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«Un altro Bleeding Sunset, per favore» chiede ad alta voce Edgar Allan Pogue.

L’Other Way è un locale piccolo, con i tavoli di legno coperti da tovaglie nere e una candela al centro. Sempre spenta, almeno quando ci va lui. In un angolo c’è un tavolo da biliardo, ma lui non ha mai visto nessuno che ci giocava e sospetta che i clienti dell’Other Way non siano tipi da biliardo e che quel tavolo sia un ricordo di qualche vita precedente. Quel posto doveva essere un altro genere di locale, prima. Tutto cambia, niente resta uguale.

«Un altro Bleeding Sunset» ribadisce.

Le donne che lavorano all’Other Way non si lasciano trattare come volgari cameriere. La gente elegante e distinta che frequenta quel locale non fa schioccare le dita per richiamare la loro attenzione. Le donne che lavorano all’Other Way sono signore e pretendono di essere trattate con rispetto, al punto che talvolta Edgar Allan Pogue ha la sensazione che gli facciano un favore a lasciarlo entrare e spendere i suoi soldi in Bleeding Sunset. Si guarda attorno nel bar immerso nella penombra e vede la rossa. Indossa uno scamiciato nero, cortissimo e aderentissimo. Andrebbe portato con una camicetta sotto, ma lei lo porta senza e lo scamiciato le copre giusto quello che proprio non può fare a meno di coprire. Edgar Allan Pogue ha notato che si china spesso, e non per sistemare la tovaglia o per servire da bere, ma per farsi vedere dagli uomini che danno laute mance e sanno dire le cose giuste. La pettorina dello scamiciato è poco più grande di un foglio da disegno, tenuta su da strette bretelle. È l’unica parte del suo abbigliamento che non è aderente. Quando la rossa si china a prendere un bicchiere o a scrivere un’ordinazione, sembra che debba esploderle sul petto da un momento all’altro, ma il locale è immerso nella penombra, non si è mai chinata verso di lui, e Edgar Allan Pogue di lì non vede.

Si alza dal suo tavolo, vicino alla porta. Non vuole gridare la sua ordinazione e non è più nemmeno sicuro di volere un altro Bleeding Sunset. Non riesce a togliersi di mente l’arancia di plastica con la cannuccia verde e, più ripensa al disappunto che provava ogni volta che assaggiava quella bibita, più si arrabbia. Si infila una mano in tasca e prende una banconota da venti dollari. Per frequentare l’Other Way ci vogliono soldi, come per avere un cane ci vogliono ossi, pensa. La rossa gli si avvicina ticchettando sui tacchi a spillo, ballonzolando dentro la pettorina. Da vicino Edgar Allan Pogue si accorge che è vecchia. Avrà cinquantasette o cinquantotto anni, forse anche sessanta, pensa.

«Vuole il conto?» chiede la rossa. Prende la banconota da venti dollari senza degnarlo di uno sguardo.

Ha un neo sulla guancia destra, finto, disegnato con la matita. Avrebbe potuto farselo meglio, pensa Edgar Allan Pogue. «Veramente avrei voluto continuare a bere» dice.

«La capisco» replica lei. La sua risata sembra il verso di un gatto ferito. «Le porto un altro cocktail?»

«Troppo tardi» replica lui.

«Bessie, cara, il mio solito whisky» ordina un signore seduto a un tavolo vicino.

Pogue l’ha visto arrivare poco prima a bordo di una Cadillac nuova fiammante, grande, metallizzata. È vecchio: avrà almeno ottant’anni, se non ottantuno o ottantadue. Indossa un completo di seersucker bianco e azzurro, camicia bianca e cravatta azzurra. Bessie gli va vicino sculettando e si dimentica di Pogue: come se non ci fosse più, anche se lui non si è mosso di un millimetro. Per farsi trattare così, tanto vale andare via sul serio. Apre la pesante porta scura ed esce nel parcheggio di ghiaia, dirigendosi verso gli ulivi e le palme che costeggiano la strada. Si ferma fra gli alberi e guarda il distributore di benzina della Shell dall’altra parte di North Twenty-sixth Avenue. Fissa la grande conchiglia gialla che brilla nella notte, con l’aria che gli accarezza le guance.

La conchiglia illuminata, chissà perché, gli fa tornare in mente le bibite nel contenitore a forma di arancia. Forse ogni tanto sua madre gliene comprava una in autostrada, quando si fermava a fare benzina. Sì, perché ogni tanto gliele comprava, ed è possibile che lo facesse quando viaggiavano dalla Virginia alla Florida, quando lo portava a Vero Beach da sua nonna. Sua nonna aveva i soldi, ne aveva un sacco. Ci andavano tutte le estati e alloggiavano in un posto che si chiamava Driftwood Inn. Edgar Allan Pogue non lo ricorda molto bene. Sa solo che era fatto di tronchi di legno e che la notte dormiva sullo stesso materassino di plastica gonfiabile con cui di giorno andava al mare.

Non era molto grande e le braccia e le gambe gli cadevano per terra di notte e nell’acqua di giorno. Dormiva su quello stretto materassino nel salotto, mentre sua madre stava nella camera da letto con la porta chiusa e l’unico condizionatore regolato al massimo. Dormiva male, sudava, aveva caldo e la pelle scottata dal sole gli si appiccicava alla plastica del materassino. Ogni volta che provava a girarsi era come staccarsi un cerotto. Ma era la sua vacanza. Una settimana tutti gli anni, sempre d’estate, sempre di agosto.

Guarda i fari delle macchine che sfrecciano nella notte, occhi bianchi e rossi nell’oscurità, poi si volta e aspetta il segnale del semaforo. Quando il semaforo scatta e le macchine si fermano, attraversa la prima corsia trotterellando e la seconda di corsa. Arrivato alla stazione di servizio, guarda la conchiglia gialla che galleggia luminosa nel buio e osserva un vecchio in calzoncini corti che fa il pieno alla sua auto. C’è anche un altro vecchio che fa benzina a un’altra pompa, con un vestito spiegazzato. Pogue resta nell’ombra e si muove furtivo verso la porta a vetri del negozio. La apre con un tintinnio e va dritto al distributore delle bibite. Una signora alla cassa sta pagando un sacchetto di patatine, una confezione da sei bottiglie di birra e la benzina. Non lo vede nemmeno.

Il distributore di bibite è vicino alla macchinetta del caffè. Edgar Allan Pogue prende cinque bicchieri di plastica con i relativi coperchi e va alla cassa. Sono bicchieri grandi, con alcuni personaggi dei cartoni animati. I coperchi sono bianchi, con un beccuccio per bere. Posa i bicchieri e i coperchi sul banco.

«Avete aranciata in arance di plastica con la cannuccia verde?» domanda alla cassiera.

«Come, scusi?» fa lei, corrugando la fronte. Prende in mano uno dei bicchieri. «Sono vuoti. Cosa fa, li riempie?»

«No» risponde. «Vorrei solo i bicchieri e i coperchi.»

«Non sono in vendita.»

«Ma io non voglio altro.»

La donna lo scruta da sopra gli occhiali da presbite e Edgar Allan Pogue si domanda che cosa vede, guardandolo così. «Non vendiamo bicchieri vuoti, le dico.»

«Se aveste quella bibita nelle arance con la cannuccia verde, la prenderei» risponde Edgar Allan Pogue.

«Quale bibita?» La cassiera si spazientisce. «Vede quel frigo? Tutto quello che abbiamo è lì.»

«È una specie di aranciata, in un contenitore a forma di arancia con la cannuccia verde.»

La cassiera fa una faccia stupita e gli fa un sorriso con le labbra rosso fuoco che gli ricorda le zucche di Halloween. «Ah! Ho capito! Ho capito di che cosa sta parlando. Sì, me la ricordo anch’io quella bibita. Non è più in commercio da anni! Me l’ero dimenticata…»

«Allora prendo solo questi» insiste Edgar Allan Pogue.

«Va bene, mi arrendo. Meno male che sto per finire il turno.»