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«Mangusta.» Lucy le dice il nome della sua barca preferita, sicura che la sua vicina non ricorderà il riferimento di poco prima a Cannes, ma avrà l’impressione di averlo già sentito.

«Ah, sì, non mi è nuovo» risponde Kate, incoraggiata.

«Non ho mai recitato ruoli da protagonista, anche se sono comparsa in film importanti. Questa è la mia grande occasione, spero. Ho cominciato con off-off-Broadway, poi sono passata al cinema, ma sempre off-off. Insomma, si prende quello che arriva. Spero solo che non ti daremo troppo disturbo, quando cominceremo a girare. In ogni caso, si parla dell’estate. E comunque adesso è tutto in forse, perché con la storia che questo maniaco ci ha scoperto, bisogna vedere…»

«Peccato, però.» Kate si protende in avanti, verso Lucy.

«Dillo a me.»

«Ma vi ha seguito fin qui dalla California?» chiede Kate un po’ allarmata. «E prima dicevi che sei venuta in elicottero?»

«Guarda, se non hai mai avuto a che fare con uno di questi pazzi, non sai cosa vuol dire» risponde Lucy. «Non lo auguro a nessuno. Mai più immaginavo che venisse fin qui. Non so nemmeno come ha fatto a scoprire dove siamo. Però sono sicura che è lui. E per certi versi lo spero, perché altrimenti vorrebbe dire che ho due pazzi che mi seguono ovunque vada. Ah, mi chiedevi dell’elicottero. Sì, è una bella comodità. Ma non sono venuta fin qui dalla California in elicottero.»

«Perlomeno non vivi sola» osserva Kate.

«La mia collega è appena ripartita. È tornata in California. Per colpa di quel maniaco.»

«E lui? Bel ragazzo, l’ho incrociato. Di lui l’ho pensato, che poteva essere un attore. Mi sembrava un viso noto, mi sono chiesta dove l’avevo già visto.» Fa un sorriso malizioso. «Lui ce l’ha scritto in fronte, Hollywood. Che cosa ha fatto?»

«Casino, più che altro» risponde Lucy con un sorriso.

«Be’, se ti fa soffrire e hai bisogno di una spalla su cui piangere, io sono qui.» Accarezza il cuscino che si è messa in grembo. «Ho una certa esperienza.»

Lucy osserva la barca che brilla nel sole e si chiede che cosa fa l’ex marito di Kate alle Cayman senza barca. Che sia scappato laggiù per sfuggire agli esattori delle tasse? Dice: «La settimana scorsa mi è entrato in casa. Cioè, non sono sicura che fosse lui, ma non vedo chi altro potrebbe essere. Mi chiedevo…».

Kate sembra aver perso il filo del discorso. Impiega un po’ a raccapezzarsi. «Ah, già. Quello che ti segue, dici? No, io non l’ho visto. Però non so, perché qui gira un sacco di gente, fra giardinieri, imprese di pulizia, muratori, operai… La polizia e l’ambulanza, però, le ho viste. Mi sono anche spaventata: sai, quel genere di cose abbassa subito il valore degli immobili.»

«Allora eri in casa. Perché la mia collega, quella che abitava con me, era a letto. Aveva bevuto troppo la sera prima e aveva mal di testa. Non so, può darsi che a un certo punto sia uscita a prendere il sole…»

«Sì. L’ho vista.»

«Ah, l’hai vista?»

«Sì, lei sì» risponde Kate. «Ero in palestra, ho guardato giù e l’ho vista uscire dalla porta di servizio. Mi ricordo che era in pigiama e vestaglia. Se dici che aveva bevuto troppo la sera prima, capisco tutto.»

«Che ore erano? Te lo ricordi?» domanda Lucy. Il cellulare che ha posato sul tavolino di cristallo registra ogni parola della conversazione.

«Non so… Le nove, più o meno.» Kate indica la casa di Lucy. «Si è messa vicino alla piscina.»

«E poi?»

«Ero sull’ellittica e guardavo la televisione» spiega, e Lucy non può fare a meno di notare quanto è egocentrica: sembra che tutto ruoti intorno a lei. «O forse no, parlavo al telefono. Fatto sta che quando ho guardato di nuovo non c’era più. Penso fosse tornata in casa. Comunque, quello che volevo dire è che è stata fuori poco.»

«Quanto tempo sei stata sull’ellittica? Potresti farmi vedere la palestra, già che ci sei, così vedo dov’eri esattamente.»

«Ma certo. Vieni, ti accompagno subito.» Si alza dalla poltrona bianca. «Ti va di bere qualcosa? Con tutto questo parlare di maniaci, elicotteri e riprese mi è venuta voglia di un mimosa. Di solito sull’ellittica ci sto mezz’ora.»

Lucy prende il cellulare dal tavolo. «Bevo quello che bevi tu.»

15

Kay Scarpetta ha appuntamento alle undici e mezzo con Marino nel posteggio dell’Istituto di medicina legale, davanti all’auto che hanno noleggiato. Il cielo è coperto da nuvoloni grigi da cui ogni tanto spunta il sole. Soffia un vento forte e freddo.

«Fielding non viene?» chiede Marino aprendo il SUV. «Guido io? Dunque secondo te è morta soffocata perché l’assassino le si è seduto sopra. Bastardo: come si fa ad ammazzare una bambina? Dev’essere corpulento, se è riuscito ad ucciderla in quel modo, non credi?»

«No, Fielding non viene. Sì, guida tu. Quando non riesci a respirare, ti prende il panico e ti divincoli come un ossesso, quindi sì, per riuscire a tenerla giù l’assassino dev’essere abbastanza robusto e pesante. Penso che sia morta per asfissia meccanica.»

«Vorrei che quel bastardo che l’ha ammazzata facesse la stessa fine, te lo giuro. Vorrei che gli si sedessero sopra due marcantoni e non riuscisse più a respirare. Così impara.» Salgono in macchina e Marino mette in moto. «Oppure mi ci siedo sopra io, appena lo sbattiamo dentro. Guarda, lo farei proprio volentieri. Come si fa ad ammazzare una bambina, mi chiedo…»

«Questi discorsi non servono a niente» lo interrompe lei. «Occupiamoci di cose più utili. Sai niente della madre?»

«Visto che Fielding non viene, pensavo che l’avessi chiamata tu.»

«Le ho detto che avevo bisogno di parlarle, tutto lì. Mi è sembrata un po’ strana, al telefono. Dice che Gilly è morta per colpa dell’influenza.»

«Pensi di dirle che non è vero?»

«Non so che cosa le dirò.»

«Be’, una cosa è certa: i federali impazziranno, quando sapranno che hai ricominciato a fare visite a casa delle persone. Si sono immischiati in un caso che non dovrebbe riguardarli e, se scoprono che ci sei di mezzo anche tu… Vedrai!» Sorride, uscendo lentamente dal parcheggio.

A Kay Scarpetta non importa come reagiranno i federali. Guarda il Biotech II, l’edificio grigio in cui un tempo lavorava, l’obitorio che sembra un igloo. Ha l’impressione di non essere mai andata via da Richmond, ora che è tornata, e le sembra normalissimo andare a controllare la scena di un delitto. Non le importa cosa penseranno i federali, il dottor Marcus o chiunque altro.

«Mi sa che neanche il tuo amico Marcus sarà molto contento» continua Marino sarcastico, come se le avesse letto nel pensiero. «Gli hai detto che secondo te è un omicidio?»

«No» risponde Kay.

Non ha cercato Marcus dopo l’autopsia di Gilly Paulsson. Si è lavata, ha rimesso il tailleur ed è andata a controllare alcuni vetrini al microscopio. Può avvertirlo Fielding, se ritiene. Oppure lo aggiornerà lei in un secondo tempo. E comunque, Marcus può chiamarla sul cellulare. Ma non lo farà: cerca di tenersene fuori il più possibile. Probabilmente si è reso conto subito che la morte di quella quattordicenne era una faccenda delicata, molto prima di contattare lei in Florida. Deve aver capito immediatamente che si sarebbe trovato nei guai, se non avesse scaricato il barile a qualcun altro. Probabilmente ha sospettato sin dall’inizio che Gilly Paulsson non era morta per cause naturali e ha deciso di non sporcarsi le mani.

«Chi è l’ispettore incaricato delle indagini?» chiede Kay Scarpetta a Marino, che intanto cerca di immettersi nel traffico. «Lo conosciamo?»

«No. Quando lavoravo qui, non c’era ancora.» Appena vede un varco fra le automobili, Marino si infila nella corsia di destra. Adesso che è tornato a Richmond, guida di nuovo come ai vecchi tempi, quando lavorava ancora al Dipartimento di polizia di New York.