«Potrebbe?» Kay Scarpetta svolta in Franklin Street. Stanno andando alla vecchia sede dell’Istituto di medicina legale, ormai in demolizione. «Sembravi molto sicuro di quel che dicevi, alla riunione, sempre che possiamo definirla tale. Adesso usi invece il condizionale. Vuoi dirmi come stanno le cose, per favore?»
«Mi ha chiamato al cellulare ieri sera» risponde Marino. «Hai visto che ne hanno buttato giù un altro pezzo? Distruggono tutto, da queste parti. In più di un senso.» Guarda il cantiere.
L’edificio è più piccolo e triste dell’ultima volta in cui lo hanno visto. O forse è un’impressione. Nelle vicinanze di Fourteenth Street, Kay Scarpetta rallenta e comincia a cercare posteggio.
«Ci conviene andare in Cary Street» decide poi. «C’è un parcheggio a pagamento. Cioè, un tempo c’era, ma adesso non so.»
«Fregatene: lasciala davanti al cantiere» suggerisce Marino. Prende dalla sua valigetta di stoffa nera un cartellino rosso con la scritta MEDICO LEGALE e lo appoggia sul cruscotto.
«Come te lo sei procurato?» Kay Scarpetta è incredula.
«Se dai corda alle impiegate, ottieni tutto quello che vuoi.»
«Sei terribile» ribatte lei scuotendo la testa. «Vorrei averne uno io» aggiunge poi. Un tempo parcheggiare non era un problema, per lei. Quando si muoveva per lavoro, con quel permesso poteva lasciare l’auto dove voleva. Se andava in tribunale nelle ore di punta, quando non c’era un posto a pagarlo oro, non aveva problemi. «Perché ieri sera la signora Paulsson ti ha chiamato?» Non riesce a chiamarla Suz.
«Aveva bisogno di parlare» risponde Marino aprendo la portiera. «Su, cerchiamo di fare presto. Ti saresti dovuta mettere un paio di stivali.»
28
È da ieri sera che Marino non fa che pensare a Suz. Gli piacciono i suoi capelli, lunghi fino alle spalle, biondi. Marino preferisce le bionde, da sempre.
La prima volta che l’ha vista, a casa sua, ha notato il bel viso tondo e le labbra carnose. Ma ad attrarlo è stato soprattutto il modo in cui lo guardava, in cui lo faceva sentire importante: le leggeva negli occhi che lo riteneva un uomo capace di risolvere qualsiasi problema. Povera donna, invece i suoi problemi sono irrisolvibili e solo Dio potrebbe fare qualcosa per lei, ma non lo farà mai perché è molto meno sensibile di Marino ai problemi delle donne.
È stato il modo in cui lo guardava ad affascinarlo e, quando si sono ritrovati vicini, mentre lui perquisiva la stanza di Gilly, fra loro c’è stato un brivido di intesa. Marino sapeva che, se Kay Scarpetta se ne fosse accorta, gli avrebbe fatto la predica.
Cammina al suo fianco nel fango con sicurezza, benché non abbia le scarpe adatte. Non si lamenta mai di nulla. Lui rimane impantanato con gli anfibi e lei invece, nonostante i mocassini neri con il tacco basso, giusti per il tailleur, va avanti con la massima disinvoltura. È tutta infangata, ormai: scarpe, pantaloni del tailleur e persino il cappotto. Gli operai del cantiere li vedono e interrompono il lavoro. Un uomo con il casco e una cartellina in mano li guarda, dice qualcosa a un collega e va loro incontro gesticolando, facendo segno che devono andare via. Marino per tutta risposta lo invita ad avvicinarsi. Quando l’uomo con la cartellina in mano nota che Marino ha il berretto della polizia di Los Angeles, cambia espressione. E Marino pensa che quel berretto si sta rivelando sempre più utile, visto che gli consente di non mentire quando si presenta e non solo.
«Sono l’ispettore Marino» esordisce. «E la signora è la dottoressa Scarpetta, anatomopatologa.»
«Ah» fa l’uomo con la cartellina. «Siete qui per Ted Whitby.» Scrolla la testa. «Non ci posso credere. Avete saputo della moglie, immagino.»
«Ci dica» replica Marino.
«È incinta. Il loro primo figlio, pensate. Ted era divorziato. Che roba! Comunque, vedete quel signore laggiù?» Si volta verso la costruzione semidistrutta e indica un uomo in grigio che sta scendendo da una scavatrice. «È Sam Stiles. Aveva dei problemi con Ted, diciamo così. Adesso la moglie dice che è colpa sua, che ha fatto passare la palla da demolizione troppo vicino al trattore ed è per questo che Ted è caduto e ci è rimasto sotto.»
«Pensate che sia caduto dal trattore?» domanda Kay Scarpetta.
Marino sa che sta cercando di ricordare la scena: è convinta di aver visto Ted Whitby poco prima che morisse, pensa che l’uomo che ha notato quando sono passati davanti al cantiere, in piedi davanti al trattore a trafficare con il motore fosse lui. Forse ha ragione, Kay Scarpetta non sbaglia quasi mai.
«Non ne siamo sicuri» ribatte l’uomo con la cartellina, che ha più o meno l’età di Marino ma molti più capelli e anche più rughe. Ha la pelle abbronzata e coriacea come quella di un cowboy e gli occhi azzurrissimi. «È quello che dice la moglie. Vuole dei soldi, probabilmente. È sempre così. Poverina, è in difficoltà, non lo metto in dubbio. Però non mi sembra giusto dare la colpa agli altri, se le è morto il marito.»
«Lei era qui, quando è successo?» chiede Kay Scarpetta.
«Sì. Sarò stato a cinquanta metri di distanza.» Indica un angolo dell’edificio.
«Ha assistito all’incidente, dunque?»
«No. Nessuno ha visto niente, per la verità. Ted era nel parcheggio sul retro e controllava il motore perché il trattore si era fermato. Secondo me, l’ha fatto partire e ci è rimasto sotto. Io e gli altri abbiamo visto solo il trattore che si muoveva senza nessuno sopra e andava a sbattere contro il paletto giallo vicino all’entrata. È andata bene che c’era quel paletto, almeno l’ha fermato. Dopo abbiamo visto Ted per terra, ferito. Perdeva molto sangue. Ci siamo accorti subito che era gravissimo.»
«Era ancora cosciente, quando vi siete avvicinati?» domanda Kay Scarpetta. Come al solito, prende appunti sul suo blocco. A tracolla ha la borsa di nylon nera in cui tiene tutto l’occorrente per raccogliere tracce e reperti.
«Io non l’ho sentito parlare» risponde l’uomo con la cartellina. Fa una smorfia di dolore e si volta dall’altra parte. Deglutisce, poi si schiarisce la voce e riprende: «Però aveva gli occhi aperti e respirava con fatica. Non me lo scorderò mai, come cercava di respirare. A un certo punto è diventato blu in faccia e un attimo dopo era morto. Sono arrivati i soccorsi e la polizia, naturalmente, ma non c’era più niente da fare».
Marino ascolta e decide di fare un paio di domande perché gli dà fastidio stare lì con i piedi nel fango, fermo e zitto. Si sente stupido. Kay Scarpetta lo fa sentire stupido. Non lo fa apposta, naturalmente, il che è ancora peggio.
«Dov’era questo Sam Stiles al momento dell’incidente?» chiede, indicando con il berretto del Dipartimento di polizia di Los Angeles lo scavatore fermo e la palla da demolizione che ondeggia dal cavo. «Vicino a Whitby?»
«No, lontanissimo. È assurdo. L’idea che Ted sia caduto dal trattore per colpa della palla da demolizione è assolutamente ridicola. Solo che non c’è niente da ridere, purtroppo. Avete presente come ti riduce una palla da demolizione, se ti piglia sulla testa?»
«Piuttosto male, suppongo» dice Marino.
«Ti distrugge. Se dopo ti passa sopra un trattore, manco te ne accorgi.»
Kay Scarpetta prende appunti, alzando la testa ogni tanto per guardarsi intorno. Una volta Marino ha trovato il suo blocco sulla scrivania, in piena vista, mentre lei era fuori ufficio. Incuriosito, ha cercato di leggere che cosa c’era scritto, ma è riuscito a decifrare una parola soltanto: il suo nome, Marino. Non soltanto Kay ha una grafia illeggibile, ma usa un linguaggio tutto suo, una specie di stenografia segreta, che solo lei e Rose conoscono.
Sta chiedendo all’uomo con la cartellina come si chiama e lui risponde “Bud Light”. “Facile da ricordare” pensa Marino, che pure non beve birra Bud Light. Kay Scarpetta vuole sapere dov’era Ted Whitby dopo l’incidente, perché vuole raccogliere alcuni campioni di terra nel punto esatto in cui è stato investito. Bud Light non fa domande, dando per scontato che sia normalissimo raccogliere campioni di terra dai cantieri in cui muore un operaio. Si incamminano nel fango verso l’edificio in demolizione. Marino non riesce a togliersi di testa Suz.