Dalla sua finestra preferita, quella da cui tiene sotto controllo la situazione seduto sulla poltrona di pelle, osserva l’anziana signora di colore che tira fuori dal baule le borse della spesa. “Sarà una domestica” pensa, irritato che una domestica di colore guidi la stessa automobile che aveva sua madre quando lui era piccolo. Un tempo era una bella macchina: non era da tutti avere un’Impala bianca con una striscia azzurra di lato. Era fiero dell’Impala di sua madre. Peccato che a furia di slittare sulla neve fosse finita fuori strada. Sua madre guidava malissimo, non avrebbe dovuto andare in giro su un’Impala. L’impala è un’antilope africana, agile e timida. Anche sua madre si spaventava facilmente. Non avrebbe dovuto mettersi al volante di un’automobile con un nome così.
L’anziana domestica nera scarica lentamente le borse della spesa dal baule e va verso la porta di servizio della casa. Poi torna alla macchina, prende altre borse dal bagagliaio e chiude la portiera con il fianco. Marcus pensa che l’Impala era proprio una bella macchina: quella della domestica nera deve avere una quarantina di anni, eppure sembra in buone condizioni. Marcus non ricorda l’ultima volta che ha visto un’Impala del ’63 o del ’64. Vederne una proprio oggi è certamente significativo. Torna in cucina a prendere il caffè. Se aspetta un’altra ventina di minuti, arriverà in ufficio quando tutti sono già al lavoro e non dovrà parlare con nessuno. Mentre aspetta, gli viene di nuovo la tachicardia, si agita.
Lì per lì dà la colpa al caffè, benché sia decaffeinato e l’abbia appena assaggiato, ma poi si rende conto del perché di tanta agitazione: è stato vedere l’Impala a renderlo inquieto. Sarebbe stato molto meglio se quella domestica nera avesse fatto un’altra strada e non gli fosse passata davanti proprio oggi, subito dopo il camion della nettezza urbana. Torna in salotto e si siede sulla poltrona nera, appoggia la testa allo schienale e cerca di rilassarsi, ma il cuore gli batte talmente forte che gli sembra di vederlo pulsare sotto la camicia bianca. Respira profondamente e chiude gli occhi.
Abita in quella casa da quattro mesi e non ha mai visto quell’Impala. Probabilmente è talmente vecchia che non ha airbag, né sul volante né sul cruscotto, e ha cinture di sicurezza del tipo vecchio. Immagina gli interni dell’auto, ma non è tanto all’Impala azzurra posteggiata più avanti che pensa, quanto a quella bianca di sua madre. Dimentica il caffè sul tavolino accanto alla poltrona e chiude gli occhi. Ogni tanto si alza a guardare dalla finestra e, quando finalmente l’Impala azzurra non c’è più, si alza, inserisce l’allarme, esce, chiude a chiave la porta di casa e va in garage. Improvvisamente gli viene il dubbio di essersela inventata. Ma no, non è possibile. L’ha vista benissimo. Era lì…
Sale in macchina, esce in strada e, passando davanti alla casa dove ha visto entrare la domestica nera con le borse della spesa e l’Impala azzurra, rallenta e si ferma. Resta seduto sulla sua Volvo dotata di tutti i più sofisticati sistemi di sicurezza a osservare il vialetto vuoto. A un certo punto si decide e scende. È abbastanza elegante, sebbene il cappotto grigio e il cappello in tinta siano un po’ fuori moda e i guanti neri siano vecchissimi. Ma nel complesso ha un’aria rispettabile. Suona il campanello. Dopo un attimo suona di nuovo, e la porta si apre.
«Sì?» chiede una signora sulla cinquantina, in tuta da ginnastica e scarpe da tennis. Ha un’aria familiare ed è abbastanza gentile.
«Sono Joel Marcus, abito qui di fronte» si presenta lui con voce affabile. «Ho visto una vecchia Impala azzurra parcheggiata qui davanti, poco fa.» Ha già deciso che, se vedrà che la donna cade dalle nuvole, ammetterà di aver sbagliato casa.
«Ah, sì! La signora Walker ce l’ha da una vita, ma non vuole cambiarla» spiega la signora sorridendo. Marcus tira un sospiro di sollievo.
«Eh, già» replica. «Sa, mi sono incuriosito perché colleziono auto d’epoca.» Non è vero, naturalmente, ma doveva assolutamente accertare di non essersi inventato tutto.
«Non gliela venderà, si rassegni» replica la donna, allegra. «La signora Walker è troppo affezionata a quella macchina. Non ci siamo mai presentati, ma io la conosco di fama. È il nuovo coroner della città, vero? Ha preso il posto della dottoressa… Oddio, mi sono scordata come si chiama. Mi è dispiaciuto un sacco, quando è andata via, mi era simpatica. Come mai si è trasferita in Florida, comunque? Lei lo sa? Oh, ma non stia fuori al freddo. Venga, si accomodi. Bella donna, oltre che in gamba, la dottoressa… Oh, com’è che si chiamava più?»
«No, no, devo andare» risponde Marcus con voce rigida e seccata. «Ho appuntamento con il governatore e sono già in ritardo» mente.
25
Il sole brilla debolmente nel pallido cielo grigio. Kay Scarpetta attraversa il parcheggio a grandi passi, con i lembi del cappotto scuro che sventolano, dirigendosi verso la porta d’ingresso dell’Istituto di medicina legale. Si irrita nel vedere che il posto riservato al direttore è vuoto: il dottor Marcus non è ancora arrivato. È in ritardo come al solito.
«Buongiorno, Bruce» dice alla guardia alla reception.
L’uomo le sorride e le fa cenno di proseguire. «Scrivo io il suo nome sul registro» dice, aprendole la porta che conduce nell’ala del palazzo riservata al direttore.
«Marino è già arrivato?» domanda lei prima di entrare.
«Non l’ho ancora visto» risponde Bruce.
Quando Fielding ieri sera non si è fatto trovare a casa, Kay Scarpetta ha provato a chiamarlo al telefono, ma il numero evidentemente era cambiato. Allora ha cercato Marino sul cellulare: doveva essere in un bar, perché c’erano un gran baccano e voci di sottofondo, ma lei non gli ha fatto domande e si è limitata a dirgli che Fielding sembrava non essere in casa e che, se non si fosse fatto vivo nel giro di qualche minuto, lei sarebbe tornata in albergo. Marino le ha risposto che andava bene, grazie, di chiamarlo se aveva bisogno di qualcosa.
Kay Scarpetta ha provato ad aprire la porta principale e quella di servizio, ma Fielding le aveva chiuse a chiave. Ha suonato il campanello e ha bussato, sempre più infastidita. La macchina era lì fuori, coperta da una cerata. Kay era abbastanza sicura che fosse ancora la vecchia Mustang rossa che conosceva, ma per esserne certa ha sollevato un lembo della cerata constatando di avere ragione. Ne aveva notata una nel posteggio dell’Istituto di medicina legale la mattina, quindi Fielding la usava ancora. Ma il fatto che l’auto fosse lì, coperta da una cerata, non significava che lui fosse in casa. Magari aveva anche un’altra macchina, meno delicata. Era molto probabile che possedesse due auto e che avesse preso l’altra per andare a fare una commissione. Probabilmente era in ritardo, o forse si era scordato di averla invitata a cena.
Dopo aver fatto queste considerazioni mentre aspettava davanti alla porta, a un certo punto le è venuto il dubbio che Fielding si fosse sentito male. E se fosse caduto? E se avesse avuto una crisi allergica particolarmente grave, o addirittura uno shock anafilattico? E se si fosse suicidato? Magari aveva deciso di togliersi la vita proprio quel giorno, sapendo che lei sarebbe andata a casa sua e avrebbe saputo che cosa fare. Porse contava su di lei perché lo salvasse. Ma perché contavano tutti su di lei? Sarebbe stato scioccante entrare in casa di Fielding e trovarlo disteso sul letto con una pallottola nel cranio o lo stomaco pieno di pillole. Possibile che la credano tutti capace di gestire qualsiasi situazione? Tutti a parte Lucy, la quale sa che anche lei ha dei limiti e cerca di proteggerla. E da settembre che non si vedono. C’è qualcosa che non va, ma Lucy non vuole dirle cosa.
«Non lo trovo da nessuna parte» dice Kay Scarpetta a Bruce, riferendosi a Marino. «Se lo vede, gli dice per piacere che lo sto cercando? Sono nell’ufficio del dottor Marcus.»