«Bene. C1 dovrebbe essere ancora in camera mia, collegato al computer. Han, ho intenzione di lasciare Chewie qui perché mantenga la calma. Poi cercherò di parlare a Belden, se riesco a trovarlo.»
«Belden?»
«Il decano dei senatori. Ho una sensazione», confidò a bassa voce.
«Sulla sparatoria?» chiese Han.
«Esatto. Ci vediamo più tardi.» L’immagine svanì.
Han intrecciò le braccia. «Suppongo che prima ci diamo una mossa, e prima possiamo portare via la pelle da questa palla di fango.»
Leia tese una mano verso la consolle di comunicazione. «Manderò al primo ministro Captison un messaggio per dire che ritarderemo.» Be’, meno male che avevano già ritardato un po’. Altrimenti il messaggio di Luke non li avrebbe raggiunti.
Accigliata, formò il numero di codice del primo ministro Captison. Forse un giorno si sarebbe pentita di non aver accettato le scuse di Vader. Di Anakin. Di chiunque fosse. Almeno era stato educato.
La stava guardando, eh? Di nuovo furiosa, agitò un pugno in direzione dell’aria vuota.
11
Luke uscì dal posto pubblico di comunicazione vicino alla piattaforma dodici, contento di non aver usato il sistema di comunicazioni non visivo della sala di ristoro. Quando aveva visto le facce di Han e Leia si era reso conto che fra loro andava di nuovo tutto bene. Meglio che bene. Visto che si trovavano in linea aveva approfittato per fare un rapporto ufficiale sull’incidente allo spazioporto e per cercare un indirizzo.
Chewie era di guardia. Luke afferrò un ciuffo di pelo del suo braccio e disse: «Grazie, amico mio». Il Wookiee diede una grossa pacca sulle spalle a Luke in risposta, poi si diresse oltre la sala di ristoro, verso il Falcon. Una indagine approfondita aveva tranquillizzato tutti e due: nessuno ci aveva messo le mani.
Il capitano Manchisco era appoggiata contro il muro rugoso del posto di ristoro. «Esce, comandante?» Doveva essersi vestita bene per la sua licenza a terra, ma la grigia polvere onnipresente in ogni spazioporto era cosparsa generosamente sulla sua tuta color panna. Tre nere trecce però le pendevano ancora, baldanzose, da ciascun lato del viso, spolverate di paglia e di piccole foglie.
A bordo del Falcon aveva spiegato che, dimostrando secondo Luke molto buonsenso, aveva offerto al suo navigatore Duro un doppio straordinario purché accettasse di restare sulla nave. Magari il capitano Mon Calamari si fosse fatto venire la stessa idea, pensò Luke. L’Alleanza era povera, ma i suoi capi avrebbero volentieri pagato un po’ di straordinari in più pur di evitare incidenti che potevano costare vite bakurane. «Mi dica, come sta la Flurry?»
Manchisco si accigliò. «C’era un piccolo problema al deflettore di babordo. È risolto ora, ma ho dovuto permettere a una squadra di riparazioni imperiale di salire a bordo. A quest’ora tutte le specifiche della mia nave saranno nel computer di Thanas.» Infilò la mano in una tasca profonda.
«Però hanno lavorato bene?»
«Sembra che sia tutto a posto.» Scrollò le spalle. «Non so se gliel’ho detto, ma è stato un piacere fare la sua conoscenza.»
«Anche a me è piaciuto lavorare insieme. Ma non è finita qui, mi sembra.»
Il volto duro della donna, un volto che aveva visto tante battaglie, perse un po’ della sua baldanza. «È lei l’esperto di queste cose, ma ho una strana sensazione, come se non dovessimo incontrarci più.»
Un altro avvertimento. O forse Manchisco aveva avvertito una premonizione che riguardava solo lei? «Non lo so», rispose onestamente. «Il futuro è in continuo movimento.»
La donna agitò la mano sinistra in aria. «Non importa. Si fa quello che si può, finché si può. Non è così, comandante?»
«Proprio così.» Uno speeder a due posti attraversò il cancello della piattaforma dodici, con quattro soldati alleati arrampicati sopra. Proprio quello di cui avevano bisogno. La capitaneria dello spazioporto si era ripresa lo speeder con cui era arrivato.
«Notti calde, quaggiù», sospirò Manchisco. «Speriamo che non abbiano causato altri guai.» I soldati sembravano stanchi ma pacifici. «Credo che sia tutto a posto. La Forza sia con lei, capitano.» Luke requisì lo speeder e uscì sulla strada che circondava il perimetro dello spazioporto.
Cinque minuti più tardi era parcheggiato sopra una torre residenziale. Individuò l’appartamento del senatore anziano Belden vicino all’ascensore, si passò una mano fra i capelli e si sistemò la tuta grigia, poi toccò il campanello.
Mentre attendeva risposta, guardò a destra e a sinistra lungo il corridoio. Questo androne un po’ ammuffito, con il rivestimento che si staccava da più di una porta, era quanto di più diverso riuscisse a immaginare dalla residenza dei Captison. Forse la famiglia Belden possedeva da qualche parte una casa più elegante, o forse il governatore Nereus faceva sì che i crediti dei dissidenti fossero sempre in rosso.
La porta si aprì e lui fece un passo indietro. Gaeriel, anche qui? «Io...» balbettò, «eh, buongiorno. Speravo di poter parlare al senatore Belden.»
«È fuori.» La ragazza stava per scivolare in corridoio quando una voce malferma dietro di lei chiamò: «Fallo entrare, Gaeri. Fallo entrare».
«È la signora Belden», bisbigliò Gaeri, «non sta molto bene.» Si toccò il capo. «Venga dentro un momento. Clis, la sua governante, ha avuto un’emergenza in famiglia e così stamattina prendo il tè qui con lei.»
«La saluterò e basta», mormorò Luke. «Non volevo disturbare.»
Una vecchina rugosa e rattrappita era seduta su una poltrona di broccato con ampi braccioli, sostenuta da numerosi cuscini. Vestiva di un color giallo-arancio, simile a quello dei canditi di namana e i suoi radi capelli erano tinti di color mogano. «Roviden, sei tornato! Perché sei stato via tanto?»
Luke gettò un’occhiata perplessa a Gaeri. «Pensa che lei sia suo figlio», gli bisbigliò Gaeri all’orecchio. «È rimasto ucciso durante i rastrellamenti, tre anni fa. Ogni volta che vede un uomo giovane pensa che sia suo figlio. Non cerchi di convincerla del contrario. È meglio così.»
C’erano vie d’uscita? Luke vide vecchi mobili aggraziati di legno, probabilmente tutti pezzi d’antiquariato; una scatola grigia che probabilmente era un elettrodomestico di qualche tipo; e i piedi nudi di Gaeriel sotto una gonna e una camicia blu notte... ma nessun modo di sfuggire con grazia al dovere di impersonare un figlio perduto. Esitante, prese la mano della signora Belden. «Mi dispiace», mormorò. «Ho avuto tanto da fare. Per la ribellione, sai», aggiunse, tirando a indovinare. Suo figlio è rimasto ucciso durante i rastrellamenti, aveva detto Gaeriel. La vecchina strinse la sua mano. «Lo sapevo che eri da qualche parte a lavorare per la ribellione, Roviden. Mi avevano detto... oh, ma non importa. Gaeriel è sparita, sai, e...»
«No, è...» cominciò Luke.
«Sono qui, Eppie.» Gaeri si sedette su un poggiapiedi di pelliccia a repulsione.
«Tu...?» La vecchia signora Belden girò gli occhi da Luke a Gaeri, scuotendo la testa confusa. «Io...» Chiuse gli occhi e chinò la testa.
Gaeriel scrollò le spalle. «Va tutto bene, Eppie. Vuoi fare un riposino?»
«Riposo», ripeté la donna con voce stanca.
Luke seguì Gaeriel verso la porta. «Mi parli della signora Belden. Da quanto tempo è in questo stato?»
«Da tre anni.» Gaeriel scosse la testa tristemente. «Purtroppo era molto coinvolta nella resistenza contro l’Impero. Crollò con la morte di Roviden. La... distrusse.»
«Forse è per questo che l’hanno lasciata vivere», ipotizzò Luke.
Il mento appuntito di Gaeri si alzò, rabbioso. «Non può...»
La signora Belden cominciò ad agitarsi nella sua poltrona. «Non andartene senza salutarmi», supplicò.