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«Sì, ho qualche problema.»

«Vuole parlarmene?» la incoraggia lui.

«Be’, sa, di tipo sentimentale» risponde Lucy nervosamente, un po’ imbarazzata. «Dovevamo sposarci, e invece… Voglio dire, il mio lavoro è stressante. Negli ultimi sei mesi, fra una cosa e l’altra sono stata via cinque.»

«E il suo ragazzo non ha retto a tutte queste assenze» dice Paulsson, posando i fogli sul tavolo, vicino al computer. Lucy fa in modo che Benton possa seguire ogni suo movimento.

«Ottimo» dice Benton. Controlla che la porta dello studio sia chiusa. Henri è uscita per fare due passi, ma lui si è chiuso a chiave lo stesso per evitare che irrompa all’improvviso. Henri è tutto fuorché riservata.

«Ci siamo lasciati» risponde Lucy. «Sto abbastanza bene, però… Insomma, fra lo stress e tutto il resto… Comunque non va male, tiro avanti.»

«È per questo che ha aspettato tanto prima di fare la visita?» domanda Paulsson, avvicinandosi a lei.

«Sì.»

«È stata un’imprudenza. Se non rinnova l’idoneità al volo, non può più pilotare l’elicottero. Poteva andare da un medico in qualsiasi parte degli Stati Uniti, avrebbe dovuto programmarsi per tempo. Se non avessi potuto riceverla io oggi, che cosa avrebbe fatto? Avevo la giornata libera, fortunatamente per lei, a parte un favore che dovevo fare a un amico. Le sono venuto incontro, signorina, lo tenga presente. Come avrebbe fatto, altrimenti? L’idoneità le scade domani, se la data che ha riportato sul modulo è corretta.»

«Sì, lo so, sono stata stupida. La ringrazio tantissimo, davvero. È stato molto gentile…»

«Be’, lasciamo stare. Però non perdiamo altro tempo in chiacchiere, perché ho da fare.» Prende uno sfigmomanometro e le chiede di tirarsi su la manica destra. Le sistema la fascia sul braccio e prende in mano la pompetta. «Che muscoli! Fa molta attività fisica?»

«Un po’» risponde Lucy con voce tremante, mentre lui le sfiora un seno con la mano. Benton se ne accorge a mille miglia di distanza, osservando la scena sul monitor del suo portatile ad Aspen. Resta impassibile, ma è disgustato quanto Lucy delle libertà che Paulsson si sta prendendo.

«Ti ha toccato» dice al trasmettitore, perché la sua voce venga registrata sul nastro. «Ha cominciato a farti delle avance.»

«Sì» risponde Lucy, apparentemente a Paulsson. Sposta la mano davanti alla telecamera per confermare a Benton che sta parlando con lui. «Sì, faccio parecchia attività fisica.»

46

«Centotrenta su ottanta» dice Paulsson, toccando nuovamente Lucy con la scusa di toglierle la fascia. «Ha sempre la pressione alta?»

«No, per niente» risponde lei, in tono scioccato. «È tanto alta? Cioè, a lei sembra troppo alta? Perché di solito ho centodieci su settanta. Ho sempre creduto di averla bassa, per la verità.»

«Forse è un po’ tesa.»

«Be’, non mi piace andare dal medico» dice. È seduta sul lettino, più in basso di lui, e si piega lievemente all’indietro perché Benton veda in faccia Paulsson che cerca di intimidirla e di manipolarla. «Comunque sì, un po’ tesa lo sono.»

Paulsson le posa le mani sul collo e comincia a palparla sotto la mascella. Lucy ha i capelli sulle orecchie, per cui Paulsson non può vedere il ricevitore. Le dice di deglutire e la tasta per controllare se ha i linfonodi ingrossati. Lei cerca di farsi venire l’ansia, perché Paulsson senta che ha il battito accelerato.

«Deglutisca di nuovo» le dice, tastando la tiroide e controllando la trachea. Lucy sa come si svolge quel tipo di visita medica, ne ha fatte tante. E poi sin da bambina ha tempestato di domande sua zia Kay, per farsi spiegare il perché e il percome i medici toccano certe parti del corpo e non altre.

Paulsson riprende a tastarle i linfonodi, avvicinandosi ulteriormente a lei. Lucy sente il suo alito sulla fronte.

«Vedo solo il camice» le dice la voce di Benton nell’orecchio sinistro.

“Non ci posso fare niente” pensa Lucy.

«Si sente particolarmente stanca e affaticata, negli ultimi tempi?» le domanda Paulsson. Il tono è piatto, ma al tempo stesso volto a intimidirla.

«Non particolarmente. Voglio dire, lavoro un sacco, sono sempre via. Un po’ stanca lo sono» balbetta Lucy, fingendosi spaventata. Paulsson le sfiora un ginocchio con il bacino e Lucy sente che ha un’erezione. Purtroppo non ha modo di comunicarlo a Benton.

«Mi scusi, devo andare alla toilette» dice. «Torno subito.»

Paulsson fa un passo indietro e Benton vede di nuovo lo studio medico. Lucy scende dal lettino e cammina a passi svelti verso una porta. Nel frattempo, Paulsson va al computer e prende in mano uno dei due moduli, quello giusto. «C’è una provetta in un involucro di plastica sul lavabo» le dice, prima che lei entri nel bagno.

«Sì?»

«Quando ha finito, la lasci pure sul coperchio del water.»

Lucy non usa la toilette, tira l’acqua, dice “scusa” a Benton, si toglie il ricevitore dall’orecchio e se lo infila in una tasca. Non raccoglie un campione di urina perché non vuole lasciare tracce biologiche da cui si possa risalire alla sua identità. Il suo DNA non dovrebbe essere in nessuna banca dati, ma è meglio non correre rischi. È sempre stata attentissima, perché non vuole che il suo DNA e le sue impronte digitali finiscano in qualche database americano o straniero, e non vuole lasciare nulla di sé a un medico che ben presto avrà motivo di essere assai in collera con la signorina P.W. Winston. È stata attenta a pulire ogni superficie che ha toccato da quando è entrata: nessuno deve scoprire che Lucy Farinelli, ex agente dell’FBI e dell’ATF, è stata nello studio del dottor Paulsson.

Esce dal bagno cercando di agitarsi per far accelerare il battito cardiaco.

«Ha i linfonodi lievemente ingrossati» le dice Paulsson. Lucy sa che mente. «Quando è stata l’ultima volta che si è sottoposta a una visita e ha fatto gli esami del sangue? Ha detto che non ama andare dal medico: sarà parecchio.»

«Davvero ho i linfonodi ingrossati?» chiede Lucy, reagendo con il panico che Paulsson si aspetta.

«Come si sente ultimamente? Particolarmente affaticata? Ha febbre?» Le si avvicina e le controlla l’orecchio sinistro con l’otoscopio.

«Non mi sento male» risponde Lucy. Paulsson le controlla l’altro orecchio.

Posa l’otoscopio e prende l’oftalmoscopio per guardarle gli occhi, con la faccia vicinissima alla sua. Poi prende il fonendoscopio e Lucy cerca di spaventarsi, benché provi più rabbia che paura. Si sposta lievemente sul lettino, facendo scricchiolare la carta che lo ricopre.

«Si abbassi la tuta sulla vita, per cortesia» dice Paulsson in tono piatto.

Lucy lo guarda e dice: «Mi scusi, devo andare di nuovo alla toilette».

«Prego» fa lui scocciato. «Ma faccia presto.»

Lucy corre in bagno ed esce subito dopo, con il ricevitore nell’orecchio. Tira lo sciacquone.

«Mi scusi tanto. Ho bevuto una Coca prima di entrare. Ho fatto male.»

«Si abbassi la tuta, per cortesia» ordina Paulsson.

Lucy ha un attimo di esitazione: è il momento della verità. Si abbassa la cerniera lampo, si sfila le maniche e sistema la parte superiore della tuta in maniera che la penna abbia la giusta angolazione e il filo che collega la telecamera all’interfaccia cellulare non sia visibile.

«Troppo verticale» le dice la voce di Benton nell’orecchio. «Spostala di dieci gradi.»

Lucy sposta la tuta e Paulsson dice: «Si tolga il reggiseno».

«È proprio necessario?» chiede Lucy timidamente, un po’ intimorita. «Di solito non…»

«Signorina, la prego, non mi faccia perdere tempo.» Paulsson inforca il fonendoscopio e si avvicina per auscultarla, mentre Lucy si sfila la brassière e sta ferma sul lettino.

Paulsson le posa il fonendoscopio sotto il seno sinistro e poi sotto l’altro, toccandola. Lucy respira affannosamente, con il cuore che batte forte per la collera, e spera che Paulsson interpreti l’accelerazione del suo battito come paura. Si chiede che cosa vede Benton e si aggiusta la tuta intorno alla vita, toccando la telecamera mentre Paulsson la palpa ostentando un’aria molto professionale.