Doveva avvertirlo? Non fare niente avrebbe voluto dire portare peso al piatto di Nereus nella bilancia dell’equilibrio cosmico. Aiutare Skywalker poteva voler dire alleggerire il peso di tutto il resto dell’universo.
Ma era difficile pensare in termini così universali quando un pericolo concreto e immediato minacciava la gente di Bakura. Luke l’aveva convinta, se non altro, che avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere per aiutare Bakura a respingere gli Ssi-ruuk. «Grazie, Aari.» Si alzò in piedi e controllò il suo cronografo. A quest’ora la gente per bene stava già cenando. «Ci penserò io.»
12
Luke s’incamminò con passo stanco lungo il corridoio di pietra bianca verso il loro appartamento. Dopo aver parlato con Gaeriel e la signora Belden, aveva passato il resto della mattina e metà del pomeriggio a discutere con i responsabili della manutenzione allo spazioporto. La sua reputazione di Jedi si stava diffondendo, evidentemente. Gli avevano concesso il loro riluttante rispetto quando avevano visto che era disposto a sporcarsi le mani accanto a loro (era stato quello il momento migliore) poi gli avevano promesso che tutti i rimanenti caccia Ala-A sarebbero stati riparati in giornata. Luke sospettava che i migliori meccanici di Bakura stessero già lavorando a tempo pieno sull’incrociatore imperiale Dominant.
Poi, senza il tempo di lavarsi e vestirsi, aveva dovuto aiutare il suo furiere con l’approvvigionamento della flotta, spendendo l’equivalente del bilancio di quello che forse un giorno sarebbe stato il (per ora inesistente) governo alleato. Avrebbe dato parecchio per avere Leia al suo fianco, in quell’occasione. E tutto questo durante una giornata passata a guardarsi dietro le spalle sempre credendo di vedere degli Ssi-ruuk e a chiedersi che cosa voleva dire in realtà quell’avvertimento ricevuto in sogno. C’era da stupirsi che il suo corpo ancora convalescente avesse ripreso a dolere?
Un paio di soldati imperiali erano di guardia nell’ampio corridoio su cui dava l’appartamento, con i fucili blaster sul petto. Stanco com’era sentì comunque che il suo corpo pompava adrenalina nel sangue. La sua mano, precedendo sul cervello, corse alla spada laser.
Poi la ragione sopraggiunse. Lasciò cadere le mani lungo i fianchi, a dita allargate. «Scusate», mormorò alla guardia più vicina. «Non sono abituato a queste cose.»
«Capisco, signore.» L’Imperiale fece un passo indietro. Luke entrò, poi attraversò di corsa il soggiorno e si buttò sul suo letto a repulsione, scaricando la tensione in una risata sonora. Non avrebbe mai immaginato una situazione tanto ridicola. Il suo appartamento sorvegliato da due soldati imperiali «alleati»?
Guardò fuori dalle enormi finestre della sua camera e si chiese quanto avrebbe dato lo zio Owen per la pioggia scrosciante che era appena iniziata là fuori. Quella che su Bakura era una normale estate, su Tatooine sarebbe stato il paradiso.
Una luce ammiccava sulla sua consolle personale: un messaggio. Sospirando lo ascoltò. Il senatore Belden lo invitava a cena.
Luke gemette. Gaeriel doveva avergli dato il suo messaggio, ma lui era tornato troppo tardi. Non avrebbe nemmeno avuto il tempo di lavarsi se decideva di correre subito là. Aveva bisogno di parlare con l’anziano senatore... se non altro per discutere della salute di sua moglie.
Luke compose un messaggio in cui chiedeva educatamente di rimandare il loro incontro al giorno dopo, lo mandò e si chinò per togliersi gli stivali. Il campanello suonò. «Oh, no!» bisbigliò, irritato. Gli avevano mostrato come usare la consolle personale per vedere chi c’era alla porta. Pigiò diversi bottoni ma non riuscì a farla funzionare. Desiderando ardentemente di non sentirsi tanto sporco di grasso, attraversò di corsa il soggiorno e andò ad aprire di persona.
Gaeriel era girata rispetto alla porta, dando l’impressione che avrebbe preferito continuare a camminare piuttosto che parlare con lui. Portava una borsetta di corda sulla gonna blu e, come prima, la sua sola presenza nella Forza lo faceva tremare tutto. «Comandante?» chiese in tono esitante. «Posso parlarle per un paio di minuti?»
Luke indietreggiò sotto lo sguardo curioso delle sentinelle imperiali. «Prego.»
Una volta che la porta si fu chiusa, Gaeriel avvicinò le mani a coppa alla sua bocca e bisbigliò: «Ci ascoltano. Lei sta per sparire». Aprì e sollevò la borsetta. Dentro c’era una scatola grigia simile a quella che avevano visto nell’appartamento dei Belden. Fece scattare un interruttore e poi disse a voce un po’ più alta: «Generatore di campo distorsivo. Non posso lasciarlo in funzione per più di un paio di secondi. Lei è in pericolo».
«Che cosa c’è che non va?»
«Gli Ssi-ruuk si sono fatti avanti con il governatore Nereus.» Tornò a infilare la mano nella borsetta. «Siete comodi qui, comandante?» chiese a voce alta.
Luke dovette pensare velocemente. «La situazione è un po’ scomoda per me», rispose. «Ho una reazione allergica all’armatura dei soldati imperiali.»
Bravo, disse con le labbra Gaeriel. Sollevò un sopracciglio, quello sopra l’occhio verde, poi un’altra torsione del polso e, piano: «Hanno chiesto al governatore Nereus di consegnarla a loro; se lui lo farà, lasceranno Bakura».
L’avvertimento del sonno gli tornò in mente d’un tratto. Quindi avevano intenzione di muoversi attraverso Nereus. «E naturalmente, il governatore è molto tentato.»
«Non penso proprio. Non è stupido. Se la vogliono, farà in modo che non riescano ad averla vivo.» Abbassò lo sguardo e mosse di nuovo la mano. «Tutti noi dobbiamo cercare di dominare le nostre reazioni istintive, suppongo», confidò.
E pensare che Leia era tanto sicura che Nereus non avrebbe fatto loro del male. Adesso sì che comincia la festa. «Ma i nostri appartamenti sono bellissimi.» Fece un gesto verso il salottino. «Sono stato in piedi tutto il giorno. La prego, si sieda, così posso farlo anch’io.»
«Non penso che sarebbe opportuno.»
Luke rivestì la sua voce con l’aiuto della Forza di vibrazioni tranquillizzanti. «Vorrei tanto che lei si fidasse di me.»
Gaeriel fece scivolare di nuovo la mano nella borsetta. «Suppongo che la mia reazione ai Jedi sia simile alla sua per i soldati imperiali.»
«Io sto imparando a dominarla.»
«Anch’io. Eppie dormiva ancora quando sono tornata.» Distolse lo sguardo, poi borbottò: «Grazie. Ora... la mia aiutante e io abbiamo intercettato una trasmissione degli Ssi-ruuk. Il governatore Nereus ha chiesto un giorno di tempo per organizzarsi».
«Un giorno.» Luke annuì. «Grazie.»
Piccolo movimento. «Il vostro alieno ha qualche necessità speciale? Che cosa ha detto che è, un Wook?»
«Un Wookiee. No, niente di speciale, solo doppia razione di qualunque cosa mangiamo noi.»
«Capisco.» Accese di nuovo il generatore. «Non possono semplicemente prelevarla, come farebbero con noi gente comune, sa? Nemmeno il governatore Nereus può farlo. Si guardi le spalle. Si guardi dalle guardie. Stia attento a quello che mangia, che beve e che respira.»
«Che cosa vogliono gli Ssi-ruuk da me?»
Gaeriel scosse le spalle.
«Starò attento», promise a voce bassa. Nereus probabilmente avrebbe cercato di giocare su più tavoli, cercando di convincere gli Ssi-ruuk che aveva l’intenzione di cooperare.
E forse l’aveva davvero.
«Già cenato, stasera?» chiese Gaeriel. «Posso far mandare una cena leggera al mio alloggio e poi farla dirottare quassù.»
Commosso, Luke cercò di togliere una macchia di grasso dalla sua tuta, poi si limitò a coprirla con una mano. «Farebbe questo per me?»
Una volta che Gaeriel ebbe ordinato al centro comunicazioni un piatto il cui nome lui non sarebbe riuscito né a pronunciare né a ricordare, scese un silenzio imbarazzato. Luke rimase zitto, chiedendosi che cosa avrebbe detto lei alla fine se aspettava. Alla fine, la ragazza smise di passeggiare su e giù, di guardare fuori della finestra e sul soffitto. Gli lanciò un’occhiata. «Sta ascoltando i miei pensieri?» chiese bruscamente.