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«È una domanda sleale.»

«Ti piace?» incalzò.

Ma certo. Non era così? «L’Impero ha più potere di quanto sia necessario a qualunque governo», ammise. «Eppure la sudditanza che impone è compensata da molti vantaggi. Uno dei vantaggi del vivere sotto l’Impero è che le possibilità di avere un’educazione sono molto aumentate. Gli studenti migliori possono proseguire gli studi al centro imperiale.»

Luke fece una smorfia. «Mi hanno detto che quelli più brillanti non tornano più a casa.»

Come lo sapeva? Certo, molti restavano, perché gli venivano offerti impieghi allettanti. Altri svanivano. Lei aveva preferito tornare a casa. «Diciamo che abbiamo tutti imparato a tenere qualcosa per noi. Ma su Bakura il governo imperiale è stato un bene. Ha riportato l’ordine quando eravamo vicini alla guerra civile. Ha degli svantaggi, ma sono sicura che la vostra gente ti dirà che anche l’Alleanza ha dei problemi.»

«Sono i problemi della libertà.»

Questo faceva male. «Ci avete spaventati quando è arrivata la vostra forza d’attacco. La reputazione che ha l’Alleanza Ribelle è di essere una forza che distrugge, non che costruisce.»

«Suppongo che da un punto di vista imperiale, sia vero. Ma non siamo dei distruttori. Lo giuro.»

Di certo non è un diplomatico. «Grazie per averne parlato con me», disse. «Adesso mi sento meglio...»

«Vorrei sentirmi meglio anch’io.»

«... E più sicura di me stessa», mentì con fermezza. Infilò la mano nella sua borsa, mosse il polso e si passò la borsetta su una spalla. «Combatteremo insieme contro gli Ssi-ruuk.»

Luke fece un gesto con il polso. Gaeriel accese il generatore un’ultima volta. «Sarebbe possibile che noi... che io... possa procurarmi qualcuno di quegli aggeggi?» Indicò la borsetta.

Scosse la testa. «Questo è di Eppie. Ce ne sono solo pochi su Bakura, e sono di proprietà delle famiglie che arrivarono qui per prime. Siamo riusciti a tenere segreta la loro esistenza al governatore Nereus.»

«Peccato.»

«Sì, peccato», assentì, Gaeri. «Porterò fuori io il carrello.»

Luke tornò ad agganciare la spada laser alla sua cintura.

La accompagnò alla porta. Voleva accarezzarle la mano, ragionare con lei, usare la Forza per erodere le sue difese. Perfino supplicarla gli sembrava un corso d’azione ragionevole. Invece aprì la porta e si infilò i pollici nella cintura.

«Grazie», disse lei. I soldati rimasero a guardare mentre lei spingeva via il carrello e si incamminava per il corridoio senza voltarsi indietro. Una volta che fu scomparsa dietro un angolo, Luke lasciò cadere le mani lungo i fianchi. Le strinse a pugno, le rilassò, le strinse di nuovo. Il suo talento gli aveva aperto delle porte: porte che portavano a terribili pericoli, sia nello spazio sia negli angoli più luminosi, più tenebrosi, più vasti della sua anima, ma era sempre stato libero di scegliere di varcarli.

Gaeriel aveva cercato di chiudergli una porta in faccia, ma non c’era riuscita. Aveva sentito il conflitto che si svolgeva dentro di lei. Non lo avrebbe rifiutato per sempre.

Ma d’altra parte, forse l’avrebbe proprio fatto. Esausto, chiuse la porta dell’appartamento dietro di sé e si diresse lungo il corridoio nella direzione opposta. Sulla sua sinistra si apriva un portello di accesso al tetto. Spinse il portello e salì sul tetto.

Di notte, il giardino pensile avrebbe potuto essere una io-resta, impenetrabile e primitiva. L’aria ferma gli rinfrescò il viso. Famiglie di alberi dal tronco bianco spuntavano da nodosi ammassi di radici, per poi salire e terminare in una chioma di ramoscelli giallo-arancio, ancora umidi ma non più gocciolanti. Due piccole lune rotonde e diverse dozzine di stelle molto brillanti illuminavano con il loro fioco chiarore un sentierino che serpeggiava fra i muschi.

Poco lontano dall’ascensore il sentiero si divideva. Luke si fermò a pochi metri dall’estremità appuntita del complesso. Si inginocchiò su una panchina e appoggiò i gomiti sul parapetto di pietra, guardando giù. La città si allargava sotto di lui nei suoi cerchi concentrici, illuminata da lampioni bianco-azzurri al centro, poi giallo pallido, poi rossastro...

Come un diagramma di tipi stellari, capì all’improvviso. I fondatori di Salis D’aar dovevano aver progettato la città in modo che ricordasse la sequenza dei tipi di stelle, con le case più belle, come la residenza dei Captison, nella zona dei gialli soli ospitali.

Averlo capito lo tirò su di morale. Non era male per un essere umano imparare a sfruttare al meglio i suoi talenti naturali. Se la religione di Gaeriel fosse stata portata alle logiche conseguenze, avrebbe portato tutti indistintamente a diminuirsi e limitarsi da soli.

E poi, la sua vita non era più sua.

Gli parve di riuscire a vedere i puntini di luce in lento movimento sopra di lui, che erano navi impegnate nella rete difensiva orbitale. Erano lassù legate le une alle altre in posizioni prestabilite, unite da ordini comuni, e da un comune nemico.

Molti di quelli lassù avevano dei compagni da cui ritornare, o che almeno, se la loro vita fosse stata reclamata in quest’ora di estremo bisogno, li avrebbero pianti. Più diventava potente nella Forza, più sarebbe diventato difficile trovare una donna disposto ad accettarlo.

Aprì le mani vuote. «Ben?» sussurrò. «Ben, vieni da me, ti prego. Ho bisogno di parlare con qualcuno.»

Nessuno gli rispose, nemmeno la brezza. Lungo la superfide del muro una creaturina lunga quanto il suo mignolo sgattaiolò via su venti frenetiche zampette. Luke si concentrò sul ritmo di quelle zampette, espandendo il suo spirito. Quando fu svanita in una crepa, chiamò di nuovo. «Maestro Yoda? Sei qui?»

Che domanda stupida. Yoda era nella Forza e di conseguenza dovunque. Ma non gli rispose.

«Padre?» chiamò, esitante, poi ripeté, «padre», chiedendosi se Anakin avrebbe capito. Cercò di mettersi nei panni di Gaeri. Con la sua casa minacciata e la sua vita in pericolo, chi arrivava? Un uomo che la spaventava profondamente, un Jedi.

Sentì qualcuno che si avvicinava. Ben? pensò, ma l’intensità non era quella di un maestro e portava con sé l’inquieto perpetuo lottare di una persona vivente. Passi leggeri vennero verso di lui sul sentiero. Leia esitò al bivio, il vestito bianco luminoso fra i tronchi bianchi e le liane scure.

«Sono qui», chiamò Luke.

Leia si diresse verso di lui in fretta. «Stai bene?» Si tirò sulle spalle uno scialle bakurano di lana blu. «Ho sentito... be’, ho pensato che mi stessi chiamando attraverso la Forza.»

Anche a Bespin lo aveva trovato nello stesso modo. Luke si mise a sedere sulla panchina. «È stata una giornata lunga e dura. E la tua?»

«Ah», rispose lei, «buona. Ho lasciato C1 e 3BO con il primo ministro Captison.» Qualche cosa in lei sembrava supplicarlo di non notare quanto era eccitata. Sembrava tutta soffusa di euforia.

Invidioso, Luke disse: «Lascia che fluisca, Leia. Lui ti ama».

Leia gli lanciò un’occhiataccia. «Non ti si può nascondere mai niente, eh? Siamo andati a fare una passeggiata. Abbiamo parlato. Abbiamo... be’ è difficile trovare un momento per stare da soli.»

Luke sorrise, intimidito. «Dunque questo è quello che mi sono perso. Crescendo come figlio unico, voglio dire.»

Leia agitò le punte dello scialle. «È bello avere un fratello. Qualcuno con cui parlare.»

«Be’, tu hai anche Han. Qualcuno che ti permetterà di trasmettere ad altri le doti di famiglia», aggiunse, cupo. «Non sembra proprio che io avrò quest’occasione.»