«Ti prego, adesso non fare il boy scout» sbotta Lucy accelerando in direzione nord, verso il quartiere di Hillsboro e la sua villa color salmone in stile mediterraneo, affacciata sulla Intracoastal Waterway e sull’oceano. «Non riesci a essere obiettivo. Non riesci nemmeno a chiamarla per nome. “Quella”, la chiami.»

«Non riesco a essere obiettivo, dici? E tu, allora?» ribatte lui spietato. «Quella stupida ha rovinato tutto. Ma veramente tutto. E tu non avevi il diritto di mettere in mezzo anche me. Nessun diritto.»

«Rudy, smettiamola di litigare, ti prego» implora Lucy. «Perché ci accapigliamo così?» Lo guarda. «Non tutto è perduto.»

Lui non risponde.

«Perché litighiamo sempre? Mi fa stare male» dice Lucy.

Un tempo lei e Rudy non litigavano. Qualche volta lui si immusoniva, ma non avevano mai bisticciato tanto, prima che lei aprisse la sede di Los Angeles e assumesse Henri. Un segnale acustico avverte che il ponte sta per alzarsi, Lucy scala la marcia e si ferma. Un signore su una Corvette le mostra il pollice; in segno di apprezzamento per la Ferrari.

Lei sorride tristemente e scuote la testa. «Hai ragione, faccio delle scemenze» dice. «Sono fatta così, sono fatta sbagliata. Devo aver preso da mio padre, che era sudamericano. Spero non da mia madre, perché non vorrei proprio finire come lei. Sarebbe molto peggio.»

Rudy non dice niente e guarda il ponte che si alza per far passare uno yacht.

«Non litighiamo» continua lei. «Non è tutto perduto. Dai…»

Gli prende una mano e gliela stringe. «Facciamo pace? Ricominciamo? Vuoi che chiami Benton e mi faccia dare qualche consiglio su come si trattano gli ostaggi? Perché non sei solo mio amico e collaboratore: adesso sei anche mio ostaggio. E io sono ostaggio tuo, immagino. Tu sei qui perché hai bisogno di questo lavoro, o perlomeno lo vuoi fare, e io ho bisogno di te. Non è così?»

«Io non devo essere qui, né da nessun’altra parte» risponde lui. Non le stringe la mano e Lucy gliela lascia.

«Lo so benissimo» dice. È rimasta male che lui non abbia risposto alla sua stretta. Riprende il volante con tutte e due le mani. «Vivo quotidianamente con questa paura, con la paura che tu te ne vada. Tanti saluti e buona fortuna, io per la mia strada e tu per la tua.»

Rudy guarda passare lo yacht diretto verso il mare aperto. Sul ponte, alcune persone in bermuda e camicie larghe si muovono con l’agio di chi è molto ricco. Anche Lucy è molto ricca, sebbene non ci rifletta mai. Guarda lo yacht e si sente povera. Guarda Rudy e si sente ancora più povera.

«Prendiamo un caffè insieme?» gli propone. «Ci sediamo vicino alla mia piscina, che non uso mai, a guardare il mare, che non guardo mai. Vorrei liberarmi di quella casa. Hai ragione, faccio un sacco di scemenze» insiste. «Dai, prendiamo un caffè.»

«Okay.» Rudy guarda dal finestrino, immusonito. «Credevo che avessi deciso di toglierla» dice poi, indicando la cassetta della posta. «Nessuno ha il tuo indirizzo di casa. Ti arriva solo roba indesiderata. Adesso più che mai.»

«Me la faccio togliere» promette. «Sto pochissimo a casa. Fra l’apertura dell’ufficio a Los Angeles e tutto il resto… Mi sento un’altra, sai? Mi sento la Lucy di Lucy e io, la serie televisiva. Te la ricordi? Ti ricordi quando lavorava nella fabbrica di caramelle e non riusciva a tenere dietro alla catena di montaggio?»

«No.»

«Probabilmente non guardavi quel genere di telefilm» dice Lucy. «Io e mia zia eravamo appassionatissìme di Lucy e io e Bonanza. Lei li guardava da bambina.» Rallenta fino quasi a fermarsi vicino alla cassetta della posta in fondo al viale che porta a casa sua. Sua zia, che ha uno stile di vita molto più sobrio, le aveva espresso non poche perplessità rispetto a quella casa.

Le aveva detto: “Prima di tutto, è troppo lussuosa rispetto al resto del quartiere”. Comprare quella casa è stata una scemenza, ammette Lucy imboccando il viale. È una villa a tre piani di mille metri quadrati con giardino, che le è costata nove milioni di dollari. Più che un giardino, quello intorno alla casa è un patio, con poca erba e tanta pietra, una piscina, una fontana, qualche pianta e qualche palma. L’aveva avvertita, sua zia, che non era una buona scelta. Quella casa offre poca privacy, è pericolosa, accessibile dal mare. Ma Lucy non le ha dato retta, presa com’era dal lavoro e dal desiderio di far felice Henri. “Te ne pentirai” le aveva detto Kay Scarpetta. Aveva ragione: Lucy abita lì da tre mesi ed è già pentita.

Apre il cancello con un telecomando e la porta del garage con un altro.

«A che cosa serve questo affare?» domanda Rudy indicando il cancello. «Hai un viale di tre metri…»

«Lo so» ribatte Lucy arrabbiata. «Odio questo posto di merda.»

«Ti entrano in garage come vogliono» insiste Rudy.

«Se uno mi entra nel garage, io lo ammazzo.»

«Guarda che parlavo sul serio.»

«Anch’io» dice Lucy mentre la porta del garage si chiude lentamente dietro di loro.

10

Lucy parcheggia la Modena vicino alla Ferrari nera, una Scaglietti dodici cilindri che non può esprimere tutta la propria potenza in un mondo pieno di limiti di velocità. Scendono, e Lucy evita di guardare la Ferrari nera. Non vuole vedere il graffio a forma di grande occhio con tanto di ciglia che qualcuno le ha fatto sulla carrozzeria.

«Be’, il disegno è pregevole» commenta Rudy passando fra le due Ferrari, diretto alla porta che conduce all’interno della villa. «Potrebbe averlo fatto lei?» Indica il cofano della Scaglietti nera, ma Lucy non guarda. «Potrebbe benissimo essere stata lei. Potrebbe aver inscenato tutto.»