«L’improvviso calo di minerali nel sangue sta causando piccoli crampi muscolari nel suo corpo, signore.»
Allora era per questo che si sentiva così indolenzito. Fino a un’ora prima non gli era stata data l’occasione per mettersi seduto e accorgersene. Sentendosi sconfitto, alzò lo sguardo su 2-1B. «Ma non c’è un danno permanente, vero? Non c’è bisogno di sostituire qualche osso?» Il pensiero lo fece rabbrividire.
«La patologia in questione diventerà cronica se lei non resta a riposo e non mi permette di effettuare le cure del caso», rispose la voce meccanica. «L’alternativa è l’immersione nel fluido bacta.»
Luke gettò uno sguardo al serbatoio. Oh, no, quello no, non di nuovo. La volta precedente aveva avuto in bocca sapore di bacta per una settimana. Si tolse con riluttanza gli stivali e si distese sul lettino a repulsione.
Si svegliò, notevolmente a disagio, poco dopo.
Il volto metallico di 2-1B apparve accanto al suo capezzale. «Analgesico, signore?»
Luke aveva letto da qualche parte che gli umani hanno tre ossicini nell’orecchio. Adesso ci credeva. Riusciva a contarli uno per uno. «Ma mi sento peggio di prima», si lamentò. «Non dovevi curarmi?»
«Ho effettuato il trattamento, signore. Ora lei deve riposare. Posso offrirle un analgesico?» ripeté pazientemente.
«No, grazie», grugnì Luke. Se voleva diventare un buon cavaliere Jedi, doveva imparare a controllare le proprie sensazioni: prima ci riusciva, meglio era. Il dolore era un rischio del mestiere.
C1-P8 emise dei fischi interrogativi.
Indovinando quale poteva essere la loro traduzione, Luke disse: «Va bene, C1, tu monterai di guardia. Io mi farò un altro sonnellino». Si voltò su un fianco. Lentamente il peso del suo corpo scavò una nuova serie di incavi nel materiale flessibile che rivestiva il lettino. Ecco il lato sgradevole dell’essere chiamato eroe. Comunque quando aveva perso la mano era stato molto peggio.
A pensarci bene, la mano bionica non gli faceva male.
Almeno quella era una cosa positiva.
Era tempo di reinventare l’antica arte jedi dell’autoguarigione. Le brevi lezioni di Yoda sull’argomento avevano lasciato molto all’immaginazione.
«Ora la lascerò solo, signore.» 2-1B si voltò. «La prego di cercare di dormire. Chiami pure se ha bisogno di assistenza.»
Un’ultima curiosità fece risollevare la testa a Luke. «Come sta Wedge?»
«Sta facendo molti progressi, signore. Se tutto va bene verrà dimesso entro un giorno.»
Luke chiuse gli occhi e cercò di ricordare quello che Yoda gli aveva insegnato. Dei passi affrettati risuonarono nel corridoio oltre il portello aperto. Luke era già concentrato nella Forza e avvertiva la presenza allarmata che si dirigeva in fretta lungo il corridoio. Per quanto ascoltasse con attenzione, non riusciva a percepire l’identità dell’individuo. Yoda gli aveva detto che il discernimento preciso di chi percepiva, perfino se era uno sconosciuto, sarebbe venuto con il tempo, a mano a mano che imparava a calarsi in quel profondo silenzio dell’anima che permette a un Jedi di distinguere le increspature prodotte nella Forza da ogni essere vivente.
Luke si rigirò, cercando di addormentarsi. Dopotutto, gli era stato ordinato di dormire.
Ma era ancora Luke Skywalker; doveva sapere che cosa era che aveva messo tanto in allarme il soldato. Si alzò con prudenza e scivolò a terra, appoggiando il peso sui piedi. Adesso che il dolore era localizzato nelle estremità del suo corpo, poteva combatterlo fingendo che i suoi piedi non esistessero più... o qualcosa del genere. La Forza non si poteva spiegare facilmente. Era semplicemente qualcosa che si usava... quando ti permetteva di farlo. Ma nemmeno Yoda aveva potuto vedere tutto.
C1 fischiò in tono allarmato. 2-1B rotolò verso di lui con le estremità sottili che si agitavano. «Signore, torni a distendersi, prego.»
«Tra un attimo.» Sporse la testa nel corridoio e gridò: «Fermo!»
Il soldato Ribelle si fermò di botto e si voltò su se stesso.
«Sono riusciti a decodificare il messaggio del drone?»
«Ci stanno ancora lavorando, signore.»
Allora il suo posto era la sala di guerra. Luke indietreggiò, scontrandosi con C1 e si tenne in equilibrio con una mano sulla sommità ricurva del piccolo droide. «Signore», insistette il droide medico, «torni a distendersi, prego. La sua condizione diventerà rapidamente cronica se lei non mantiene un riposo assoluto.»
Immaginando una vita di dolore atroce e l’alternativa di un’altra immersione nel liquido appiccicoso, Luke si sedette sull’orlo del lettino a repulsione, infelice.
Poi gli venne in mente qualcosa. «2-1B, scommetto che qui avete...»
La sala militare della nave ammiraglia, adesso quasi vuota, era abbastanza grande da contenere un centinaio di persone. Un droide di servizio scivolò lungo la curva di un banco strumentazione, passando fra un tubo luminoso e la lucida paratia bianca. Giù nel centro della stanza, accanto al tavolo da proiezione che dominava la sala militare e all’unico tecnico in servizio, stava Mon Mothma, la donna che aveva fondato l’Alleanza Ribelle e ora ne era a capo; accanto a lei era in piedi il generale Crix Madine. La presenza di Mon Mothma, nelle sue lunghe vesti bianche, illuminava la stanza e splendeva, invisibile, nella Forza; in quanto alla sicurezza del barbuto generale Madine, era cresciuta visibilmente dopo la battaglia di Endor.
Entrambi guardarono Luke e si accigliarono. Luke sorrise con scarsa convinzione e strinse i braccioli della sedia a repulsione che aveva requisito dall’infermeria, guidandola con attenzione giù per gli scalini verso il tavolo da proiezione.
«Non imparerai mai, vero?» Il cipiglio del generale Madine si distese leggermente. «Il tuo posto è l’infermeria. Questa volta dovremo ordinare a 2-1B di ridurti all’incoscienza.»
Un muscolo si contrasse quasi involontariamente sulla guancia di Luke. «Che cosa mi dite di quel messaggio? Da qualche parte c’è un comandante imperiale che ha buttato via un quarto di milione di crediti per spedire quel pezzo di antiquariato.»
Mon Mothma annuì, limitandosi a rimproverare Luke con uno sguardo placido. Una consolle secondaria si accese, questa volta un tavolo di proiezione olografica molto più piccolo, sopra il quale comparve un ologramma in miniatura dell’ammiraglio Ackbar, con i suoi grandi occhi che sporgevano dalla testa liscia e ricurva. Anche se durante la battaglia di Endor il Calamariano aveva comandato la flotta da una poltrona sotto il grande oblò che adesso si trovava alla sinistra di Luke, Ackbar si sentiva più a suo agio sul suo incrociatore. Lì il sostentamento vitale era regolato per garantire la massima comodità ai Calamariani. «Comandante Skywalker», ansimò. Sotto la sua mandibola piccoli tentacoli simili a baffi si agitavano inquieti. «Lei deve imparare a valutare... più attentamente... i rischi che corre.»
«Sì, ammiraglio, le prometto che lo farò. Quando posso.» Luke si lasciò andare contro lo schienale della sedia a repulsione, che aveva appoggiato contro l’orlo del tavolo olografico, in modo da stabilizzarla. Un fischio elettronico risuonò da un portello dietro di lui. C1-P8 non aveva intenzione di permettergli di uscire dal raggio dei suoi fotoricettori neanche per trenta secondi. Ma il piccolo droide con la cupola azzurra doveva fare un lungo giro per giungere fino a lui. Rotolò accanto ai banchi del computer nella parte alta della sala, nascondendo una dopo l’altra varie spie luminose come in una piccola eclissi, finché non raggiunse una piattaforma mobile. Da lì si calò fino al livello di Luke, per poi rotolare fino alla sua sedia a repulsione e cominciare a emettere una lunga serie di rimproveri, probabilmente provenienti da 2-1B. Il generale Madine sorrise sotto i baffi.
Luke non aveva capito un solo fischio, ma poteva indovinare anche lui qual era il senso del messaggio del droide. «Va bene, C1. Tira dentro le ruote, che io mi fermo qua. Sembra che la cosa sarà interessante.»