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Ruggito affermativo.

Respirando affannosamente, ritornò alla cabina di pilotaggio. «Dove siamo diretti?» chiese a Leia.

Leia sfiorò una leva di comando. «All’interno del sistema. Ce ne potrebbero essere degli altri qui fuori. Non so te, ma io mi sentirei più al sicuro se ci riunissimo al resto della forza d’attacco.» Mentre usciva dalla sedia del capitano, il rombo del motore divenne un gemito prolungato. Le luci delle cabine si affievolirono. «E adesso?» chiese Leia esasperata. «Non si sa mai cosa aspettarsi da questo rottame truccato.»

O dal suo capitano sbruffone? Avanti, principessa, dillo. Han colpì una consolle: sui quadri comando rispuntarono delle spie verdi e le luci della cabina ripresero a brillare. Il motore tornò a ruggire. Si sedette al suo posto con gran dispiego di sicurezza. «Ce l’abbiamo fatta alla grande, non ti pare?»

Leia intrecciò le braccia e assunse un’aria di sfida. «Con tutta la protezione che ho ricevuto in queste ultime ore, mi sembra che potremmo almeno cercare di essere utili a Luke.»

«Be’, allaccia le cinture, dolcezza. Ce ne andiamo di qui in fretta.»

Immobile se non per il movimento frenetico degli occhi, Luke spostava lo sguardo dal visore all’unità ACB. Le navi imperiali del comandante Thanas stavano ritirandosi.

Non perché Luke fosse arrivato. Evidentemente, la sua forza d’attacco era uscita dall’iperspazio proprio nel momento scelto dagli Ssi-ruuk per approfittare del vantaggio acquisito e cercare di scendere su Bakura. Il che voleva dire che per avanzare gli alieni avevano dovuto assottigliare il fronte dell’avanzata. Uno degli incrociatori leggeri era praticamente privo di difesa e creava un varco che la piccola flotta di Luke non avrebbe dovuto avere dei problemi a occupare.

«Delckis, dammi i capisquadriglia.»

I suoi auricolari furono invasi dal fruscio. Li sistemò più comodamente. «Okay, vediamo di attirare la loro attenzione.» Toccò un comando dell’ACB in modo che trasmettesse le sue valutazioni ai computer traccianti ed evidenziasse quell’incrociatore solitario. «Capo Oro, Rogue Uno, è tutto vostro.»

«Ricevuto, Flurry,» Wedge Antilles sembrava sicuro di sé e pieno di esperienza. «Squadriglia Rogue, assumere configurazione d’attacco.»

Seduto dentro un bersaglio cospicuo come la Flurry, Luke si sentiva molto vulnerabile. «Capo Rosso, dividete la squadra. Da Rosso Uno a Rosso Quattro, tenete aperta una via di fuga dietro i gruppi Rogue e Oro. Li costringeremo ad allontanarsi dal pianeta.» Ogni bit di dati che i sensori delle sue navi potevano fornire all’ACB lo avrebbe aiutato ad analizzare il comportamento e le capacità delle navi aliene.

Scosse la testa. Quei puntini giallo-oro sul suo schermo erano caccia imperiali, e lui li stava difendendo.

«Rosso Cinque e il resto della squadra, restate con la Flurry», finì Luke.

Seduta accanto a lui nella sedia rialzata del comandante, il capitano Manchisco si voltò, trascurando per un attimo il computer principale. Tre grosse trecce nere ricaddero sulle sue spalle, da ciascun lato. «Oh, grazie, comandante.» La sua presenza nella Forza lo stuzzicava. Sicuro della sua nave, del suo equipaggio e di se stessa, era pronta alla battaglia.

Gli squadroni Oro e Rogue si gettarono nella mischia, confondendo la retroguardia aliena con il loro veloce passaggio. Luke tese le sue sensazioni, praticamente ignaro del suo corpo. Nella Forza percepiva i piloti come sciami in movimento, come una mente-alveare. Cercò di individuare gli alieni, ma non li trovò. Le meriti poco familiari erano sempre difficili da raggiungere.

Mentre Wedge si dirigeva verso un minuscolo caccia nemico, che secondo l’ACB non era più lungo di un paio di metri, Luke trattenne il fiato. Una cosa così piccola non poteva che essere un congegno telecomandato, un drone. In caso contrario gli alieni dovevano essere piccolissimi...

Wedge lo colpì. Qualche cosa di debole e di inesplicabilmente putrido urlò di dolore, poi l’urlo si affievolì e scomparve. Luke cercò di dominare la nausea che lo aveva assalito. Aveva davvero sentito due presenze in quell’urlo? Tamburellò le dita sulla poltrona. I caccia nemici non erano affatto navi drone, dunque; avevano un pilota. Una specie di pilota. Di certo, nella distruzione di quel caccia qualcosa era morto.

Prima ancora che potesse terminare la sua catena di ragionamento, un’altra fila di caccia alieni comparve dietro capo Oro. Questa volta si aprì deliberatamente. L’intreccio di disperazione e dolore era tenue come un sospiro mentre svaniva nel nulla... ma era inconfondibilmente umano.

Luke non riusciva a immaginare dei piloti umani imbarcati su caccia alieni di quelle dimensioni. Specialmente non a coppie.

L’ACB emise un segnale sonoro. Sbattendo le palpebre nel tentativo di liberarsi dall’inquietudine, Luke guardò il circolo rosso che rappresentava l’incrociatore alieno. Lampeggiava: era vulnerabile.

«Flurry a Rogue Uno. È il momento di andare all’attacco di quell’incrociatore.»

«Ci penso io», gridò Wedge, la sua voce appena distinguibile al di là di uno strano fischio bitonale. Caccia Ala-X sorvolarono il visore di Luke.

Improvvisamente altre squadriglie di piccole piramidi lucenti uscirono da un’estremità dell’incrociatore alieno. «Torna indietro, Wedge», urlò Luke. «Hanno lanciato un’altra ondata.»

«Sì, l’ho notato.» Il fischio crebbe d’intensità; il nemico stava cercando di disturbarli. Wedge non sembrava troppo preoccupato. «L’ACB non riesce a decidersi, eh?» I caccia Ala-X si dispersero volando appaiati, invitando le piccole navi piramidali a farsi avanti per attaccarli.

Era là fuori che avrebbe dovuto essere. Le sue qualità migliori erano sprecate sul ponte di una nave.

L’ACB richiamò di nuovo l’attenzione di Luke su una stringa di simboli. Aveva contato le navi e notato le loro posizioni, valutando potenza di fuoco, resistenza degli scudi, velocità e altri fattori. La ritirata degli Imperiali si era tramutata in contrattacco all’estremità inferiore del fronte alieno. Evidentemente, Pter Thanas era uno stratega di prim’ordine. Luke si girò verso il suo ufficiale addetto alle comunicazioni. Un vago, sinistro sommovimento nella Forza gli stava facendo rizzare i capelli in testa.

Si chinò sull’ACB. Wedge stava conducendo i suoi uomini in un attacco che girava attorno all’incrociatore leggero per prenderlo alle spalle. Bene. La posizione imperiale si era rafforzata di una quindicina di punti percentuali. Eccellente.

No, un momento.

Una cannoniera aliena, molto più piccola dell’incrociatore ma senza dubbio armata di tutto punto, aveva lasciato il campo di battaglia. Stava dirigendosi verso la squadriglia di Wedge da ore sei, bassa, coperta dall’incrociatore; da quell’angolazione non c’era modo che Wedge la vedesse o la potesse evitare. Luke scommetteva che il capitano della cannoniera era appunto rimasto in attesa del momento in cui Wedge e i suoi gli avrebbero voltato le spalle. «Rogue Uno», scattò Luke, «Wedge, guarda sotto di te. Un pezzo grosso che arriva da sotto.» Pensandoci meglio, aggiunse: «Rosso Cinque è il tuo gruppo. Andate laggiù e liberate la coda di Wedge da quei caccia».

«Che succede?» riusciva a malapena a sentire la voce di Wedge fra i disturbi. I caccia Ala-X si dispersero. Il vettore di due di loro passò giusto entro il raggio di fuoco della nave vedetta. Lo schermo di Luke lampeggiò.

Due esplosioni di angoscia umana, dolorosamente familiare, trafissero la spina dorsale e lo stomaco di Luke mentre i due piloti alleati morivano. Non Wedge, si assicurò subito; ma uomini, comunque. Gente che aveva amici. Che mancherà a qualcuno. Per cui qualcuno porterà il lutto.

Chiamò a raccolta tutta la sua freddezza e cercò di proteggersi meglio. Non era quello il momento di piangere i caduti. Sullo schermo dell’ACB la nave vedetta lampeggiava ma era ancora saldamente dietro a Wedge.