Dietro Luke, il capitano Manchisco si schiarì la gola. «Mi scusi, comandante, ma così lei lascia la Flurry scoperta...»
Stava per voltare la testa quando sul quadro controlli dell’ACB comparve un riquadro rosso, lampeggiante. La Flurry stava per essere attaccata. Caccia alieni che riflettevano folli girandole di luci attraversarono lo schermo. «E a quanto pare», notò Luke, «anche loro se ne sono accorti. Bene, capitano Manchisco. Faccia del suo meglio con il suo equipaggio.»
Gli occhi neri di Manchisco si illuminarono. Si voltò di scatto e abbaiò una serie di ordini ai suoi uomini. Il Duro gorgogliò una domanda mentre le sue lunghe mani nodose si muovevano sui controlli della navigazione. Manchisco rispose con un altro gorgoglio. La Flurry aveva un uomo per ogni compito, dai cannonieri agli addetti agli scudi. Luke si concentrò sul pericolo che Wedge stava correndo e cercò di dimenticare il suo.
I minuscoli caccia alieni avevano quasi completamente circondato Wedge e la sua squadriglia, intrappolandoli in una rete di scudi e raffiche di energia da cui non avevano alcuna possibilità di uscire. Luke cercò di combattere il panico e di dirigere tutta la sua energia emotiva nella Forza che lo circondava e lo penetrava.
Tese il suo punto di consapevolezza verso la navicella aliena che si trovava proprio di fronte al muso del caccia Ala-X di Wedge. Lo toccò e avvertì chiaramente le due presenze quasi umane a bordo del piccolo scafo. Cercando di lottare contro il terribile, nauseante senso di perversione che le due presenze gli comunicavano, le sfiorò. Una era al controllo degli scudi, l’altra pilotava e gestiva gli armamenti. Luke si concentrò sulla seconda, cercando di introdurre dentro di essa le energie della Forza. Anche se era debole, quasi inavvertibile, la presenza reagì con forza straziante. L’infelicità di quell’entità era tanto potente da spingere lui stesso verso la disperazione: nessuno si meritava di vivere libero, urlava la presenza con tutto il suo essere. Secondo quella voce disperata, Luke non poteva fare niente per salvare Wedge e niente per salvare se stesso e niente nemmeno per salvare l’uno o l’altro degli umani a bordo del caccia nemico. Erano tutti condannati.
Luke si sforzò di vedere attraverso gli occhi dello sconosciuto. L’intera sfera dello spazio circostante si aprì ai suoi occhi. I suoi sensi furono sopraffatti. Dovette concentrarsi al massimo per riuscire a individuare il caccia Ala-X di Wedge. Ai lati della sua coscienza proiettata altre due piramidi erano sospese, apparentemente immobili, in perfetta formazione. Dal centro di ogni faccia triangolare un grappo di analizzatori e sensori guardava all’esterno come l’occhio sfaccettato di un insetto. Da ogni vertice spuntavano le bocche di cannoni laser.
Rabbia, paura, violenza: sono loro il lato oscuro. Yoda gli aveva insegnato che i mezzi erano importanti quanto i fini. Se avesse usato il potere oscuro, anche solo per difendersi, il prezzo per la sua anima avrebbe potuto essere disastrosamente alto.
Si rilassò, scivolando nella Forza. Confidando nel suo controllo perché assicurasse la salvezza della sua anima e della sua mente, amplificò quella volontà torturata. Per un attimo il senso di umanità della presenza culminò, una vittoria disperata per uno spirito tanto straziato. Era stato vivo una volta... e libero. Con tutta l’intensità di un’anima dannata, lottava per continuare a vivere.
Luke seminò un suggerimento in quella consapevolezza malata. Morire bene è meglio che vivere schiavi dell’odio; la pace è meglio della disperazione.
Con un’immediatezza che lo sorprese, la nave aliena cambiò rotta e si diresse verso uno dei suoi compagni di squadriglia. Accelerò, con l’evidente intento di speronarla. Luke si liberò con un senso di lacerazione dalla volontà dell’altro e rimase seduto ad ansimare e inghiottire. Si scostò dalla fronte una ciocca di capelli madidi di sudore.
Il suo cervello fu perforato da un rombo proveniente dagli auricolari. Gli ci volle un secondo buono per convincersi che era di nuovo sul ponte della Flurry e un altro per riacquistare una visione chiara e uno stomaco fermo.
Il caccia Ala-X di Wedge sfrecciò verso la salvezza attraverso il varco creato dalla distruzione dei due scafi nemici.
«Signore», chiamò il capitano Manchisco. Luke si scosse a uno stato di coscienza localizzato. «Si sente bene?»
«Fra un minuto starò benissimo.»
«Potremmo non avere un minuto a disposizione, signore.» L’ACB continuava a lampeggiare il suo avvertimento. La Flurry si scuoteva sotto il fuoco. I cannonieri di Manchisco avevano distrutto uno stormo intero di minuscoli caccia, ma nel frattempo ne erano arrivati molti altri, assieme a tre navi vedetta nemiche. In un angolo del pannello di controllo sei triangoli rossi si erano illuminati, segnalando un’erosione degli schermi. Aveva attirato l’attenzione degli alieni, eccome. La disperazione rifluì dal suo essere.
«La sala macchine non riesce a darci altra potenza», disse Manchisco. «Pensa di avere qualche asso nella manica... signore?»
In altre parole, poteva il famoso Jedi tirarli fuori da questo pasticcio? Manchisco appariva ancora spavalda, ma anche lei stava raggiungendo un picco nella produzione di adrenalina.
Il navigatore le gorgogliò qualcosa. «No», ordinò il capitano, in tono allarmato. «Resta al tuo posto.» Il navigatore si passò una lunga mano grigia sul cranio nudo.
«A tutte le squadriglie», chiamò Luke. «La Flurry ha bisogno di rinforzi.»
La nave si scosse di nuovo. Lungo tutto il ponte di comando delle spie avevano preso a lampeggiare. «Ecco», annunciò un membro dell’equipaggio dalla sua stazione. «Abbiamo appena perso gli scudi. Adesso vedremo quanto è forte lo scafo.»
Caccia piramidali ruotavano freneticamente sul visore. Luke strinse i pugni. Nella sua mente era una girandola di idee, tutte inutili.
Qualcosa luccicò in mezzo alla battaglia, il disco asimmetrico di un trasporto leggero che usciva dall’iperspazio proprio fra lo sciame di caccia alieni. Una nave vedetta si trovò nel suo raggio di fuoco. Un secondo dopo, niente più nave vedetta.
«Ho pensato che un po’ di aiuto poteva farti comodo», disse una voce familiare nei suoi auricolari.
«Grazie, Han», mormorò. «Carino da parte tua venirci a trovare.»
Caccia dopo caccia l’intero sciame sfrecciò davanti alla Flurry, fuggendo in direzione dello spazio aperto. «Quante me ne devi con questa, ragazzo?»
«Tante», rispose. O forse era a Leia che doveva qualcosa. Forse anche lei stava imparando a dar retta a intuizioni provenienti dalla Forza.
Il vortice della battaglia rallentò piano piano. Numeri e cifre scorrevano sullo schermo dell’ACB, ma Luke li ignorò. Più tardi avrebbe potuto usare quelle informazioni per spiegare ai suoi piloti quali erano le caratteristiche delle navi nemiche. Ma per adesso, si limitò a guardare il campo stellato nel visore considerando la situazione. Affidarsi alla forza richiedeva calma, ma non l’abiura della ragione.
«Squadriglia Rossa», ordinò Luke, «mettetevi in posizione sotto quell’incrociatore. Passategli di prua. Costringetelo a dirigersi verso l’interno del sistema.»
Si accarezzò un’unghia con il pollice, sovrappensiero, mentre aspettava che la grande nave si voltasse, poi, accorgendosene, strinse la mano sulla coscia. Lentamente il puntino rosso cominciò a girare sul suo schermo. Avanzò piano e come aveva previsto, del tutto cieco alla presenza della Squadriglia Rossa. Ancora un po’ e la Squadriglia Rossa avrebbe potuto...
«Squadriglia Rossa?» trasmise Luke.
«Attacchiamo ora», squittì una giovane voce.
Luke dovette stringere l’altra mano sull’orlo del suo quadro. La prossima volta avrebbe lasciato che Ackbar affidasse il comando a qualcun altro. Era ridicolo. Odiava il comando. Avrebbe dato le dimissioni appena possibile.