Aprì un cassetto, prese un cucchiaio, poi riempì un bicchiere di acqua del rubinetto e uscì dalla cucina con cucchiaio, bicchiere e la boccetta di sciroppo per la tosse che aveva appena comprato.
«Quando arrivai in camera di Gilly, la chiamai» racconta alla dottoressa.
“Gilly? Gilly?” Perché non aveva senso… “Gilly? Dov’è il tuo pigiama? Perché te lo sei tolto, avevi caldo? Oddio, dov’è il termometro? Ti sarà mica salita di nuovo la febbre?”
Gilly era stesa sul letto a faccia in giù, completamente nuda, i capelli biondi sparsi sul cuscino, le braccia alzate sopra la testa, le gambe piegate a rana.
“Oddio oddio oddio…” Si mise a tremare convulsamente.
Trapunta e lenzuola erano ammucchiate ai piedi del letto, mezze per terra. Sweetie non era sul letto, non era sotto le coperte, perché non c’erano coperte sul letto. Le lenzuola erano sul pavimento e Sweetie non c’era. Cucchiaio, bicchiere e sciroppo finirono per terra. Non si accorse di averli mollati, però li vide rotolare sul pavimento, vide la pozza di acqua allargarsi sulle assi di legno e si mise a urlare. Le mani che afferrarono Gilly per le spalle non sembravano neanche le sue. Era calda, la girò, la scrollò… E lanciò un altro urlo.
20
Rudy se ne è andato da un po’ e Lucy è in cucina a leggere il verbale della polizia, dove è spiegato che l’effrazione denunciata in data odierna potrebbe essere collegata a quella avvenuta in precedenza nella stessa abitazione eccetera eccetera.
Accanto al verbale c’è una busta gialla, grande, con il disegno dell’occhio che hanno trovato appeso alla porta di servizio. “Bravo Rudy, non gliel’hai lasciato portare via” pensa. Adesso può condurre su quel foglio prove anche distruttive. Guarda fuori dalla finestra e si chiede se la sua vicina Kate sta continuando a bere. Pensando all’odore del vino, le viene la nausea. La disgustano sia lo champagne sia le eccessive confidenze che questo permette di prendersi con sconosciuti resi più affascinanti dall’alcol. C’è passata anche lei e non ne vuole più sapere. Il solo pensiero la riempie di orrore e di rimorso.
È contenta che Rudy sia andato via, così può evitare di parlargliene e di fargli tornare in mente quel periodo terribile. Rischierebbero di piombare in un silenzio imbarazzante, oppure di litigare di nuovo. Quando Lucy beveva, si prendeva tutto quello che le pareva e piaceva per poi scoprire che non le piaceva affatto, che le faceva schifo o la lasciava del tutto indifferente. Sempre che ricordasse cosa si era presa, naturalmente. Da un certo punto in poi, infatti, non ricordava più niente. Non ha ancora trent’anni, ma ha già dimenticato moltissimo. L’ultima volta che si è ubriacata, si è ritrovata su un terrazzo al trentesimo piano, in calzoncini corti nonostante fosse una gelida notte di gennaio a New York, dopo una festa al Greenwich Village.
Non ricorda perché era su quel terrazzo. Forse voleva andare nel bagno e aveva sbagliato porta, o forse aveva preso la ringhiera per la sponda della vasca da bagno e l’aveva scavalcata. Fatto sta che si era ritrovata a guardare la strada trenta piani più in basso. Se fosse caduta, probabilmente sua zia avrebbe letto il referto dell’autopsia e concordato con i colleghi che si era trattato di suicidio in stato di ubriachezza. Nessun test al mondo avrebbe mai potuto dimostrare che Lucy si era alzata per andare nel bagno nella casa sconosciuta di qualche sconosciuto incontrato al Village e aveva semplicemente sbagliato porta. Per fortuna tutto questo è passato, e Lucy non ha voglia di ripensarci.
Quella è stata l’ultima volta che si è ubriacata. Adesso non beve più: l’odore dell’alcol le ricorda l’odore di amanti mai amate, che non avrebbe neppure toccato se fosse stata sobria. Guarda la casa della sua vicina, poi esce dalla cucina e sale di sopra. Pensa che quando si è messa con Henri non era ubriaca. Almeno questo.
Entra nel suo studio, accende le luci e apre una valigetta nera che sembra una normale ventiquattrore, ma in realtà è la custodia di un Global Remote Surveillance Command Center, un sistema di controllo che le consente di accedere a ricevitori wireless in tutto il mondo. Controlla che le batterie siano cariche e che i ripetitori e i registratori funzionino, collega la centralina alla linea telefonica, accende il ricevitore e si infila le cuffie. Vuole sentire se Kate sta parlando con qualcuno, in palestra o in camera. Ma non sente nulla. Si siede alla scrivania, guarda dalla finestra i riflessi del sole sul mare e le palme che si muovono nel vento, restando in ascolto. Effettua alcune regolazioni e continua ad aspettare.
Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, si toglie le cuffie e le posa sul tavolo. Si alza e sposta la valigetta vicino al Crimescope. Una nuvola copre il sole e di colpo la luce si abbassa. Un attimo dopo, però, il sole torna a illuminare lo studio. Lucy si infila un paio di guanti di cotone, toglie il disegno dell’occhio dalla busta e lo posa su un grande foglio bianco. Si risiede, rimette le cuffie e prende un flacone di ninidrina. Lo apre e lo spruzza sul disegno, stando attenta a non inumidirlo troppo. Lo spray non contiene clorofluorocarburi e non dovrebbe danneggiare l’ambiente, ma ha comunque un odore fastidioso. Lucy tossisce.
Si toglie nuovamente le cuffie e si alza. Porta il foglio umido e puzzolente vicino a un ferro a vapore, lo accende, aspetta che si scaldi e preme il pulsante del vapore. Posa il disegno dell’occhio sull’apposito poggiaferro resistente al calore e vi avvicina il ferro, facendo uscire una nuvola di vapore. Nel giro di pochi secondi sul foglio appaiono macchie violacee e Lucy individua una serie di impronte digitali che non può aver lasciato lei perché ricorda benissimo dove ha toccato il foglio per staccarlo dalla porta, a parte il fatto che ha usato i guanti. Non possono averle lasciate neppure gli agenti di polizia, perché Rudy non ha certamente permesso loro di toccarlo. Lucy fa attenzione a non mandare vapore sullo scotch, che non è poroso e non reagisce alla ninidrina, perché il calore farebbe sciogliere la colla eliminando eventuali tracce lasciate dai polpastrelli.
Torna al tavolo, si risiede, infila le cuffie, inforca un paio di occhiali e sistema il disegno macchiato di viola sotto la lente del microscopio. Lo accende, accende anche la lampada a raggi ultravioletti e guarda dall’oculare, arricciando il naso per l’odore di sostanze chimiche. Il tratto della matita è una linea bianca e sottile e vicino all’iride c’è una debole impronta. Lucy regola la messa a fuoco cercando di rendere l’immagine più nitida possibile e constata che l’impronta, benché parziale, è più che sufficiente per lo IAFIS, il sistema integrato di identificazione di impronte automatizzato dell’FBI. Quando ha confrontato le impronte latenti rilevate nella sua camera da letto dopo l’aggressione ai danni di Henri con quelle del database, non ha ottenuto risultati: evidentemente la bestia non è schedata. Questa volta confronterà l’impronta latente con gli oltre due miliardi di impronte latenti contenute nel database e chiederà a qualcuno dell’Ultimo Distretto di confrontare quelle rilevate in camera con quelle del disegno. Monta una fotocamera digitale sull’oculare del microscopio e scatta alcune foto.
Cinque minuti dopo, mentre fotografa un’altra impronta, meno nitida della precedente, sente un suono nelle cuffie. Alza il volume, effettua alcune regolazioni e controlla che il nastro registri quello che lei sta per sentire in diretta.
«Cosa stai facendo?» domanda la voce strascicata di Kate. Lucy la sente bene e si china in avanti per controllare che la centralina funzioni correttamente. «Non riesco a venire al tennis, oggi.» La voce le arriva alle orecchie attraverso il trasmettitore nascosto nell’adattatore inserito nella presa della palestra.
Si sente in sottofondo il rumore dell’ellittica, ma Lucy dubita che la sua vicina si alleni nelle condizioni in cui è. L’ubriachezza, però, non le impedisce di spiarla: Kate sta sbirciando dalla finestra. Probabilmente non ha niente di meglio da fare che bere e curiosare tutto il giorno.