Ieri sera era al bar a bersi il bicchiere della staffa con Junius Eise, dopo che Browning era andato a casa, e nel bel mezzo di un discorso molto interessante gli è squillato il cellulare. Aveva già bevuto parecchio e forse non avrebbe dovuto rispondere. In condizioni normali lo avrebbe tenuto spento, ma aveva detto a Kay di chiamarlo, se aveva bisogno, visto che Fielding non si era fatto trovare in casa, nonostante l’avesse invitata a cena. È stato per questo che ha risposto, anche se è vero che quando è un po’ sbronzo risponde più facilmente sia alla porta che al telefono.
“Pronto?” Doveva gridare, perché nel bar c’era molto rumore.
“Ispettore Marino? Sono Suzanna Paulsson. Scusi se la disturbo.” Ed è scoppiata a piangere. Quel che gli ha detto dopo non ha importanza, nemmeno se lo ricorda. Ci ripensa, mentre cammina nel fango con Bud Light e Kay Scarpetta, che sta prendendo dalla borsa di nylon nera una confezione di abbassalingua di legno e un certo numero di bustine di plastica. Quello che ha veramente importanza è successo dopo la telefonata. Marino non se lo ricorda, e probabilmente non gli tornerà mai in mente, perché Suz, quando è arrivato a casa sua, gli ha offerto un bicchierino di bourbon, poi un altro, e poi un altro ancora. Dopo avergli aperto la porta, ha tirato le tende del salotto, si è seduta sul divano vicino a lui e ha cominciato a raccontargli quanto è cattivo il suo ex marito, che fa l’informatore per la Sicurezza Nazionale, molesta le donne pilota e ha gusti sessuali un po’ particolari. Gli ha spiegato che invitava altre coppie a casa loro, come se fosse una cosa importante, e lui le ha chiesto se era a queste persone che si riferiva quel pomeriggio, quando ha detto che le avevano portato via la sua bambina. Suz non gli ha risposto. Continuava a dire: “Chiedilo a Frank”.
“Lo chiedo a te, invece” ha ribattuto lui a un certo punto.
“Chiedilo a Frank” è stata la sua risposta. “Invitava certi tipacci… Chiediglielo.”
“E perché li invitava?”
“Fattelo dire da lui.”
Marino guarda Kay Scarpetta che si infila un paio di guanti di lattice e apre una busta di carta bianca. Sul luogo dell’incidente non c’è nulla, a parte asfalto e fango. La osserva mentre si accuccia a controllare per terra. Ripensa a ieri mattina, a quando sono passati lì davanti sull’auto presa a noleggio parlando dei vecchi tempi. Quanto gli piacerebbe poter tornare indietro… Se solo fosse possibile… Ha lo stomaco in subbuglio, gli fa male la testa ed è agitato. Respira profondamente e si sente in bocca un sapore di polvere e cemento.
«Che cosa cercate esattamente, se posso chiedere?» domanda Bud Light.
Kay Scarpetta passa un abbassalingua nella terra, su una macchia che forse è di sangue. «Niente di particolare. Un normale controllo» risponde.
«Sa, ogni tanto guardo quegli sceneggiati in televisione… Mia moglie non se ne perde uno.»
«Non rispecchiano la realtà» replica lei, mettendo in una bustina un po’ di terra e l’abbassalingua che ha usato per raccoglierla. Chiude la bustina, ci scrive sopra qualcosa che Marino non riesce a leggere, poi la infila nella borsa di nylon nera.
«Non avete macchinari magici in cui mettere la roba che raccogliete in giro, che vi dicono tutto quello che c’è dentro?» scherza Bud.
«Non c’è niente di magico» spiega lei, prendendo un’altra bustina di plastica. In quel parcheggio, qualche anno prima, lasciava la macchina tutte le mattine per andare a lavorare.
Marino ogni tanto prova delle fitte violente, quasi elettriche, come un televisore che sta per rompersi definitivamente e lampeggia. È inquieto, tormentato. Non ricorda quasi più niente di ieri sera. Labbra, lingua, mani, occhi chiusi, la sua bocca su di lei. L’unica cosa che sa per certo è che si è svegliato nudo nel letto di Suz alle cinque e sette minuti di stamattina.
Kay Scarpetta sembra un’archeologa. Per quel che ne sa lui di archeologia, naturalmente. Passa l’abbassalingua su una zona in cui Marino crede di vedere alcune macchie di sangue. Ha il cappotto che tocca per terra e non ci fa neppure caso. Se le donne fossero tutte così… Se dessero poca importanza alle cose che non contano e si concentrassero su quelle che contano veramente, come Kay… Probabilmente lei avrebbe capito. Si sarebbe alzata, avrebbe fatto il caffè, gli avrebbe parlato. Non si sarebbe chiusa nel bagno a piangere e gridare. Non gli avrebbe urlato di andarsene immediatamente.
Marino si allontana a grandi passi nel fango, scivola, ritrova l’equilibrio, va in un angolo e comincia a vomitare, piegato in due, schizzandosi le scarpe.
Trema tutto, suda freddo e gli sembra di morire. Poi sente la mano di Kay sul braccio. La riconoscerebbe ovunque, forte, salda, sicura.
«Vieni» gli dice. «Torniamo in macchina. Stai meglio? Su, appoggiati a me e stai attento a non scivolare, se no finiamo per terra tutti e due.»
Marino si pulisce la bocca nella manica del cappotto e comincia a camminare, reggendosi a lei, con le lacrime agli occhi: è lì che si sono conosciuti, tanti anni fa.
«Non vorrei averla violentata» le confida, sentendosi a pezzi. «Cosa mi succederà, se l’ho violentata?»
29
Nella camera d’albergo fa troppo caldo, ma Kay Scarpetta ha rinunciato a cercare di regolare il termostato. E seduta in poltrona, vicino alla finestra, e osserva Marino steso sul letto. È vestito: si è tolto solo il berretto e le scarpe.
«Devi mangiare qualcosa» gli consiglia.
Ha posato la borsa di nylon nera sporca di fango per terra e il cappotto, anch’esso infangato, su una sedia. Marino guarda le impronte di terra che hanno lasciato sulla moquette e pensa a quante volte hanno controllato insieme le impronte sul luogo del delitto, poi gli viene in mente la camera da letto di Suzanna Paulsson e il delitto che forse vi è stato consumato. Possibile che lui, Marino, abbia commesso un reato?
«Non penso che riuscirei a mandare giù niente, adesso come adesso» risponde. «E se va alla polizia?»
Kay Scarpetta non vuole dargli false speranze. Può fare ben poco per lui, se non le dice niente. «Ti conviene metterti a sedere, Marino. Tirarti un po’ su. Dai, ordino qualcosa.»
Si alza e si avvicina al telefono sul comodino. Cerca gli occhiali da presbite nella tasca della giacca del tailleur, li inforca e osserva il telefono. Non riuscendo a capire che numero bisogna fare per avere il servizio in camera, preme “zero” per parlare con l’operatore e farsi passare il ristorante.
«Tre bottiglie di acqua minerale, due tè caldi, un bagel tostato e una porzione di porridge. No, grazie, va bene così.»
Marino si tira su a sedere e si aggiusta i cuscini dietro la schiena. Guarda Kay che torna a sedersi in poltrona, stanca e oppressa da mille pensieri. È preoccupata per le tracce di vernice sui due cadaveri nell’obitorio, per i campioni di terra che ha appena raccolto nel cantiere dove è morto Ted Whitby, per Gilly Paulsson, per Lucy, per Benton, e adesso anche per lui, che teme di aver violentato Suzanna Paulsson. Marino ha fatto un sacco di scemenze, in campo sentimentale, e ha confuso spesso vita professionale e vita privata, allacciando relazioni con testimoni e vittime, ma le conseguenze non sono mai state gravissime. Non è mai stato accusato di stupro. Una simile eventualità non lo ha mai neppure sfiorato.
«Dobbiamo affrontare il problema e vedere come risolverlo» comincia Kay. «Prima di tutto, non credo che tu abbia violentato Suzanna Paulsson. Evidentemente bisogna capire se lei è convinta che tu l’abbia fatto o se fa finta di crederlo e perché. Ma iniziamo da quello che ti ricordi, dall’ultima cosa di cui sei sicuro.» Lo guarda negli occhi. «E comunque, Marino, se l’hai violentata, qualcosa faremo. Okay?»