“Dunque sei entrato nel mio bagno” pensa Lucy. “Ti sei piazzato qui, sul pavimento di marmo, a guardare la mia vasca. Non avevi mai visto una vasca così, eh? Hai fantasticato di vederci una donna nuda immersa nell’acqua, prima di andare di là e aggredire Henri? Non è molto originale, sai, come fantasia.”
Esce dal bagno e scende al primo piano, dove in questo periodo lavora e dorme.
Oltre l’angolo con televisore, videoregistratore, DVD e stereo c’è una grande stanza che Lucy ha adibito a biblioteca, con alte librerie a muro e finestre coperte da tende scure per potervi sviluppare fotografie anche nelle giornate più limpide. Accende la luce e osserva le centinaia di libri e classificatori e il lungo tavolo con le attrezzature da laboratorio. Appoggiata a un muro c’è una scrivania con un Crimescope, un apparecchio che serve per ingrandire le impronte digitali. Assomiglia a un tozzo telescopio montato su un cavalletto. Accanto c’è la busta di plastica sigillata in cui Lucy ha riposto il disegno dell’occhio.
Prende un paio di guanti da una scatola sul tavolo. Il posto migliore per trovare impronte probabilmente è lo scotch con cui il disegno è stato attaccato al vetro, ma decide di esaminarlo più tardi perché per farlo dovrà utilizzare sostanze chimiche che altereranno sia la carta che il nastro adesivo. Ha cosparso di spray la porta di servizio e le finestre vicine, ma non ha trovato neppure un’impronta digitale utile. Se anche ne avesse rilevata una, con ogni probabilità sarebbe stata del giardiniere, di Rudy o sua. O dell’ultima persona che ha lavato i vetri. Perciò non si è scoraggiata: in fondo le impronte digitali esterne non sono molto significative. Trovarne sul foglio da disegno, invece, sarebbe importante. Con i guanti, apre una custodia imbottita e prende la lampada Puissant SKSUV30, che trasporta fino al tavolo e collega a una ciabatta. Preme l’interruttore e accende la luce ultravioletta a onde corte e alta intensità. Poi aziona il Crimescope.
Apre la busta di plastica, estrae il foglio bianco con due dita e lo volta. L’occhio disegnato a matita la fissa. Lucy osserva il foglio alla luce e vede che non c’è filigrana, ma solo fitta fibra di legno. Lo abbassa e lo posa al centro della scrivania. La bestia glielo ha attaccato alla porta di servizio in maniera che l’occhio fosse rivolto verso l’interno, come se spiasse attraverso il vetro. Lucy si mette un paio di occhiali protettivi arancioni e centra il disegno sotto la lente del microscopio. Guarda dall’oculare all’apertura massima e regola la messa a fuoco. Quando lo schermo a reticolo diventa visibile, vi dirige la luce ultravioletta alla giusta angolazione e comincia a muovere il foglio alla ricerca di impronte, sperando di trovarne senza dover ricorrere a sostanze chimiche distruttive, come ninidrina o cianoacrilato. Alla luce ultravioletta, la carta assume una spettrale colorazione bianco verdastra.
Con la punta delle dita, Lucy sposta il foglio fino a portare nel campo visivo il pezzetto di scotch. “Niente” pensa. “Neppure una sbavatura.” Può provare con fucsina o violetto di genziana, ma non adesso. Se mai, più tardi. Si siede alla scrivania e osserva il disegno. Un occhio, nient’altro. Tracciato a matita, con iride, pupilla e lunghe ciglia. Un occhio di donna, probabilmente, disegnato con quella che sembra essere una matita HB. Lucy collega una fotocamera all’accoppiatore e scatta diverse fotografie ad alcuni ingrandimenti del disegno, che poi fotocopia.
Sente aprirsi la porta del garage e spegne lampada e microscopio. Poi rimette il disegno nella busta di plastica. Guarda il monitor sulla scrivania e vede Rudy che fa retromarcia nel garage. Pensa a che cosa conviene fare. Chiude la porta della biblioteca e scende le scale di corsa. Se Rudy la abbandonasse a se stessa, che cosa ne sarebbe di lei e del suo impero segreto? Accuserebbe il colpo, starebbe male, ma poi supererebbe la crisi, si dice. Apre la porta della cucina e lo vede con le chiavi della Ferrari fra due dita, come se fossero la coda di un topo morto.
«Ci conviene avvertire la polizia» gli dice, prendendo le chiavi. «Teoricamente, questa è un’emergenza.»
«Immagino che tu non abbia trovato impronte, né alcunché di significativo» dice Rudy.
«Non al microscopio. Se la polizia non mi porta via il disegno, proverò con la ninidrina. Speriamo che me lo lascino. Ne ho bisogno. Tu hai visto nessuno?» Si avvicina al telefono e prende in mano la cornetta. «A parte le belle ragazze che cercavano di entrarti in macchina dai finestrini?» Digita 9-1-1 sulla tastiera.
«Nessuna impronta» dice Rudy. «Be’, mai dire mai. Tracce di scrittura sul foglio?»
Lucy scuote la testa e dice al telefono: «Vorrei denunciare una violazione di proprietà privata».
«Il responsabile è ancora nella sua proprietà, signora?» le chiede l’operatrice con voce calma, professionale.
«Non mi pare» risponde Lucy. «Ma penso si tratti della stessa persona che si è già introdotta in casa mia e su cui state già svolgendo delle indagini.»
L’operatrice le chiede il suo nome, perché il numero chiamante corrisponde a una delle tante società a responsabilità limitata a cui Lucy intesta le sue proprietà. Non si ricorda nemmeno più quale.
«Tina Franks» risponde Lucy, usando il nome falso che ha dato alla polizia la mattina dell’aggressione, quando si è lasciata prendere dal panico e ha chiamato il 911. Le dà il suo indirizzo. O, meglio, l’indirizzo di Tina Franks.
«Le mando un’unità al più presto» risponde l’operatrice.
«Grazie mille. Senta, potrebbe passarmi per caso John Dalessio della CSI?» chiede Lucy, disinvolta e senza timori. «Perché l’ultima volta avevo parlato con lui.» Prende due mele dalla fruttiera.
Rudy alza gli occhi al cielo e Lucy sorride. Lucida una delle due mele sui jeans e gliela lancia. Poi morde l’altra tranquilla, come se stesse parlando con la lavanderia, invece che con il pronto intervento.
«Sa dirmi anche il nome dell’ispettore che ha risposto alla sua precedente chiamata?» chiede l’operatrice. «Di norma non contattiamo la CSI, ma l’ispettore responsabile delle indagini.»
«Mi spiace, ricordo solo Dalessio» risponde Lucy. «Non mi pare che a casa mia sia venuto nessun ispettore. Forse è andato all’ospedale a parlare con la donna che era mia ospite.»
«Oggi Dalessio non c’è, signora Franks, ma se desidera gli posso lasciare un messaggio» dice l’operatrice con voce un po’ incerta. È normale che sia incerta, dal momento che non ha mai visto o conosciuto nessun Dalessio della CSI. Per Lucy, CSI non sta per Crime Scene Investigator, ma per Cyber Space Investigator, e John Dalessio è un investigatore virtuale che esiste solo nel database del Dipartimento di polizia di Broward County, in cui lei è riuscita a infiltrarsi.
«Non importa. Mi ha lasciato il suo biglietto da visita, lo chiamo io. Grazie comunque» dice Lucy, e chiude la comunicazione.
Lei e Rudy rimangono in cucina a mangiare la mela e si guardano.
«Se ci penso, mi scappa da ridere» dice lei a un certo punto, sperando che anche Rudy veda il lato comico della faccenda. «Chiamiamo la polizia per pura formalità. Peggio, per divertirci.»
Rudy alza le spalle e si pulisce la bocca con il dorso della mano. «Coinvolgere la polizia locale non fa mai male. Non bisogna esagerare, naturalmente, ma a piccole dosi potrebbe esserci utile.» Evidentemente la cosa diverte anche lui. «Hai chiesto di parlare con Dalessio, che effettivamente risulta nel loro organigramma, ma che nessuno ha mai visto né conosciuto. Si chiederanno chi diavolo è e perché non c’è mai. L’avranno licenziato o se ne sarà andato di sua spontanea volontà? C’è qualcuno che l’ha mai visto in faccia? Diventerà una leggenda, te lo dico io. Non si parlerà d’altro.»
«Già. John Dalessio e Tina Franks» continua Lucy, masticando la mela.
«Il problema è che faresti più fatica a dimostrare di essere Lucy Farinelli che Tina Franks o una qualsiasi altra delle tue identità fittizie. Anche per me è la stessa cosa: ho certificati di nascita, atti e documenti per tutti i nomi falsi che uso, ma non so più dove ho messo il mio certificato di nascita vero.»