La pace, offerta dall’Impero, aveva ricompensato Bakura per l’autonomia persa; o almeno così sembrava a Gaeri, anche se doveva ammettere che la sua esperienza in questo campo era limitata. L’Impero aveva posto termine al caos e alla guerra civile e aveva aperto ai prodotti bakurani un mercato galattico.
Eppure molti senatori non erano d’accordo; e quando parlavano, per quanto sottovoce, Gaeri li ascoltava.
E a proposito dei dissidenti, era ora di dirigersi verso la casa dei Belden. Si rimise le scarpe e si diresse allo scalo che si trovava sul tetto.
In genere, Dev durante le battaglie aspettava nella cabina del suo padrone, Firwirrung, lavorando alacremente al suo progetto di traduzione per evitare di dover sentire il terrore dei nemici quando il raggio traente li catturava. Oggi, però, Firwirrung gli aveva chiesto di andare a prendere dei vassoi di cibo e dei tubetti di bevande in cambusa e di portarli su, attraverso un corridoio illuminato da luci forti, fino al ponte di comando.
Poiché erano impegnati nella difesa della forza d’attacco, l’ammiraglio Ivpikkis aveva ordinato di fabbricare nuovi droidi da combattimento e di trascurare il rifornimento di droidi destinati al servizio interno sulla Shriwirr, a eccezione dei droidi di sicurezza del ponte di comando; quindi Dev era stato incaricato di sopperire alla mancanza di servitori. Il capitano della Shriwirr aveva tenuto la nave il più lontano possibile dalla battaglia, sia per salvaguardare le preziose vite ssi-ruuvi che per mantenere aperto il canale di comunicazione che, attraverso una lunga serie di ripetitori subspaziali, arrivava fino al grosso della flotta.
Ogni volta che venivano portati a bordo dei prigionieri nemici, Dev si sentiva segretamente consolato dalla loro presenza... per quanto breve fosse. Infatti gli umani venivano immediatamente intecnati e le loro presenze nella Forza riversate nei droidi da combattimento. Non che Dev gli volesse negare questa gioia solo per il proprio conforto psicologico, ma segretamente, egoisticamente, lo rattristava. Senza che i suoi padroni lo sapessero, spesso si tendeva nella Forza durante le battaglie e accarezzava la presenza intatta degli umani. Sentendosi colpevole, ma senza riuscire a farne a meno, si tese anche ora...
E incontrò un enorme potere. Dev rimase immobile, afferrandosi alle superfici di governo del carrello a repulsione. Qualcuno, da qualche parte, fuori dalla Shriwirr, possedeva la stessa profonda e placida forza che aveva sempre associato alla presenza di sua madre. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Che fosse tornata? Era mai possibile? Aveva sentito parlare di visite dall’aldilà, ma...
No. Se si trattava di un umano, di certo l’umano non era su Bakura, perché lo sentiva troppo vicino; e allora doveva trattarsi senz’altro di un nemico. Inoltre era molto più forte di quanto era stata sua madre. Aveva sentito l’ammiraglio menzionare, come se fosse una cosa a malapena degna della sua attenzione, un nuovo gruppo di astronavi in arrivo, ma questo nemico gli faceva pensare... gli faceva pensare a casa sua. Lo Straniero si stava concentrando sulla battaglia, ma non con lo stesso tipo di passione con cui lo faceva Dev. Decise di scendere più in profondità. La somiglianza che avvertiva nell’altro lo invitava e lo seduceva. Lo Straniero non sembrò notare il suo cauto sondaggio. Dev spinse il carrello a repulsione. Non ci doveva pensare. Sperava che quella sensazione non tornasse più.
Avanzò. Aveva quasi raggiunto il ponte di comando quando un fischio gorgheggiante si udì attraverso gli altoparlanti generali. Emergenza: assicurarsi a un bozzolo e preparasi per il riorientamento.
Stupito, Dev abbandonò il carrello. Si tuffò nel portello aperto più vicino e scorse diversi bozzoli d’emergenza, assicurati al soffitto e al pavimento, notandone uno che pendeva ancora libero. Saltò in avanti, afferrò il cordone rosso sul bordo e se lo tenne premuto sullo sterno, poi ruotò su se stesso per circondarsi di rete. Ora più che mai desiderava un massiccio, robusto corpo ssi-ruuvi. Snello e senza coda, dovette girare su se stesso una mezza dozzina di volte prima che la rete lo avvolgesse in modo abbastanza efficace.
Poi, per diversi secondi, mentre l’allarme suonava ancora, ebbe il tempo di pensare. Di cercare di ricordare se aveva rizzato bene i cuscini del nido, quella mattina. E di ricordarsi anche di aver lasciato un carrello carico nel corridoio.
Peggio ancora, l’invincibile Shriwirr stava inaspettatamente accelerando, come per prepararsi a un salto nell’iperspazio. Ma non poteva certo essere una ritirata, questa. Erano stati tanto vicini alla vittoria...
La parete più vicina divenne pavimento, poi soffitto. Lo stomaco di Dev protestò veementemente. L’accelerazione gli premette la faccia contro sei strati di rete. Incapace di appoggiarsi alla paratia con la coda, spingeva le dita nella rete mentre roteava fuori controllo. Chiuse gli occhi e pregò che tutto finisse in fretta.
La gravità ritornò al posto consueto e il fischio dell’allarme cessò all’improvviso. Stordito, Dev cercò di liberarsi.
«Che cosa sta succedendo?» chiese uno dei suoi vicini. «È dai tempi di Cattamascar che non ricordo un altro riorientamento di emergenza.»
La risposta venne da una voce sgradevolmente familiare. «Abbiamo perso un incrociatore. Quasi tutti i droni da combattimento sono andati. Dovremo sprecare un bel po’ di umani per proteggere le navi che ci sono rimaste. Faremo meglio ad analizzare la tattica di questi nuovi arrivati prima di tornare all’attacco. Questo gruppo è diverso dagli altri. Navi diverse, diverso stile di comando.»
Stile di comando? Possibile che il nuovo gruppo fosse comandato da quell’uomo così potente nella Forza? Magari... magari un vero Jedi, uno che aveva finito l’addestramento solo cominciato da sua madre?
Ma l’Impero aveva sterminato i Jedi. Gli aveva dato la caccia e li aveva uccisi tutti.
Sì, ma l’imperatore era morto. Un vero Jedi ora avrebbe potuto anche osare di mostrarsi.
Be’, erano tutte supposizioni. Finalmente libero dalla rete, Dev uscì dal bozzolo. Davanti a lui, che lo guardava dall’alto con i liquidi occhi neri, c’era il massiccio Ssi-ruu che effettuava i suoi periodici interventi di «rinnovamento»: Sh’tk’ith, l’anziano rispettosamente soprannominato Scaglia Blu. Scaglia Blu proveniva da una razza ssi-ruuvi differente da quella di Firwirrung: piccole scaglie di un azzurro brillante, volto più stretto, coda più lunga. La razza di Scaglia Blu dominava il pianeta madre come quella di Firwirrung aveva la supremazia nell’esercito.
Doveva riferire a Scaglia Blu quello che aveva percepito... ma questo avrebbe voluto dire confessare il suo vizio segreto. Dev guardò il pavimento e sbatté le palpebre. «Ti saluto, o anziano...»
«Che cosa c’è che non va?» domandò Scaglia Blu imperiosamente. Le sue scure lingue nasali saettavano nell’aria, gustandone l’odore. Di tutti gli Ssi-ruuk, lui sembrava il più sensibile ai leggeri cambiamenti di odore di un umano sotto stress.
«Tanto... spreco», disse Dev prudentemente, «tutti quei droidi da battaglia perduti, che tragedia! Quei poveri umani... le loro nuove vite, le loro felicità appena conquistate, tutto finito così in fretta. Lasciatemi piangere i miei... gli altri umani, anziano. Sono tanto triste per loro. Tanto triste.» L’entità della sua menzogna lo scandalizzò.
Tre paia di palpebre sbatterono velocemente. Scaglia Blu emise un rumore gutturale, l’equivalente ssi-ruuvi di un «hmm» pensieroso. Tamburellando gli artigli anteriori, Scaglia Blu rispose: «Più tardi, allora. Dopo che avrai pianto le loro morti, torna da me. Ti rinnoverò perché tu ci possa servire più serenamente.»