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Han sbuffò in tono di derisione. «Continua a puzzarmi di trappola. Non mi piace.» Ma tornò a voltarsi verso i comandi. Luke abbandonò il sedile di Chewie e si sedette dietro.

«E poi Luke è un Jedi», gli ricordò Leia.

Luke annuì. «Terremo gli occhi aperti.»

Il Falcon lasciò la sua posizione nell’orbita di parcheggio e si mise sul vettore in approccio alla capitale di Bakura, Salis D’aar. Mentre passavano attraverso la rete difensiva, Leia vide un gigantesco bacino di riparazione orbitale: a forma di disco, non sferico, grazie al cielo. Ne avevano avuto abbastanza di Morti Nere. Han scese in economia, rapido e senza fare del turismo. Leia sbirciò lo schermo dell’analizzatore nel varco fra i sedili di Han e Chewie.

Fra due fiumi gemelli sorgeva un’enorme formazione di roccia biancastra che risplendeva a tal punto nella luce obliqua del sole che Leia ne rimase abbagliata.

Sbattendo le palpebre, Han inserì un filtro visivo. «Meglio, così?»

«Guardate laggiù», sussurrò Leia. Dove la formazione rocciosa piegava verso sud-est, era occupata per tutta la sua larghezza da una città. A sud della città Leia vide un doppio anello di crateri che circondavano un’alta torre metallica. Lo spazioporto civile, pensò.

Guardò di nuovo verso nord, verso l’abitato. La pianta della città, composta di cerchi concentrici che incrociavano direttrici radiali, le ricordava una grande tela di ragno; attorno a un gruppo di torri centrali si potevano scorgere i segni di un intenso traffico aereo. «Qual è l’ora locale?» chiese.

«È da poco passata l’alba.» Han si grattò il mento. «Sarà una giornata lunga.»

Alcuni irregolari macchie verdi sembravano suggerire che laddove era possibile, in nicchie di terreno catturate alla roccia nuda, erano stati creati parchi lussureggianti.

«Guardate.» Luke indicò un punto un chilometro circa a sud dello spazioporto. Enormi torrette fornite di turbolaser sorvegliavano un complesso esagonale che sorgeva all’interno di un ampio spazio la cui superficie nera e arida era evidentemente di origine artificiale.

Leia incrociò le braccia. «È una guarnigione imperiale. Sono tutte costruite nello stesso modo.»

«Sarà pieno di truppe d’assalto, laggiù», osservò Han.

«Che cosa avete detto?» interloquì 3BO nella sua solita posizione al tavolo di gioco. «Qualcuno ha visto delle truppe d’assalto?»

«Non farti saltare un fusibile», lo sbeffeggiò Han. «Ce li troveremo dappertutto una volta scesi.»

Il mormorio di 3BO continuò, assumendo un ritmo di: «Oh povero me, oh povero me». Luke si slacciò le cinture e uscì dalla cabina di pilotaggio.

Chewbacca ululò qualcosa. «Evidentemente Luke si aspetta un atterraggio morbido», tradusse Han. «Non vedo perché non dovrebbe», aggiunse, offeso.

Leia scelse di rimanere al suo posto e lisciare una piega del suo vestito bianco. Si era fatta fare una copia del suo bianco abito senatoriale, ormai molto consunto. Sperava ancora di riuscire a far dimenticare la reputazione da pezzenti dei Ribelli, sempre che questo fosse possibile dopo essere stati visti atterrare con il Falcon.

Han volò due volte tutt’attorno alla città, abbassandosi sui due fiumi che scorrevano senza poter confluire ai lati di quell’incredibile collina bianca. «Non ci sparano», notò. «Suppongo che a questo punto possiamo anche atterrare.»

I controllori di volo diressero Han verso un cratere multinave nella parte occidentale dello spazioporto che in quel momento era libero. Le lunghe ombre mattutine di varie gru da riparazione si estendevano sul terreno bianco. «Di che cosa è fatta la superficie?» mormorò Leia mentre Han effettuava la discesa finale.

Han guardò un analizzatore. «Qui dice che è praticamente quarzo puro. Il cratere sembra fatto di cristallo grezzo, ma qualcuno lo deve avere lavorato.»

Il Falcon toccò terra dolcemente.

«Ecco, visto?» si vantò Han. «Non c’era ragione di preoccuparsi.»

Chewie abbaiò. Leia si voltò per seguire la direzione indicata dal suo braccio peloso. Una ventina di persone erano radunate attorno a una navetta a repulsione lunga e stretta, sotto una gru che si trovava proprio sull’orlo del loro cratere d’atterraggio. «Sbrigati, Luke», gridò Han.

«Eccomi.» La voce di Luke, un po’ affannata, echeggiò nel corridoio. Leia saltò fuori dalla sua poltrona e andò a raggiungerlo.

3BO era in piedi e annuiva con approvazione davanti alla tuta bianca di Luke, priva di insegne e di gradi. Mentre Leia lo squadrava da capo a piedi, si allacciò sopra la tuta una cintura argentata da cui pendevano un fulminatore, tre caricatori e la sua spada laser. «Va bene così?» Fissò Leia negli occhi. Aveva uno sguardo talmente innocente, con quegli occhioni blu.

«Suppongo che sia così che deve vestire un Jedi», concesse Leia un po’ dubbiosa. Vorrei tanto che tu sembrassi un po’ più vecchio.

Luke guardò ansiosamente verso Han. Han scrollò le spalle. Leia rise. «Che cosa t’importa di cosa ne pensa lui?» chiese a Luke.

«Ha un aspetto veramente splendido, padron Luke», intervenne 3BO. «Invece lei, generale Solo, sembra un po’ trasandato. Non pensa che ridurremmo consistentemente i nostri rischi se...»

«Chewie», tagliò corto Han. «Vuoi restare a bordo?»

Era una domanda sensata. Chewbacca, se fosse venuto, avrebbe rappresentato l’Alleanza al meglio. Per principio gli Imperiali disprezzavano tutte le razze aliene, ma erano stati umani e alieni assieme che, stanchi della repressione imperiale, avevano fondato l’Alleanza.

Chewie ruggì. «Okay», disse Han. «Suppongo che un altro paio di occhi possa sempre essere utile. State in guardia, tutti quanti.»

A Leia parve che 3BO avesse sghignazzato, sempre che una cosa del genere fosse possibile per uno come lui. C1 cinguettò forte.

«Va bene», interruppe Luke. «Eccoci qua.»

Leia si sistemò al centro del gruppo, con Luke alla sua destra, Han alla sinistra, Chewie dietro con 3BO e C1. Chewie abbassò la rampa. Leia scese lentamente, annusando l’aria fresca e umida che le sembrava pesare addosso con il suo esotico odore vegetale. La prima boccata d’aria su un pianeta nuovo era sempre un grande piacere per lei.

Quando mise piede sulla superficie chiara dello spazioporto, questa scricchiolò. Si guardò alle spalle. Il Falcon giaceva su un serico letto di roccia bianca e di grigia polvere.

Basta fare la turista. Al lavoro, adesso. Avanzò fino a incontrare il gruppo di Imperiali accanto allo shuttle.

«Ooh», fece Han, sarcastico. «Ma quante belle armature bianche bianche.»

«Dacci un taglio», mormorò Leia. «Anch’io vesto di bianco.» Ripensò ai suoi giorni come senatrice imperiale, giorni di doppio gioco fra i lacchè dell’imperatore e l’Alleanza ancora infante per cui suo padre era morto.

Il suo vero padre, Bail Organa, che l’aveva cresciuta ed educata e le aveva insegnato il rispetto di se stessa e lo spirito di sacrificio. Qualunque cosa potesse dirle la biologia, nessun altro uomo avrebbe mai potuto aspirare a quel titolo, per quanto la riguardava. Fine. Programma terminato.

L’uomo al centro del gruppo doveva essere il governatore imperiale Wilek Nereus. Alto e bruno, con i lineamenti pesanti, portava un’uniforme color cachi che avrebbe potuto appartenere al Grand Moff Tarkin, con in più un paio di guanti neri. Gli altri componenti del gruppo continuavano a cambiare posizione per tenerlo d’occhio. Era in tutto e per tutto «Il Capo».

Rilassati, si disse. Lasciati andare. È qui che sono i miei punti di forza, in un campo diverso da quello di Luke.

La delegazione del governatore Nereus formò un semicerchio tutt’attorno a loro. «Principessa Leia di Alderaan.» Accennò a un mezzo inchino. «È un onore ricevervi.»

«Governatore Nereus.» Leia ritornò l’inchino, facendo attenzione a non inclinarsi neanche un decimo di grado più di quanto avesse fatto lui. «È un onore essere qui.»