«Vuoi che andiamo a chiederglielo?» dice Marino guardando fuori con le mani in grembo, come per proteggere le parti dolenti.
«È quasi mezzanotte.»
Marino scoppia a ridere. «Già. Sarebbe da maleducati presentarsi a quest’ora.»
«E va bene, facciamoci un salto» dice Kay Scarpetta svoltando in Grace Street. «Preparati al peggio, però: non so come reagirà, vedendoti.»
«Dovrebbe preoccuparsi di come reagisco io, non il contrario.»
Kay Scarpetta fa inversione e parcheggia dietro la macchina di Suzanna Paulsson. È accesa solo la luce nel salotto, che filtra attraverso le tende leggere. A scanso di equivoci, decide di avvertirla telefonicamente prima di bussare alla porta. Controlla sul cellulare gli ultimi numeri chiamati, ma quello della Paulsson non c’è più. Fruga nella borsa alla ricerca del foglietto su cui si è appuntata il numero la prima volta che è andata da lei, lo trova dopo un po’ e lo digita sul cellulare. Immagina squillare il telefono in camera da letto.
«Pronto?» La voce di Suzanna Paulsson è assonnata.
«Sono Kay Scarpetta. Sono davanti a casa sua. Ho bisogno di parlarle: ci sono stati nuovi sviluppi nelle indagini. Mi apre, per favore?»
«Che ore sono?» chiede la donna, confusa e spaventata.
«Per favore, mi apra» insiste Kay Scarpetta, scendendo dalla macchina. «Sono davanti a casa sua.»
«Va bene, va bene.» Riattacca.
«Stai seduto qui e scendi solo dopo che ha aperto» suggerisce a Marino. «Se ti vede dalla finestra, non ci fa entrare.»
Chiude la portiera, lasciando Marino al buio, e si avvicina al portone. Si accendono altre luci e dietro le tende del salotto si materializza un’ombra. Poi la tenda si scosta, la signora Paulsson sbircia fuori e quindi apre la porta in vestaglia di flanella rossa. È spettinata e ha gli occhi gonfi.
«Signore Iddio, che cosa è successo?» domanda a Kay Scarpetta, facendola entrare in casa. «Come mai a quest’ora?»
«L’uomo che abitava dall’altra parte della recinzione» dice Kay. «Lei lo conosceva?»
«Quale uomo?» domanda Suzanna Paulsson confusa. «Quale recinzione?»
«La casa dietro la sua» spiega Kay Scarpetta. Marino dovrebbe arrivare da un momento all’altro, pensa. «Ci abitava un uomo. Non può non averlo mai visto, signora.»
Marino bussa alla porta. La signora Paulsson ha un sussulto e si porta una mano al petto. «E adesso chi è?»
Kay Scarpetta apre e fa entrare Marino, che è rosso come un peperone ed evita lo sguardo della Paulsson. Chiude la porta ed entra nel salotto.
«Cristo santissimo!» esclama Suzanna Paulsson, di colpo rabbiosa. «Perché è venuto anche lui? Non lo voglio più vedere!» Si rivolge a Kay Scarpetta. «Lo faccia uscire!»
«Ci dica dell’uomo che abitava nella casa dietro la sua, per favore» insiste Kay Scarpetta. «Non può non aver visto almeno le luci accese.»
«Si chiama Edgar Allan, Al, qualcosa del genere?» le suggerisce Marino, sempre rosso in viso. «Niente bugie, Suz, facci il piacere. Non siamo proprio in vena. Dicci come si chiamava. Scommetto che eravate amici.»
«Vi ripeto che non lo conosco. Non ho mai visto nessun uomo in quella casa» ribadisce. «Perché? È stato lui a… Pensate che sia stato…? Oddio!» Ha gli occhi pieni di paura e di dolore. Sembra sincera, ma Kay Scarpetta rimane scettica.
«È mai venuto in casa tua?» chiede Marino.
«No!» La Paulsson scuote la testa, con le mani incrociate sul petto.
«Davvero?» la provoca Marino. «E come fai a esserne tanto sicura, se dici di non conoscerlo neppure? Magari si è fatto passare per il lattaio. O è venuto a fare con te qualcuno dei tuoi “giochetti”. Se non sai di chi parliamo, perché dici che non è mai entrato in casa tua?»
«Esigo di essere trattata con maggiore rispetto!» urla la Paulsson, guardando Kay Scarpetta.
«Risponda, signora Paulsson.»
«Le ho già detto…»
«Ci sono le sue impronte digitali, in camera di Gilly» la interrompe Marino aggressivo, avvicinandosi a lei. «Lo hai fatto partecipare a uno dei tuoi “giochetti”, Suz?»
«No!» Scoppia in lacrime. «Quella casa è disabitata! Prima ci stava una vecchietta, ma sono anni che non c’è più! Forse ho visto qualcuno andare e venire, ma non ci ha più abitato nessuno. Lo giuro! Le sue impronte digitali? Oddio, la mia bambina! La mia bambina!» Scoppia in singhiozzi, stringendosi le braccia sul petto. A un certo punto si copre il viso con le mani tremanti. «Che cosa ha fatto alla mia bambina?»
«L’ha ammazzata» risponde Marino. «Parlaci di lui, Suz.»
«Oh, no!» urla lei. «Oh, Gilly!»
«Siediti, Suz.»
Ma la Paulsson resta dov’è e continua a singhiozzare, con le mani sugli occhi.
«Siediti!» urla Marino. Kay Scarpetta capisce dove vuole andare a parare e lo lascia fare, anche se a malincuore.
«Siediti!» Marino indica il divano. «Per una volta di’ la verità. Fallo per Gilly.»
La signora Paulsson si lascia cadere sul divano sotto la finestra, coprendosi il viso con le mani. Kay Scarpetta si va a sedere davanti al caminetto spento, di fronte a lei.
«Parlaci di Edgar Allan Pogue» ordina Marino ad alta voce. «Mi senti, Suz? Ascoltami bene: quello ha ammazzato tua figlia, te ne rendi conto? O te ne freghi? Era una grandissima rompiscatole, la tua Gilly, vero? Disordinata, ti dava un gran daffare. Dovevi sempre raccogliere quello che lasciava in giro…»
«Smettila!» strilla la Paulsson strabuzzando gli occhi, paonazza. «Smettila immediatamente! Sei uno stronzo, un bastardo, un maledetto…» Scoppia in singhiozzi e si asciuga il naso nel palmo della mano. «La mia Gilly…»
Marino si siede sulla poltrona, come se Kay Scarpetta non ci fosse. Ma lui sa che c’è e che lei ha capito dove vuole andare a parare. «Vuoi che lo prendiamo, Suz?» domanda, di punto in bianco calmo e gentile. Si protende verso di lei, posando gli avambracci sulle ginocchia. «Vuoi che lo prendiamo? Dimmelo.»
«Sì» risponde Suz Paulsson. «Sì voglio che lo prendiate.»
«Aiutaci, allora.»
La donna scuote la testa, in lacrime.
«Non vuoi aiutarci?» Si appoggia allo schienale e lancia un’occhiata a Kay Scarpetta, che è seduta davanti al caminetto. «Non vuole aiutarci, capo. Non vuole che prendiamo l’assassino di sua figlia.»
«No» protesta la Paulsson, singhiozzando. «È solo che non so niente. Lo conoscevo solo di vista. L’avrò visto una volta o due… Una sera uscii e… Insomma, mi avvicinai alla recinzione. Cercavo Sweetie, e vidi che di là c’era un uomo.»
«Nel giardino della casa dietro la tua?» chiede Marino. «Al di là della recinzione?»
«Sì. Era di là della recinzione. Aveva infilato la mano nello spazio fra un’asse e l’altra e accarezzava la cagnetta. Lo salutai. “Buonasera” gli dissi. Oddio…» Non riesce quasi a respirare. «Merda, merda. Accarezzava Sweetie. È stato lui?»
«Che cosa ti disse?» domanda Marino con dolcezza. «Ti parlò?»
«Disse…» Le si incrina la voce. «Disse che Sweetie era molto bella.»
«Come faceva a sapere che la cagnetta si chiamava Sweetie?»
«Disse: “Sweetie è proprio una bella cagnetta”.»
«Come faceva a sapere come si chiamava?» insiste Marino.
La Paulsson trae un respiro profondo. Piange meno forte, adesso, e guarda per terra.
«Avrà preso lui la cagnetta, immagino. Visto che la trovava tanto bella» dice Marino. «Non l’hai più ritrovata, vero?»
«Mi ha portato via anche Sweetie.» Giunge le mani. Le stringe con tanta forza che le nocche diventano bianche. «Mi ha portato via tutto.»
«Che cosa pensasti, la sera in cui lo vedesti accarezzare Sweetie attraverso la recinzione? Non ti stupì vedere un uomo in quel giardino?»