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«Lasciò il lavoro per motivi di salute, dicevamo. Quali?»

«Intossicazione da formaldeide. Su questa non mentì. Vidi i certificati e i risultati delle analisi e probabilmente in quell’occasione gli parlai anche. Aveva problemi respiratori causati da un’eccessiva esposizione alla formaldeide, una fibrosi polmonare evidenziata sia dai raggi X sia dalla biopsia. Se ben ricordo, aveva una ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue e la funzione respiratoria risultava alterata alla spirometria.»

«Alla spiro-che?»

«Spirometria. È un esame che consente di misurare il volume polmonare, ovvero la quantità di aria che entra ed esce dai polmoni quando si respira.»

«Ho capito. Probabilmente, quando fumavo, l’avevo alterata anch’io.»

«Infatti succede a chi fuma molto e per molto tempo.»

«Dunque Edgar Allan Pogue era veramente inalato. Lo è ancora, secondo lei?»

«Be’, se non c’è più stata esposizione alla formaldeide e ad altri irritanti, probabilmente la fibrosi non è peggiorata. Ma certamente non è neanche guarita, perché il danno polmonare è permanente. Quindi sì, immagino che sia ancora malato. In che misura, però, non saprei dire.»

«Sarà in cura da un medico, quindi. Pensa che riusciremo a risalire al suo medico curante dai documenti che presentò a suo tempo per il congedo?»

«Probabilmente la sua cartella è conservata in qualche archivio statale. Chieda al dottor Marcus. Io ormai non ho più nessuna autorità.»

«Già. Senta, secondo lei, Pogue potrebbe avere problemi di salute abbastanza gravi da dover essere seguito da un centro specializzato o da dover assumere farmaci con regolarità?»

«È molto probabile che assuma regolarmente farmaci. Non è detto, però: se ha uno stile di vita sano, potrebbe bastargli evitare le fonti di contagio, e cioè stare alla larga da gente con raffreddore, tosse e influenza. Le malattie dell’apparato respiratorio per lui sono un problema, perché ha i polmoni che funzionano già a capacità ridotta e quindi rischia di stare molto male. Se soffre di asma, deve evitare il contatto con gli agenti che gliela scatenano. Potrebbe prendere degli steroidi, o fare regolarmente qualche vaccino antiallergico. Ma potrebbe limitarsi a usare farmaci da banco. Insomma, non so dirle niente di preciso.»

«Ho capito» fa lui, masticando sempre più rumorosamente. «Se si trovasse impegnato in un corpo a corpo, però, resterebbe senza fiato.»

«Penso di sì.»

È più di un’ora che Kay Scarpetta parla con Browning ed è molto stanca. Ha mangiato poco o niente tutto il giorno e si sente priva di energie. «Voglio dire, potrebbe essere forte e robusto, ma sicuramente non è in grado di svolgere un’attività fisica intensa. Di certo non corre né gioca a tennis. Se prende steroidi, potrebbe essere sovrappeso. E avrà poca resistenza.» Kay Scarpetta continua a seguire le ricerche dalla finestra: vede un agente che taglia con un tronchese il lucchetto alla porta del capanno degli attrezzi.

«Non è strano che abbia aggredito Gilly Paulsson proprio mentre aveva l’influenza? Non temeva di ammalarsi?» domanda Browning.

«Evidentemente no» risponde lei, guardando gli agenti che entrano nel casotto.

«Perché, secondo lei?» chiede Browning.

Le vibra il cellulare.

«Per lo stesso motivo per cui i tossicodipendenti in crisi di astinenza non si preoccupano di beccarsi l’epatite o l’AIDS e gli stupratori una malattia a trasmissione sessuale» risponde Kay Scarpetta, prendendo in mano il telefonino. «Non penso che un assassino assetato di sangue si preoccupi di buscarsi un malanno. Mi scusi» dice poi, accettando la chiamata.

«Sono io» si presenta Rudy. «Abbiamo fatto una scoperta che potrebbe interessarti. Le impronte latenti rilevate nel caso a cui stai lavorando tu a Richmond corrispondono a quelle che abbiamo rilevato noi qui in Florida. Allo IAFIS risultano appartenere alla stessa persona, di identità ignota.»

«Parli al plurale: a chi ti riferisci?»

«A me e Lucy. Stiamo lavorando a un caso di cui tu non sai niente e del quale non ti posso parlare nemmeno adesso. Lucy preferiva che non ne fossi informata.»

Kay Scarpetta ascolta incredula e vede dalla finestra una sagoma vestita di scuro che esce a grandi passi dal casotto muovendo la torcia elettrica. È Marino, che sta rientrando in casa. «Che genere di caso?» domanda a Rudy.

«Non posso dirti niente.» Si zittisce, prende fiato. «Ma non riesco a contattare Lucy. Non so perché, non risponde al telefono. Sono due ore che provo, maledizione. Comunque, è un tentato omicidio ai danni di una nostra collaboratrice. Avvenuto in casa di Lucy.»

«Mio Dio.» Kay Scarpetta chiude gli occhi, scioccata.

«Una cosa molto strana. Tanto che all’inizio abbiamo sospettato una messinscena allo scopo di attirare l’attenzione. Però le impronte sull’ordigno esplosivo corrispondono a quelle ritrovate nella camera in cui è avvenuta l’aggressione. E a quelle del tuo caso di Richmond, l’omicidio della ragazzina per cui ti hanno mandato a chiamare.»

«Che genere di aggressione ha subito questa vostra collaboratrice?» domanda Kay Scarpetta, sentendo i passi di Marino nel corridoio. Browning si alza e va alla porta.

«Era a letto con l’influenza. Pare che l’aggressore sia entrato da una porta che lei si era dimenticata di chiudere e sia scappato sentendo tornare Lucy. La vittima era priva di sensi, nuda, a faccia in giù sul letto. Sotto shock, non ricorda niente di quello che è successo.»

«Lesioni?» Sente Marino e Browning che parlottano fuori dalla porta a proposito di certe “ossa”.

«Solo qualche livido. Sulle mani, sul petto e sulla schiena, ha detto Benton.»

«Dunque a Benton ne avete parlato. Lo sanno tutti tranne me» dice, incollerita. «Lucy mi ha voluto tenere all’oscuro di tutto. Perché?»

Dopo un attimo di esitazione, Rudy risponde: «Motivi personali, penso».

«Capisco.»

«Mi dispiace. Non voglio entrare nei dettagli, ma sappi che mi dispiace. Non avrei dovuto dirti niente nemmeno adesso, ma penso che sia giusto farlo, visto che i due casi sembrano collegati. Ti assicuro che questa cosa mi fa venire i brividi. Con chi abbiamo a che fare? Con uno psicopatico?»

Marino entra nella stanza e guarda Kay Scarpetta negli occhi. «Sì, pensiamo che si tratti di uno psicopatico» risponde lei a Rudy, guardando Marino. «Bianco, di sesso maschile, sui trenta-trentacinque anni. Si chiama Edgar Allan Pogue. Riteniamo che assuma con regolarità steroidi a causa di un problema respiratorio, quindi i suoi dati potrebbero essere contenuti nei database delle farmacie. Non posso aggiungere altro.»

«Non è poco» replica Rudy, incoraggiato. Kay Scarpetta chiude la chiamata e guarda Marino pensando fugacemente a come si può cambiare in fretta opinione sulle cose: si sposta il punto di vista e la prospettiva cambia completamente. L’Ultimo Distretto è in grado di accedere a qualsiasi database, anche i più riservati. Un tempo Kay Scarpetta sarebbe stata più ligia e rispettosa delle regole, adesso la priorità è fermare quel mostro. Cerca di fugare dubbi e sensi di colpa, riflette che certe volte il fine giustifica i mezzi.

Si rimette il telefono in tasca e dice a Marino e a Browning: «Dalla finestra della camera da letto si vede la stanza di Gilly. Se la signora Paulsson si esibiva in qualcuno dei suoi “giochetti”, è probabile che lui la osservasse con grande attenzione. Se poi si svolgevano anche in camera della ragazzina — Dio ce ne scampi — la visuale era ottima».

«Capo!» Marino ha l’aria feroce.

«Voglio dire che le persone disturbate possono fare associazioni strane» continua lei. «Vedere qualcuno nel ruolo di vittima può far scattare il desiderio di diventare carnefici. Assistere a uno stupro dalla finestra può mettere certe idee in testa a un uomo timido ed emarginato…»