«Capire cosa, signora Paulsson?» chiede l’agente speciale Weber.
«Be’, Frank fa le visite mediche per il rinnovo dell’idoneità al volo. Quindi gli arrivano in studio un sacco di donne in tuta da pilota. Se lo immagina?»
«Suo marito è stato mai accusato di molestie sessuali?»
«Non è mai stato denunciato» replica la signora Paulsson. «E, se lo chiedete a lui, nega. Secondo me, è perché ha una sorella nell’aviazione, capisce? Cioè, mi sono sempre chiesta se non è per quello. Sorella maggiore. Una bella differenza di età.»
Il dottor Marcus entra in quel preciso momento, con una camicia di cotone semitrasparente e una cravatta blu troppo stretta. Lancia un’occhiata veloce a Kay Scarpetta e quindi alla signora Paulsson.
«Piacere, Marcus» le dice in tono autorevole ma cordiale.
«Signora Paulsson, il dottor Marcus è il direttore dell’Istituto di medicina legale della Virginia» spiega Kay.
«Avete invitato voi la signora?» chiede Marcus, rivolgendosi prima a Kay Scarpetta e poi a Karen Weber. «Non dovrebbe essere qui.»
La signora si alza lentamente, con fatica, come se non avesse il pieno controllo sulle gambe. «Non so cosa sia successo. Sono venuta a firmare delle carte e a ritirare i gioielli di mia figlia…»
«Temo sia stata colpa mia, signora» dice Kay Scarpetta alzandosi in piedi anche lei. «L’ho vista qui fuori e ho pensato erroneamente che fosse venuta per parlare con il dottor Marcus. Mi scusi tanto.»
«Sapevo che sarebbe passata stamattina, signora» dice Marcus. «Condoglianze vivissime.» Le fa un sorriso pieno di condiscendenza. «Stiamo dedicando il massimo impegno al caso di sua figlia.»
«Oh» risponde la signora Paulsson.
«La accompagno» dice Kay Scarpetta, aprendo la porta. «Mi dispiace. Spero di non averla messa troppo in imbarazzo» aggiunge poi nel corridoio.
«Mi dica dov’è Gilly» chiede a un certo punto la donna, fermandosi. «Mi dica dov’è esattamente.»
Kay è titubante. Non è la prima volta che le viene rivolta quella difficile domanda. «Oltre quelle porte, signora.» Si volta e indica una serie di porte all’altra estremità del corridoio.
«È in una bara? Avete bare molto semplici, vero? Di legno di pino?» Le si riempiono gli occhi di lacrime.
«No, non è in una bara. Non abbiamo bare. È in una cella frigorifera.»
«Povera figlia mia, chissà che freddo!» Singhiozza.
«Gilly non sente più né freddo né dolore, signora Paulsson» la conforta Kay Scarpetta. «Glielo assicuro.»
«Lei l’ha vista?»
«Sì» risponde Kay Scarpetta. «L’ho visitata.»
«Mi dica che non ha sofferto, per favore. Mi dica che non ha sofferto.»
Kay Scarpetta non può dirglielo. Sarebbe una bugia. «Dobbiamo effettuare una serie di esami» risponde. «I risultati impiegheranno un po’ ad arrivare. Ma stiamo mettendocela tutta per scoprire che cosa è successo a sua figlia.»
La signora Paulsson continua a piangere. Kay Scarpetta la accompagna negli uffici amministrativi e chiede a un’impiegata di consegnarle copia del referto e gli effetti personali di Gilly, ovvero un paio di orecchini d’oro a forma di cuoricino e un braccialetto di pelle. Il pigiama, le lenzuola e le altre cose che sono state prelevate dalla sua stanza sono considerate prove e non possono essere riconsegnate alla famiglia. Tornando nella sala riunioni, Kay incontra Marino. Ha la testa china e la faccia tutta rossa.
«Buongiorno» lo saluta. «Io ho cominciato male la giornata, ma neanche tu mi sembri in gran forma. Ti ho cercato, hai visto?»
«Che cosa ci faceva qui?» chiede Marino agitato, riferendosi alla signora Paulsson.
«È venuta a ritirare gli effetti personali della figlia e alcuni referti.»
«Pensavo che non potesse ritirare referti. La salma è ancora qui…»
«Be’, è comunque la madre. Non so che referti le abbiano dato. Non so niente di niente, per la verità» protesta. «Alla riunione c’è anche un’agente speciale dell’FBI. Non so chi altri sia stato invitato. L’ultima che ho sentito è che Frank Paulsson molesta le sue pazienti.»
«Ah.» Marino si comporta in un modo strano, puzza di alcol e ha la faccia stravolta.
«Come stai?» gli domanda Kay Scarpetta. «Non troppo bene, sembra.»
«Niente di preoccupante» risponde lui.
26
Marino mette lo zucchero nel caffè. Deve stare veramente male per prendere zucchero bianco raffinato, che è proibito dalla sua dieta e gli fa malissimo.
«Sicuro di volercene mettere così tanto?» gli chiede Kay. «Non è che poi te ne penti?»
«Vorrei sapere cosa è venuta a fare qui.» Mette un altro cucchiaino di zucchero nel caffè. «Entro nell’istituto e me la trovo davanti: possibile? Non mi dire che è venuta a vedere Gilly perché non ci credo. Cos’è venuta a fare, mi domando.»
Marino indossa gli stessi vestiti di ieri: pantaloni neri, giacca a vento nera e berretto del Dipartimento di polizia di Los Angeles. Non si è fatto la barba e ha gli occhi pesti. Forse, dopo aver bevuto con i suoi amici è andato a trovare una delle sue amichette, donne in genere volgari e appariscenti che rimorchia al bowling.
«Se sei di questo umore, forse è meglio che alla riunione vada io sola» gli dice Kay. «In fondo tu non sei invitato. Non voglio fare brutte figure. So benissimo che effetto ti fa lo zucchero, da quando sei a dieta.»
«Se sono di questo umore ho le mie buone ragioni» borbotta Marino guardando la porta chiusa.
«Che cosa è successo?»
«Circolano delle voci» risponde truce. «Sul tuo conto.»
«Quali voci?» Kay Scarpetta odia i pettegolezzi e in genere non ci bada.
«Dicono che stai per tornare a lavorare qui, che sei a Richmond per questo.» La guarda con fare accusatorio e beve un sorso di caffè dolcissimo. «Mi stai nascondendo qualcosa?»
«Pensi che stia veramente per tornare a Richmond?» dice Kay Scarpetta. «Mi stupisce che tu creda a questi pettegolezzi.»
«Io a Richmond non torno, ti avverto» dice Marino, come se si stesse parlando di lui. «Non pensarci nemmeno.»
«Infatti non ci penso. Non pensarci neanche tu e facciamola finita.» Apre la porta della sala riunioni.
Marino può seguirla dentro, se vuole, oppure restare fuori a bere caffè zuccherato tutto il giorno: Kay non ha intenzione di pregarlo e supplicarlo. Cercherà più tardi di capire che cosa lo preoccupa tanto: adesso ha una riunione con il dottor Marcus, l’FBI e Jack Fielding, che ieri sera l’ha invitata a cena e poi non si è fatto trovare. Va a sedersi nel più perfetto silenzio. Marino la segue e le si siede vicino.
«Bene, possiamo cominciare» esordisce Marcus. «Lei ha già conosciuto l’agente speciale Weber dell’unità Profili psicologici dell’FBI» dice a Kay Scarpetta. Marcus ha sbagliato il nome dell’unità: Karen Weber poco fa ha detto di essere dell’unità Scienze comportamentali. «Abbiamo un problema serio. Come se non ne avessimo già abbastanza.» Ha la faccia cupa e lo sguardo gelido. «Dottoressa Scarpetta, lei ieri ha condotto una nuova autopsia sul corpo di Gilly Paulsson, dico bene? Ha anche esaminato Whitby, l’infortunio sul lavoro?»
Fielding guarda una pratica e non dice nulla. Ha la faccia rossa.
«Non userei la parola “esaminato”» risponde Kay Scarpetta, lanciando un’occhiata a Fielding. «A che cosa vuole arrivare, comunque?»
«L’ha toccato?» domanda l’agente speciale dell’FBI.
«Scusate, l’FBI è coinvolta anche nella morte del signor Whitby?» chiede Kay.
«Non è da escludere. Speriamo di no, ma è possibile» risponde l’agente speciale Karen Weber, che sembra divertirsi a interrogare l’ex direttrice dell’istituto.