Kay Scarpetta parcheggia con calma, molto lentamente, ascoltando Rudy. Poi gli chiede: «Come lo hai risolto, se posso chiedertelo?».
«Ho fatto esplodere la bomba. Niente di che: una molotov con palline di alluminio dentro.»
«Il metallo accelera la reazione» dice Kay Scarpetta, pensando ad alta voce. «È tipico degli ordigni confezionati con prodotti per la casa a base di acido cloridrico, tipo i detersivi per il wc. Adesso su Internet ti danno la ricetta per prepararli…»
«Infatti aveva un odore acido, tipo cloro. Siccome l’ho fatta esplodere vicino alla piscina, però, forse l’odore veniva da lì.»
«È possibile che contenesse cloro granulato da piscina sciolto in una bibita gassata. È una ricetta abbastanza comune. Per accertarlo, basta effettuare un’analisi chimica.»
«Non ti preoccupare, la effettueremo.»
«Del bicchiere è rimasto qualcosa?» chiede Kay.
«Sì. Controlleremo se ci sono impronte ed eventualmente le confronteremo con quelle dello IAFIS.»
«Teoricamente dalle impronte si può risalire anche al DNA, specie se sono recenti. Vale la pena di fare un tentativo.»
«Va bene. Effettuerò un tampone sul bicchiere e sul nastro isolante. Stai tranquilla.»
Più le raccomanda di non preoccuparsi e di stare tranquilla, più lei si agita.
«Non ho chiamato la polizia» aggiunge Rudy.
«Questa è una cosa che decidete voi.» Ha rinunciato a dare consigli a Lucy, Rudy e quelli che lavorano con loro. L’Ultimo Distretto segue regole molto diverse da quelle della gente normale, ben più rischiose e spesso in disaccordo con la legge. Kay Scarpetta ha smesso di chiedere informazioni, perché poi l’ansia la tiene sveglia di notte.
«L’ordigno potrebbe essere legato ad alcuni problemi che abbiamo avuto recentemente» spiega Rudy. «È meglio che te ne parli Lucy, in ogni caso. Se la senti prima che io riesca a raggiungerla, dille di chiamarmi subito, per favore.»
«Rudy, non vorrei che ci fossero altri ordigni esplosivi lì intorno. Fate come volete, naturalmente, ma tenete presente che chi ha piazzato lì quello potrebbe averne nascosti altri in giro» dice. «Se ti esplode in faccia e inali le sostanze chimiche che sprigiona, rischi di lasciarci le penne. Gli acidi sono talmente forti che non serve neppure che la reazione sia completa…»
«Lo so, lo so.»
«Per favore, se decidete di arrangiarvi da soli, almeno accertatevi che non siano coinvolte altre persone. La mia preoccupazione è questa.» È il suo modo per dire che, se Rudy non vuole chiamare la polizia, deve almeno assumersi la responsabilità di proteggere eventuali vittime innocenti.
«So che cosa devo fare. Non ti preoccupare» le dice.
«Gesù!» esclama lei, chiudendo la comunicazione e rivolgendosi a Marino. «Vorrei sapere cosa sta succedendo. Hai chiamato Lucy ieri sera, vero? Ti ha spiegato che cosa le è successo? Io non la vedo da settembre. Non so niente.»
«Una molotov? Ho capito bene?» È rigido e con la schiena dritta. Tutte le volte che Lucy è in pericolo, si agita.
«Sì. Dello stesso genere di quelle che ci avevano causato tanti problemi qualche anno fa vicino a Fairfax, ti ricordi? Quando quel gruppo di ragazzini con troppo tempo a disposizione ha avuto la brillante idea di fabbricare una serie di bombe per far saltare le cassette delle lettere e una donna è morta. Te lo ricordi?»
«Per la miseria!»
«Il problema è che sono facili da fare e terribilmente pericolose. Con un pH di 1 o meno, un’acidità spaventosa… Poteva esplodere in faccia a Lucy, te ne rendi conto? Forse se ne sarebbe accorta e non l’avrebbe tirata fuori, ma… Con lei non si sa mai.»
«Gliel’hanno messa in casa?» domanda Marino, sempre più arrabbiato. «Nella sua villa in Florida?»
«Che cosa le hai detto ieri sera?»
«Le ho parlato di Frank Paulsson, principalmente. E le ho accennato a quello che sta succedendo qui. Nient’altro. Ha detto che ci avrebbe pensato lei. Una bomba nella sua villa principesca, con telecamere e sistemi di sicurezza ovunque? In casa?»
«Ti racconto tutto mentre andiamo» gli dice, aprendo la portiera.
38
La luce del mattino filtra dalla finestra della stanza in cui Rudy è seduto alla scrivania davanti al computer. Digita sulla tastiera, aspetta, scrive alcune righe di testo, aspetta ancora, legge, muove il mouse. Sta cercando una cosa su Internet. È sicuro che ci sia e vuole trovarla. È convinto che quella bomba non fosse lì per caso. Il pazzo deve aver visto qualcosa che lo ha spinto ad agire.
Rudy è arrivato al campo di addestramento due ore fa e da allora non ha fatto altro che navigare in rete. Uno dei suoi tecnici, nel frattempo, ha inviato le impronte rilevate sull’ordigno esplosivo allo IAFIS, ottenendo qualche risultato. Rudy ha i nervi a fior di pelle. Prende il telefono e, con la cornetta premuta fra l’orecchio e la spalla, continua a digitare sulla tastiera e a guardare lo schermo.
«Ciao, Phil» dice. «Bicchiere di plastica con il Gatto e il cappello matto. Sì, grande. Coperchio originariamente bianco, colorato con il pennarello. Sì, esatto, quelli che si trovano dai distributori di bevande negli autogrill e nei supermercati, che ti riempi da solo. Il Gatto e il cappello matto: non è strano? Sì, a me sembra di sì. Possiamo cercare di risalire al posto in cui lo ha preso? No, non sto scherzando. Voglio dire, su quella roba si pagano i diritti d’autore, no? Non è un film recente: è uscito il Natale scorso, mi pare. No, non l’ho visto. Senti, non fare lo spiritoso, è una cosa seria. Voglio dire: dopo tutto questo tempo, non saranno molti ad avere ancora i bicchieri del Gatto e il cappello inatto. Certo, potrebbero averli dal Natale scorso e in questo caso siamo fregati, ma se hanno ordinato le rimanenze… Io almeno un tentativo lo farei. Sì, ci sono impronte. Questo tizio non sta minimamente attento, non si preoccupa di lasciare tracce in giro. Le ha lasciate sul disegno che ha appiccicato alla porta di servizio del capo, nella camera in cui ha aggredito Henri e adesso sulla molotov. E stavolta il confronto con lo IAFIS ha dato dei risultati. Sì, infatti, incredibile. No, non sappiamo ancora come si chiama. Identità ignota. La corrispondenza è fra due impronte latenti, due parziali da casi diversi. Sì, stiamo controllando. No, nient’altro. Va bene, ci risentiamo.»
Chiude la comunicazione e torna al computer. Ci sono più motori di ricerca sul computer di Lucy che motori turbojet alla Pratt Whitney. Lucy naviga di frequente, ma cerca di non essere presente in rete: nel suo campo la notorietà è un handicap. “Tutti i problemi sono cominciati con Henri” pensa Rudy digitando sulla tastiera. “Maledetta Henri, stupida attrice fallita improvvisatasi poliziotta. E stupida Lucy ad assumerla.”
Rudy comincia una nuova ricerca digitando “Kay Scarpetta” e “nipote” come parole chiave. Interessante, molto interessante. Prende una matita e ci giocherella, passandosela fra le dita, mentre legge un comunicato dell’Associated Press uscito in settembre. Breve, informa semplicemente che l’Istituto di medicina legale della Virginia ha un nuovo direttore, il dottor Joel Marcus di St Louis, che prende il posto di Kay Scarpetta dopo alcuni anni di caotico interregno. Ma, stranamente, cita anche Lucy. Dice: “Da quando ha lasciato la Virginia, la dottoressa Scarpetta lavora come consulente esterna per l’agenzia di investigazioni l’Ultimo Distretto, fondata da Lucy Farinelli, ex agente dell’FBI, nonché nipote della famosa anatomopatologa”.
“Non è vero” pensa Rudy. Non si può dire che Kay Scarpetta “lavori” per Lucy, anche se ha collaborato alla soluzione di qualche caso. Kay Scarpetta non lavorerebbe mai per lei e Rudy la capisce. Non è facile lavorare per Lucy Farinelli. Si era dimenticato di quell’articolo, ma adesso ricorda che quando l’aveva scoperto si era arrabbiato moltissimo con Lucy, perché non era possibile che un articolo a proposito del dottor Joel Marcus parlasse anche dell’Ultimo Distretto. L’Ultimo Distretto non vuole pubblicità. Prima che Lucy conoscesse Henri, era sempre riuscito a evitarla. Adesso invece pettegolezzi e voci circolano sempre più frequenti.