«Allora? Non atterriamo?» Leia si rilassò contro lo schienale alto del suo sedile mentre il Falcon passava oltre le rovine e riprendeva quota.
Chewbacca ululò, indicando un piccolo problema.
«Funziona quel che basta», disse Han.
«Che cosa funziona quel che basta?» domandò Leia.
Han rivolse un’occhiata di biasimo a Chewie. Grazie, amico. «Il tracciatore stellare del Falcon. Per mantenere l’orbita sincrona ma con il pilota automatico. È assegnato a un circuito che di solito non ha queste funzioni.»
«Perché?»
Han fece una risatina. «Non è possibile fare a una nave tutte le modifiche che ci ho fatto io senza tagliare un po’ di angoli. Il tracciatore funziona quanto basta ma... Chewie, assicurati che non andiamo alla deriva, eh? Fintanto che stiamo vicino al pianeta, nessuno ci noterà.» Han colpì il comando di un sensore. «Sembra che il grande fratello Luke stia combattendo a fianco degli Imperiali, finalmente. Suppongo che tu voglia restare qui a guardare.»
Leia si accigliò. «Con questi quadri sensori non è possibile distinguere chi è da una parte e chi è da quell’altra. E poi tutta questa situazione mi mette molto a disagio.»
«Oh.» Cos’era quel commento sul quadro sensore, un altro insulto? «Oh», aggiunse in tono più allegro. Forse, dopotutto, sarebbero riusciti ad avere un’oretta tranquilla tutta per loro. La loro cosiddetta vacanza dopo la grande festa degli Ewok era andata sprecata; Leia era esausta. Ma durante il viaggio nell’iperspazio, mentre tutti erano occupatissimi e 3BO metteva il naso dappertutto, aveva incaricato Chewie di fare un paio di modifiche alla stiva principale del Falcon che non erano previste dal Manuale di sopravvivenza di Cracken.
Sperava solo che Chewie non avesse commesso errori. Il grosso Wookiee era un meccanico eccezionale ma il suo senso estetico non era, ecco, umano.
Han Solo non si era unito a questa allegra scampagnata solo per contribuire a una nobile causa.
Leia tastò il collo di 3BO e lo riaccese, poi seguì Han a poppa. Dopo le fasi finali della battaglia di Endor, quando ormai tutto era praticamente finito, avevano parlato per ore e ore assieme. Sotto quella cinica maschera da contrabbandiere quest’uomo nascondeva degli ideali non dissimili dai suoi. Solo che erano stati, come dire, compattati: resi molto più piccoli e duri. Comunque, aveva il terrore di restare da soia fin da quando Luke le aveva dato quella terribile notizia: Darth Vader era...
No.
La sua mente aggirò le difese e tornò all’attacco: quando aveva visto Alderaan distrutto, a bordo della Morte Nera, aveva pensato di veder morire tutta la sua famiglia. In realtà, suo padre era...
No! Non avrebbe mai accettato che quell’essere fosse suo padre. Neanche se era Luke a dirlo. Si chinò per evitare un filo che pendeva. Se proprio doveva nascondersi e tenere un basso profilo per qualche ora, tanto valeva impiegare il tempo in modo utile. Aveva già perso anche troppi giorni in convalescenza e per di più la pelle sintetica non sopprimeva del tutto il bruciore terribile dell’ustione sulla sua spalla. Come aveva detto a Han, non era insopportabile... era solo difficile dimenticarsene.
Han si fermò vicino alla rampa d’ingresso. Leia si appoggiò a una paratia e lo guardò. «Che cosa c’è ancora da aggiustare?» Il Falcon era sempre il primo amore di Han. Prima accettava questa verità, meglio era. Così l’avrebbe smessa di offendersi ogni volta. E poi era ridicolo essere gelosi di un’astronave.
Han lasciò ricadere le mani lungo le strisce che decoravano i suoi pantaloni neri. «Per un paio d’ore non credo che succederà dell’altro. E comunque Chewie è di guardia.»
Improvvisamente Leia si accorse che quella luce nei suoi occhi non era spirito guerriero. «Pensavo che ci fossero delle riparazioni da fare.» Rilanciò la sfida. «Su, non c’era una nuova modifica che bisognava testare sul campo?»
«Sì, lì dentro, nella stiva principale.» S’incamminò lungo il corridoio curvo, aprì un pannello e scese nella stiva di poppa del Falcon. Aprì uno sportello che dava sul compartimento di tribordo, normalmente inaccessibile. «Qui dietro ci sono i generatori degli scudi.»
La stiva sapeva di chiuso. Leia scese dietro a Han. «Che cosa stai contrabbandando, questa volta?»
«Una cosa che ho raccolto su Endor.»
«Una cosa che noi abbiamo raccolto su Endor», lo corresse. Una parete di casse sostenute e rizzate da altre casse nascondeva alla vista la parte più lontana della stiva. Han spostò una cassa e aprì uno stipetto che aveva tutta l’aria di essere un’unità refrigerante. Mise una mano dentro, frugò e infine tirò fuori una bottiglia di vetro.
Senza mutare espressione, Leia la prese. Vetro primitivo, sigillato con un tappo di corteccia d’albero: non sembrava una cosa troppo igienica. «Che cos’è?»
«Un regalo dello sciamano ewok. Te lo ricordi, no? Quello che ci ha nominati membri onorari della tribù?»
«Sì.» Leia si drappeggiò sopra una pila di casse e ripassò la bottiglia a Han. «Non hai risposto alla mia domanda.»
Han fece forza sul tappo. «Vino... di qualche... tipo», grugnì. Il tappo uscì di colpo. «Il tuo amico dorato per poco non si è fatto saltare un resistore nel tentativo di tradurre le spiegazioni del pelosetto, ma il succo di quello che ha detto era più o meno: ‘Per incendiare il cuore già tiepido’.»
Allora era lì che voleva andare a parare. «Ehi, siamo nel bel mezzo di una battaglia.»
«Siamo sempre nel bel mezzo di qualche battaglia. Ma nel frattempo dovremo pur vivere, no?»
Leia si sentì bruciare le guance. Avrebbe preferito parlare, perfino litigare con Han, che nascondersi a bere... vino?... durante una battaglia. E come Bail Organa di certo le avrebbe fatto notare, quest’uomo non era nemmeno la compagnia adatta, per una del suo rango. Era uno che risolveva tutto a colpi di fulminatore. E lei, per adozione, se non per nascita, era una principessa.
Di nuovo l’ombra della maschera nera si protese sui suoi pensieri: Vader. Lo aveva odiato con tanta appassionata certezza di essere nel giusto.
Il vino, opaco e rosso porpora, gorgogliò mentre veniva versato in due tazze di ceramica. Era probabile che non fosse affatto un vitigno di qualità principesca. «Senti, non...» cominciò, ma senza continuare. Aveva già stabilito che anche restando attaccata alla radio subspaziale non sarebbe stata di alcuna utilità a Luke.
«Ehi.» Han le porse una delle due tazze. «A che cosa stai pensando? Di che cosa hai paura?»
«Di troppe cose.» Toccò il bordo della tazza di Han con la propria. Ci fu un tenue cozzare di ceramiche.
«Tu? Paura?»
Leia fu costretta a sorridere. A volte non c’era altra scelta che essere coraggiosi e avventati. Sorseggiò il vino, poi annusò la tazza e storse il naso. «È troppo dolce.»
«Non credo che ne facciano una varietà secca.» Han appoggiò la sua tazza su un graticcio. «Guarda qua.» Prese la sua mano e la tirò dietro la paratia di casse che divideva in due la stiva. Leia appoggiò la sua tazza accanto a quella di lui. «Io...» Han si fermò di botto.
Leia abbassò lo sguardo su un nido di cuscini gonfiabili.
«Chewie...» mugolò Han. Lasciò cadere la mano di Leia. «Ehm, suppongo che questo sia un po’ troppo... sfacciato. Non avrei dovuto fidarmi di un Wookiee.»
Leia rise. «È stato Chewie a preparare questo posto?»
«Aspetta che dica a quella grossa palla di pelo dal naso umido...»
Ancora ridendo, Leia si puntellò contro una paratia e lo spinse. Han afferrò la sua mano e caddero assieme l’uno sull’altra.
4
Chewbacca sperava tanto di avere fatto tutto nel modo giusto. Il senso estetico di Han non era, ecco, troppo sofisticato. Ma aveva buone intenzioni. Leia di sicuro se ne sarebbe accorta. Sembrava una femmina molto per bene.