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Kay Scarpetta si guarda intorno nel piccolo salotto, soffermandosi sulla cenere ormai spenta nel caminetto, sul divano sotto la finestra, sulle due porte che conducono da una parte e dall’altra della casa. La signora Paulsson se ne accorge e si irrigidisce. Non è una brutta donna, solo un tantino ordinaria.

«Perché è qui, dottoressa?» le chiede, diffidente. «Che cosa è venuta a fare? Credevo volesse parlarmi di Gilly, ma non mi sembra sia questa la sua intenzione.»

«Forse anche oggi Gilly è solo una scusa» replica criptica Kay Scarpetta. È in piedi al centro della stanza e si guarda apertamente in giro.

«Non ha nessun diritto di trattarmi a questo modo» sbotta la signora Paulsson. «Se ne vada, la prego. La accompagno alla porta.»

«No, non me ne vado. Se vuole, chiami pure la polizia. Non me ne andrò finché non avremo parlato di quello che è successo ieri sera.»

«Sì, penso proprio che chiamerò la polizia. Quel mostro! Dopo tutto quello che ho passato, viene qui e approfitta di me… Le sembra giusto infierire su una poveretta già allo stremo delle forze? Avrei dovuto immaginarlo, comunque. Si vede subito, che è un bruto.»

«Chiami pure la polizia, signora Paulsson» la provoca Kay Scarpetta. «Io racconterò la mia versione dei fatti. Che sarà molto diversa dalla sua, immagino. Le spiace se do un’occhiata in giro? So dove sono la cucina e la camera di Gilly, quindi penso che camera sua sia uscendo da questa porta a sinistra.» Si incammina.

«Non si rende conto di quanto è invadente?» scatta la signora Paulsson. «Se ne vada! Non ha nessun diritto di farsi gli affari miei.»

La camera da letto di Suzanna Paulsson è più grande di quella di Gilly, ma non di molto. Ci sono un letto matrimoniale, due antichi comodini di noce, due comò appoggiati alla parete e due porte: una conduce al bagno e l’altra alla cabina armadio. Vicino a quest’ultima ci sono un paio di anfibi neri, di pelle. Kay Scarpetta prende dalla tasca un paio di guanti di cotone e se li infila, guardando fissa gli anfibi. Dà un’occhiata ai vestiti appesi nell’armadio, poi si volta ed entra nel bagno. Appoggiata sul bordo della vasca c’è una maglietta mimetica.

«Chissà che cosa le ha raccontato» dice la Paulsson, in piedi in fondo al letto. «E lei gli ha creduto, naturalmente. Be’, vedremo a chi crederà la polizia. Io penso che crederanno a me.»

«Giocava alla soldatessa anche quando sua figlia era in casa e la poteva vedere?» domanda Kay Scarpetta, guardandola negli occhi. «So che quel gioco a Frank piaceva molto. È stato lui a insegnarglielo o è lei l’inventrice? Lo facevate anche davanti a Gilly? E con chi? Coinvolgevate altre persone? E a costoro che si riferisce quando dice che le hanno portato via la sua bambina? A quelli che partecipavano ai vostri giochetti erotici?»

«Non mi parli in questo modo!» esclama, con una smorfia di rabbia e di disprezzo sul volto. «Non capisco a che cosa si riferisce.»

«Penso che lei capisca benissimo, signora» ribatte Kay Scarpetta avvicinandosi al letto e afferrando le lenzuola con le mani protette dai guanti. «Non le ha cambiate, vedo. Molto bene. Ci sono macchie di sangue. Scommetto che risulterà essere di Marino e non suo.» La fissa. «Marino è pieno di graffi e di morsi, lei no. Vorrà dire qualcosa, vero? Non dovrebbe esserci anche un asciugamano sporco di sangue, da queste parti?» Si guarda intorno. «Lo ha già lavato? Non ha importanza. Anche se è stato lavato, riusciremo comunque ad accertare quel che ci serve.»

«Lei è ancora peggio di lui, dottoressa. Infierire così su una povera donna in lutto!» La signora Paulsson protesta, ma ha cambiato faccia. «Da una donna mi sarei aspettata maggiore compassione.»

«E perché dovrei provare compassione per una donna che fa del male a un uomo e poi lo accusa di averla aggredita? Non ne vedo il motivo, in tutta sincerità.» Comincia a disfare il letto.

«Che cosa sta facendo? Non si permetta.»

«Mi permetto eccome, invece. Stia a vedere.» Toglie le lenzuola dal letto e le avvolge, assieme alle federe, dentro la trapunta.

«Non può farlo. Non è una poliziotta.»

«Sono peggio. Si fidi.» Posa il fagotto di biancheria sul materasso. «Vediamo.» Si guarda intorno. «Forse quando stamattina lo ha incontrato all’Istituto di medicina legale, non se ne è accorta, ma Marino ha ancora i pantaloni che indossava ieri sera. Non si è cambiato neppure la biancheria. Lei sa che quando un uomo ha un rapporto sessuale, poi dagli slip si vede. In certi casi, si vede anche dai calzoni. Invece sulla biancheria di Marino ci sono solo ed esclusivamente macchie di sangue. Inoltre, signora Paulsson, forse lei non si è resa conto che anche con le tende tirate da fuori si vede se lei è con qualcuno, se litiga o se ha un incontro amoroso. Naturalmente finché è in piedi. Perciò non escluda che qualche vicino si sia accorto che era in compagnia, visto che c’erano le luci e il caminetto accesi.»

«Potremmo aver cominciato bene e poi…» dice la signora Paulsson, che sembra aver deciso quale posizione assumere. «Non c’è niente di male, no? Un uomo e una donna si trovano bene l’uno con l’altra, fanno delle cose… Poi, però, se non si va avanti la donna rimane frustrata. Mi ha fatto vestire come voleva lui e poi… Capisce? Non ce l’ha fatta. Da un omone grande e grosso come lui non me l’aspettavo.»

«Gli ha dato da bere troppo bourbon, forse» rimarca Kay Scarpetta. A questo punto è abbastanza sicura che Marino non abbia fatto niente alla signora Paulsson. Il problema è che lui invece è tuttora convinto del contrario e l’idea di non esserci riuscito lo terrorizza, quindi è meglio non insistere.

Kay Scarpetta si china a prendere gli anfibi e li posa sul letto: sembrano enormi e minacciosi.

«Sono di Frank» precisa la signora Paulsson.

«Se lei li ha indossati, risulterà dalle tracce biologiche.»

«Mi stanno troppo grandi.»

«Ha sentito che cosa le ho detto, signora Paulsson? Possiamo fare la prova del DNA.» Va nel bagno a prendere la maglietta mimetica. «Suppongo che anche questa sia di Frank.»

La signora Paulsson resta zitta.

«Se la sua offerta è ancora valida, adesso potremmo accomodarci in cucina» dice Kay Scarpetta. «Un caffè mi farebbe molto piacere. Che bourbon avete bevuto ieri sera? Non starà granché bene neppure lei, oggi, a meno che non abbia riempito solo il bicchiere di Marino. Lui è a pezzi. Ha avuto addirittura bisogno di cure mediche.» Si dirige verso la cucina.

«Cure mediche?»

«Sì, ha avuto bisogno di un dottore.»

«È andato dal dottore?»

«È stato visitato. E gli sono state fatte alcune fotografie. È molto sofferente» spiega Kay Scarpetta. Entra in cucina e vede la caffettiera vicino al lavandino. Lì accanto, ieri, c’era lo sciroppo per la tosse, che adesso non c’è più. Si sfila i guanti di cotone e se li mette in tasca.

«È giusto che soffra, dopo quello che mi ha fatto…»

«La pianti con questa sceneggiata» la interrompe Kay Scarpetta, mettendo l’acqua nella caffettiera. «È inutile. Se le ha lasciato dei segni, me li mostri.»

«Se mai, li mostro alla polizia.»

«Dove posso trovare il caffè?»

«Non so che cosa le ha raccontato, ma di certo non la verità» ribatte la signora Paulsson, aprendo il frigo per prendere un sacchetto di caffè. Poi cerca i filtri di carta e li posa sul bancone.

«La verità è sempre difficile da scoprire» replica Kay Scarpetta. Apre il sacchetto, sistema un filtro nella caffettiera, e ci mette il caffè. «Mi chiedo come mai non riusciamo a scoprire che cosa è successo a Gilly e adesso nemmeno ad accertare come sono andate veramente le cose ieri sera. Qual è la sua verità, signora Paulsson? Sono qui per ascoltarla.»

«Non voglio denunciare Pete» dice lei con amarezza. «Altrimenti l’avrei già fatto, non crede? Il fatto è che credevo che a lui piacesse.»