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«Che tipo è? Lo sai?»

«Qualcosa so.»

«Pensi di tenerti quel berretto tutto il tempo?» gli domanda.

«Perché no? Ne hai un altro migliore da darmi? E poi a Lucy farà piacere sapere che me lo metto. Sai che la polizia ha cambiato sede? Non è più in Ninth Street, si è trasferita vicino al Jefferson Hotel, nel vecchio Farm Bureau Building. A parte questo, è tutto uguale. Anzi no: adesso gli agenti possono andare in giro con il berretto da baseball, come a New York.»

«Vedo che i berretti da baseball sono molto popolari.»

«Sì, infatti. Perciò non rompere.»

«Chi ti ha detto che ci sono di mezzo i federali?»

«L’ispettore incaricato delle indagini. Si chiama Browning e sembra un tipo a posto, anche se non si occupa spesso di omicidi e ha più esperienza di sparatorie, regolamenti di conti fra bande rivali e roba del genere.» Apre un bloc-notes e gli dà un’occhiata, guidando in direzione di Broad Street. «Giovedì quattro dicembre interviene a seguito di una telefonata in casa Paulsson, nel Fan, vicino a quello che prima era lo Stuart Circle Hospital e adesso è un complesso residenziale. Lo sapevi che l’hanno trasformato in un condominio di lusso? È successo dopo che tu ti sei trasferita. Tu andresti a vivere in un appartamento dove prima ricoveravano malati? A me farebbe venire i brividi.»

«Marino, sai perché è coinvolta l’FBI? Me lo vuoi dire?» domanda Kay spazientita.

«Ufficialmente li hanno interpellati qui da Richmond, ma io non ci credo: perché la polizia avrebbe dovuto chiamare l’FBI? E perché l’FBI avrebbe accettato prontamente di occuparsi del caso?»

«Browning cosa dice?»

«Niente di che. Non sembra molto interessato. Dice che Gilly deve avere avuto un attacco di cuore o roba del genere.»

«Be’, si sbaglia. E la madre?»

«Tipo strano. Poi ti spiego.»

«Del padre hai scoperto niente?»

«Dopo il divorzio è andato a stare a Charleston, nel South Carolina. Medico. Strano, eh? Un medico dovrebbe sapere cos’è un obitorio: ti aspetteresti che non ci lascerebbe mai la figlia in un sacco di plastica, solo perché non riesce a mettersi d’accordo con la ex moglie su dove seppellirla o come.»

«Io svolterei in Grace Street» dice Kay Scarpetta. «E poi proseguirei dritto.»

«Grazie, Magellano. Guarda che ho abitato a Richmond anch’io. Pensi che abbia bisogno di un navigatore?»

«Non so che cosa faresti senza di me, Marino. Parlami di Browning. Cos’ha trovato, quando è intervenuto in casa Paulsson?»

«La ragazza era a letto, supina, in pigiama, e la madre era in piena crisi isterica. Te lo puoi immaginare.»

«Era sotto le lenzuola o sopra?»

«Le lenzuola erano state tirate giù e ammucchiate per terra. La madre ha dichiarato che erano così quando è tornata a casa dalla farmacia, ma deve avere dei problemi di memoria. Oppure mente.»

«A che proposito?»

«Non lo so. Mi baso su quello che mi ha detto Browning al telefono. Voglio dire, io la interrogherei di nuovo.»

«C’erano segni di effrazione?» chiede Kay Scarpetta. «Browning ha pensato che fosse entrato in casa qualcuno?»

«Browning non ha visto niente. Ma, come ti ho detto, non si è particolarmente preoccupato di cercare indizi. E questo non va bene. Se chi dirige le indagini non cerca nemmeno di capire se c’è qualcosa che non va, vuoi che si accaniscano quelli della Scientifica? Se non pensi che sia stato un omicidio, cosa ti metti a rilevare impronte a fare?»

«Non dirmi che non hanno nemmeno cercato le impronte digitali.»

«Be’, possiamo farlo noi adesso.»

Nel frattempo sono arrivati in quello che si chiama Fan District, un quartiere che risale ai tempi della guerra civile e ha quel nome perché le sue stradine strette, dai nomi poetici come Strawberry Street, Cherry Street e Plum Street, si allargano a ventaglio. Le case del Fan sono state quasi tutte ristrutturate e hanno ampie verande, colonne neoclassiche e cancelli di ferro battuto. La casa dei Paulsson è meno eccentrica e lussuosa di tante altre e non è particolarmente grande: ha la facciata di mattoni, un piccolo portico e il tetto mansardato.

Marino posteggia davanti a un furgoncino azzurro. Lui e Kay Scarpetta scendono dalla macchina e imboccano una stradina di mattoni un po’ consumati. Il cielo è coperto, fa freddo e forse nevicherà. Meglio la neve che la pioggia, pensa Kay. Richmond non si è mai abituata agli inverni rigidi, e ogni volta che si prevedono nevicate i suoi abitanti corrono a fare incetta di generi alimentari, preparandosi al peggio. I fili della luce sono esterni e se cade un albero per il vento o la galaverna, interi quartieri rimangono senza energia elettrica. Anche per questo, Kay Scarpetta spera che non ci siano forti temporali mentre si trova lì.

Il batacchio sulla porta è di bronzo, a forma di ananas. Marino lo abbassa tre volte con forza. Tenuto conto del motivo della loro visita può sembrare ineducato bussare con tanta insistenza. Si sentono dei passi rapidi, poi la porta si apre e appare una donna minuta, con la faccia gonfia di chi mangia poco ma beve molto e piange in continuazione. Se non fosse sfatta, sarebbe una bella donna. Ha i capelli biondi, tinti.

«Prego, accomodatevi» dice con voce nasale. «Ho il raffreddore, ma non dovrei essere contagiosa.» Guarda Kay Scarpetta con gli occhi rossi. «Ma lei lo sa meglio di me, visto che è dottoressa. È lei la dottoressa con cui ho parlato prima, vero?» Non era difficile da intuire, visto che Marino è un uomo e ha il berretto del LAPD.

«Sì, sono Kay Scarpetta.» Le stringe la mano. «Condoglianze, signora Paulsson.»

Alla donna vengono le lacrime agli occhi. «Non entrate? Scusatemi per il disordine, vi prego. Ho appena fatto il caffè.»

«Grazie, lo prendiamo volentieri» dice Marino. Si presenta e spiega: «Ho parlato con l’ispettore Browning e pensavo di svolgere qualche altra indagine, se non le dispiace».

«Volete zucchero? Latte?»

Marino accetta entrambi.

«Io lo prendo nero, grazie» risponde Kay Scarpetta. Seguono la signora Paulsson lungo un corridoio con il parquet. Sulla destra c’è un salotto piccolo ma accogliente, con poltrone di pelle verde scuro e un caminetto; sulla sinistra c’è una cameretta che sembra poco usata e fredda. «Volete darmi i cappotti?» chiede la signora Paulsson. «Scusatemi: vi ho offerto il caffè e non vi ho fatto nemmeno togliere il cappotto. Abbiate pazienza, non ci sono con la testa.»

Kay Scarpetta e Pete Marino si tolgono i cappotti, che la signora Paulsson appende a un attaccapanni in cucina. Kay nota la sciarpa scarlatta appesa a un piolo e si chiede se era di Gilly. La cucina è vecchiotta, con il pavimento di piastrelle quadrate, bianche e nere, e mobili bianchi, fuori moda. La finestra dà su un cortiletto chiuso da una staccionata di legno, dietro cui si vede un tetto basso di ardesia, malconcio e coperto di foglie e di muschio.

La signora Paulsson versa il caffè nelle tazze e li fa accomodare a un tavolo di legno vicino alla finestra. Kay nota che la cucina è pulita e in ordine, con una fila di pentole appese con dei ganci sopra un grosso tagliere di legno, e il lavello perfettamente pulito. Sul bancone, vicino a una scatola di fazzoletti di carta, c’è una boccetta di sciroppo per la tosse. È un farmaco da banco, di quelli che si acquistano senza ricetta. Kay beve un sorso di caffè.

«Non so nemmeno io da che parte cominciare» dice la signora Paulsson. «Non ho capito bene neppure perché siete venuti. L’ispettore Browning mi ha chiamato stamattina per dirmi che erano arrivati due consulenti da fuori e che avevano bisogno di parlarmi. Be’, eccovi qui.» Guarda Kay Scarpetta.

«Allora Browning l’ha avvisata» dice Marino.

«Sì, è stato molto gentile.» La signora Paulsson guarda Marino come se lo trovasse interessante. «Sono tutti molto… Non so.» Le vengono di nuovo le lacrime agli occhi. «Dovrei essere contenta che vi diate tanto da fare. Sarebbe peggio, se a nessuno fregasse niente.»