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«Padrone», sussurrò Dev, «sono sempre al primo posto per voi?»

Firwirrung lo accarezzò più forte, facendogli salire delle lacrime agli occhi. «Non abbiamo mai dubitato della tua devozione. Di certo non vorrai farcela mettere in dubbio adesso.»

«No, no.» Dev si sentì impallidire. Aveva fatto di Firwirrung la sua famiglia e della cabina di Firwirrung la sua casa. Aveva rinunciato per lui alla sua umanità. Se Firwirrung lo sostituiva con qualcun altro, che cosa sarebbe stato di lui?

Scaglia Blu si chinò in avanti. «Dev Sibwarra, abbiamo bisogno del tuo servizio ora più che mai.»

Ma Dev non riusciva a distogliere gli occhi da Firwirrung.

Il capo dell’intecnamento gli aveva sempre fatto capire di amarlo, ma l’aveva mai davvero cantata quella parola, amore? Scosso, Dev indietreggiò di un passo.

Un P’w’eck strinse i suoi bruni arti superiori intorno alle spalle di Dev e lo tenne fermo davanti a Scaglia Blu. L’anziano alzò una siringa.

Non potevano fargli questo. La siringa non gli avrebbe fatto molto male, ma lui ricordava ora che cosa sarebbe avvenuto dopo. Come potevano essere così crudeli dopo tutto quello che aveva fatto per loro? Non lo amavano allora? Non lo amava Firwirrung? Ma dalla memoria di Dev filtrò un ricordo. Erano stati crudeli altre volte, e altre volte prima di quella.

Questa era la sua vera personalità. Questo era Dev Sibwarra, umano, riportato alla luce dal tocco dello straniero... ma non poteva fare niente contro le droghe dei suoi padroni o il controllo che Scaglia Blu esercitava su di lui. Stava già scivolando via.

Per quanto lottasse contro la droga per proteggere il suo segreto, l’iniezione lo costrinse a rilassarsi, com’era già successo prima. Firwirrung si chinò su di lui. «Guarda fuori, Dev. Servici, ora. Dove si trova questo umano forte? Come si chiama? Come possiamo trovarlo?»

La testa di Firwirrung divenne una macchia confusa. Dev strizzò gli occhi in preda al dolore e fiumi di lacrime traboccarono. Poi chiuse il suo dolore e ogni consapevolezza del ponte della Shriwirr fuori della sua mente e fuggì nella Forza. Lasciò che il vortice dell’universo lo portasse lontano dalle fioche auree dei suoi padroni.

Lo straniero era altrettanto forte e vicino di prima, innegabilmente maschio e simile a lui, anche se una seconda, diffusa presenza femminile si avvertiva non lontano. La vivida luce concentrata del primo quasi soffocava la seconda: che fosse un’eco? Non capiva. Sapeva solo che amore e sicurezza provenivano da Firwirrung. Evitò di toccare la presenza nella Forza dello straniero. «È nella capitale», mormorò, cosciente solo per metà. «Salis D’aar. Il suo nome è Skywalker. Luke Skywalker.» Lo sforzo di parlare lo distrasse e aprì di nuovo gli occhi. Il respiro affrettato, gioioso di Firwirrung gli faceva male al cuore. Al padrone non importava, forse nemmeno lo sapeva!, quanto la loro attenzione verso lo straniero lo rendesse geloso. Forse gli Ssi-ruuk non conoscevano la gelosia.

«Skywalker», ripeté Scaglia Blu. «Un nome di buon auspicio. Ben fatto, Dev.»

Dev si rilassò nella Forza. La loro avidità e la loro gioia vibravano tutt’attorno a lui. Con un rifornimento illimitato di umani intecnati, l’ammiraglio Ivpikkis avrebbe rapidamente conquistato tutto lo spazio conosciuto. Dev sarebbe stato parte di tutto ciò.

Eppure si sentiva umiliato. Per quanto lo straniero lo avesse ferito, si aprì a un tocco leggero di addio, una carezza nella Forza.

Firwirrung si chinò su di lui e cantò: «Sei infelice, Dev?»

I suoi sentimenti erano cambiati così spesso e così violentemente negli ultimi minuti che era sicuro di una sola cosa: se lo avessero costretto a cambiare idea un’altra volta, avrebbe potuto impazzire. Chiuse gli occhi e annuì. «Sono contento, padrone.» Ti odio, ti odio, ti odio. Non avrebbero più distorto la sua umanità. Non avrebbero più giocato con la sua mente.

Eppure non riusciva a odiare Firwirrung, che era stato la sua unica famiglia negli ultimi cinque anni. L’emozione che lo pervadeva si affievolì. Osò riaprire gli occhi. «Padrone», sussurrò, «il mio maggior piacere è aiutare quelli che mi amano.» Si costrinse a guardare Firwirrung con occhi adoranti.

Firwirrung emise un barrito pensieroso. Era chiaro che l’interesse del capo dell’intecnamento era diretto verso il controllo, ora, non verso la compassione. Toccò Scaglia Blu con un artiglio. «Anziano, Dev ha quasi raggiunto un amore autentico per la nostra razza. Lasciagli un po’ di spazio. Lascia che prenda da sé, spontaneamente, la decisione di servirmi, è quello il vero affetto.»

Dev rabbrividì. Firwirrung lo aveva ridotto in schiavitù, aveva soggiogato il suo spirito e la sua anima. Adesso voleva che fosse Dev stesso a stringere le catene della sua prigionia. Ma forse stava commettendo un errore.

Dev appoggiò la mano sull’arto superiore di Firwirrung, cercando di rendere il gesto più ssi-ruuvi che poteva. «Padrone», tubò. Da un momento all’altro Scaglia Blu avrebbe potuto guardarlo negli occhi e annusare il suo inganno.

«Vedi?» disse Firwirrung. «Il nostro rapporto si sta approfondendo.»

«Prendi il tuo animaletto e vattene via», disse l’ammiraglio Ivpikkis. «Fanne quello che vuoi. Noi abbiamo del lavoro da fare e anche tu. Cerca di occupare la tua mente con le modifiche necessarie... per Skywalker.»

Firwirrung ondeggiò la testa con aria grave e alzò un artiglio verso il portello.

Ogni passo che metteva fra sé e Scaglia Blu era un passo che lo separava dalla schiavitù. Dev raggiunse il portello, poi il corridoio. La porta si chiuse dietro Firwirrung e lui.

Un’ora più tardi, dimenticato da Firwirrung che era impegnato con schemi e disegni, Dev si rannicchiò nel centro tiepido della cuccia. Com’era che sua mamma gli aveva insegnato ad aprire un contatto? Erano passati cinque anni e le prove di quella giornata lo avevano lasciato esausto. Tutto quello che voleva era stare tranquillamente disteso a indugiare sui suoi ricordi più cari.

Ma doveva cercare di mettersi in contatto prima che Scaglia Blu lo rinnovasse di nuovo e non c’era molto tempo. Alla fine gli Ssi-ruuk lo avrebbero preso. Lo «rinnovavano» comunque ogni dieci o quindici giorni anche se lui non ne sentiva il bisogno. Avrebbe pagato la sua ribellione con il rinnovamento più profondo della sua vita, ma doveva un ultimo sforzo alla razza umana.

Chiuse gli occhi e si lasciò svuotare dalla speranza, dal sentimento e dall’amarezza. La paura non riuscì a scacciarla. Dava al suo controllo una tinta particolare, ma attraverso di essa riuscì a toccare la Forza.

Quasi immediatamente avvertì di nuovo quella luce brillante. Lampeggiò ai suoi confini cercando di attirare la sua attenzione, poi diede forma nella sua mente a un avviso disperato.

Nell’oscurità, Luke gettò da parte le coperte termiche. Una di esse scivolò giù oltre il bordo del campo a repulsione. Per un istante, infreddolito e sonnolento, non riuscì a ricordare che cosa lo aveva svegliato. Poi, un oscuro senso di paura gli tornò alla memoria assieme a un avvertimento. L’umanità era in pericolo a causa sua. Gli alieni volevano farlo prigioniero e...

Oh, accidenti!

Sospirando, tornò a stendersi. C1 ciangottò ai piedi del letto. «Tutto a posto», lo rassicurò. Che razza di sogno! Doveva stare in guardia contro la superbia. Poteva anche essere l’ultimo, o il primo, dei Jedi, ma non era certo da lui che dipendeva la possibilità che tutta la razza umana venisse ridotta in schiavitù.

Eppure la memoria non svaniva come avrebbe fatto un sogno. Forse qualcuno aveva davvero cercato di avvertirlo di qualcosa.

Ben? chiamò. Obi-Wan? Perché mi sta succedendo tutto questo ?

Dimentica le domande, si raccomandò. Non c’è nessun perché. Cerca nei tuoi sentimenti.