Luke si fece sfuggire un fischio. «No, non vogliamo che quel po’ po’ di motore salti in aria, direi.» Adesso si spiegava il perché della fretta dimostrata dal trasporto che si stava allontanando.
«Già.» Wedge era appeso a un’estremità del cilindro, con una tuta pressurizzata addosso e un tubo che lo collegava al sostentamento vitale del caccia Ala-X. Doveva aver aperto la cupola della cabina di pilotaggio per buttarsi verso il drone nel momento stesso in cui si era reso conto di aver armato l’autodistruzione, depressurizzando così il suo caccia. Nella tuta pressurizzata leggera che indossavano i piloti e protetto dall’elmetto di emergenza, avrebbe potuto sopravvivere nel vuoto per diversi minuti.
«Da quanto è che sei lì, Wedge?»
«Non lo so, ma non m’importa. Vedessi che spettacolo si gode da qui.»
Luke si avvicinò con prudenza, invertendo i motori. Wedge aveva una mano infilata dietro uno sportellino aperto. Voltò la testa per seguire il caccia di Luke mentre questi usava brevi colpi di razzo per adeguare il proprio momento a quello del cilindro.
«Però una mano mi farebbe comodo. Un’altra mano, cioè.» Il tono di Wedge era spavaldo, ma la sua voce tradiva fatica e tensione. Doveva avere la mano quasi stritolata. «Che cosa ci fai qua fuori?»
«Mi godo il panorama, no?» Luke passò in rassegna le possibili alternative. I piloti dei caccia Ala-A decelerarono e si tennero a distanza, probabilmente pensando che Luke sapesse quello che stava facendo. «C1», gridò. «Che portata ha il tuo braccio estensibile? Se mi avvicino abbastanza, ce la fai ad aiutarlo?»
No: anche ad angolazione ottimale mancherebbero 2,76 metri, apparve sul display che Luke aveva sopra la testa.
Luke fece una smorfia. Il sudore gli colava sulla fronte. Qualunque cosa piccola, leggera di cui potesse fare a meno sarebbe andata bene. Ma se non si sbrigava, il suo amico sarebbe morto. Già adesso la presenza di Wedge nella Forza oscillava paurosamente.
Luke guardò la sua spada laser. Di quella non poteva certo fare a meno.
Neanche per salvare la vita di Wedge ? E poi avrebbe sempre potuto recuperarla. Lentamente, fece scivolare la spada laser nel tubo di espulsione dei segnali di emergenza. La espulse e poi tese una mano verso di essa, attraverso dieci metri di vuoto. La lanciò verso Wedge. Una volta raggiunto il suo obiettivo, torse il polso. La lama bianco-verde apparve, totalmente silenziosa nel vuoto siderale. Gli occhi castani di Wedge, spalancati dietro il visore, ammiccarono.
«Al mio segnale», disse Luke, «salta via.»
«Luke, perderò un paio di dita.»
«Salta via in fretta», ripeté Luke. «Perderai più di un paio di dita se resti lì.»
«Non è che ce la faresti a bloccarmi le terminazioni nervose, eh, grande Jedi? Queste dita mi fanno un male cane.» La voce di Wedge suonava sempre più fioca. Raccolse a sé le ginocchia, preparandosi a saltare.
In momenti come questi, badare ai vaporatori di umidità dello zio Owen su Tatooine non sembrava più così terribile.
«Cercherò», promise Luke. «Mostrami i cristalli. Guardali bene.»
«Va bene.» Wedge si girò per guardare dentro il compartimento aperto. Lasciando per un attimo che la spada laser andasse alla deriva, Luke cercò la presenza amica di Wedge. Sapeva che Wedge non gli avrebbe resistito, lo avrebbe lasciato...
Attraverso gli occhi di Wedge e lottando contro il dolore torturante che proveniva dalla sua mano, Luke vide un paio di gioielli rotondi, sfaccettati: uno nel palmo della sua mano, l’altro che premeva dall’esterno contro il suo dorso, spinto da un meccanismo a molla. Grandi come un pugno, restituivano in barbagli dorati la luce della spada laser riflessa dalla tuta arancione di Wedge. Luke non credeva che il guanto della tuta pressurizzata sarebbe stato sufficiente a tenerli separati o avrebbe semplicemente suggerito a Wedge di sfilarselo. Una depressurizzazione di breve durata non avrebbe danneggiato troppo la sua mano.
Quando Wedge fosse saltato, Luke avrebbe avuto solo una frazione di secondo per tagliare via uno dei due cristalli e poco dopo Wedge sarebbe svenuto. Era collegato al suo caccia e avrebbe continuato a respirare, ma poteva perdere un sacco di sangue. Già ora la sua vista si stava oscurando.
Luke diede una spinta alla soglia del dolore del suo amico.
Troppe cose a cui badare contemporaneamente. Il suo dolore cominciò a filtrare oltre il suo controllo. «Eccolo», grugnì.
«Eccolo cosa?» chiese Wedge in tono sognante.
«Il panorama», disse Luke. «Quando dico tre, salta. Salta con tutte le tue forze. Uno.» Wedge non fece obiezioni. Stringendo i denti, Luke aumentò il grado della sua fusione mentale con la spada. Finché si concentrava su quella, sarebbe riuscito a mantenere il controllo. «Due.» Mentre contava regolarmente, sentiva la spada, i cristalli e la loro distanza critica come parte dell’interezza dell’universo.
«Tre.» Non successe niente. «Salta, Wedge!» urlò Luke.
Wedge saltò, debolmente. Luke si avventò. Un cristallo rotolò via, gettando un caleidoscopio di riflessi verdi sull’alettone a «S» superiore del caccia Ala-X.
«Ooh», cantò la voce di Wedge al suo orecchio. «Che carino.» Ruotò su se stesso nel vuoto, tenendosi la mano.
«Wedge, torna dentro!»
Nessuna risposta. Luke si morse il labbro. Stabilizzò la spada laser che ruotando su se stessa stava andando alla deriva e disattivò la lama. Il cavo che assicurava Wedge si tese sopra l’altro caccia Ala-X. Le braccia e le gambe dell’altro si muovevano disordinatamente.
Luke attivò il suo segnale di soccorso. «Capo Rogue a Base Uno. Ho disarmato l’esplosivo. Richiedo assistenza medica immediata!»
Da dietro i caccia Ala-A, dov’era rimasta, fuori dalla zona di pericolo, una nave soccorso sfrecciò nel suo campo visivo.
A ogni respiro il corpo di Wedge si sollevava e ricadeva nel serbatoio trasparente pieno di fluido curativo bacta. Con grande sollievo di Luke erano riusciti a salvargli tutte le dita. Il droide medico 2-1B finì di configurare i controlli e poi si girò a fronteggiare Luke. Gli arti sottili e articolati del droide si muovevano aggraziati davanti al carapace trasparente della sua sezione mediana. «E adesso tocca a lei, signore. Per favore si metta dietro lo scanner.»
«Ma io sto bene.» Luke inclinò lo sgabello su cui sedeva fino a toccare la paratia. «Sono solo stanco.» C1, accanto a lui, emise un fioco, preoccupato bip.
«La prego, signore. Ci vorrà solo un momento.»
Luke sospirò e si diresse con passo stanco dietro il pannello rettangolare alto quanto un uomo. «Va bene?» chiese da dietro lo scanner. «Posso andare, ora?»
«Ancora un momento», rispose la voce meccanica, seguita da suoni metallici. «Un momento», ripeté il droide. «Ha avuto episodi di sdoppiamento della vista, di recente?»
«Be’...» Luke si grattò la testa. «Sì. Ma si è trattato di un momento.» Di certo quel piccolo incidente non aveva nessuna importanza.
Mentre il pannello dei comandi diagnostici rientrava nella paratia, un lettino medico a repulsione venne estruso dalla parete dietro 2-1B. Luke fece un passo indietro. «E quello che cosa sarebbe?»
«Lei non sta bene, signore.»
«Sono solo stanco.»
«Signore, la mia diagnosi è che lei è andato incontro a un’improvvisa e massiccia decalcificazione della struttura scheletrica, una rara patologia causata dall’esposizione a un campo elettrico conduttivo o di altro tipo di energia.»
Di altro tipo di energia. Ieri, sì. L’imperatore Palpatine e il suo ghigno malvagio mentre scariche bianco-azzurre scaturivano dalle sue mani e inchiodavano Luke urlante e agonizzante al pavimento della Morte Nera. Luke si sentì sudare freddo. Il ricordo era terribilmente vivido. Aveva pensato di stare per morire. Stava per morire.