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Leia gli appoggiò una mano sulla spalla. «Che cosa c’è, Luke? È quella senatrice?»

«Un Jedi non sente il richiamo della passione.» Chiunque potesse manipolare le sue emozioni poteva metterlo in pericolo, rendergli impossibile calmarsi... impossibile controllarsi. «Ma a volte è la Forza a controllare me, e non viceversa. Ed evidentemente, favorisce la vita.»

«Allora è proprio lei. Cominciavo a preoccuparmi per te, Luke. Sei stato così... assente.»

La sua intuizione lo metteva terribilmente a disagio. Il modo migliore per distrarla era farla arrabbiare. «Tu e Han», esplorò. «Lascia che ti chieda qualcosa che non ho nessun diritto di chiederti. Voi non siete... contrari ad avere dei figli, vero?»

«Ehi!» Leia ritirò la mano come se fosse stata scottata. «Non è neanche il caso di parlarne!»

«Mi dispiace. È solo che ultimamente ci ho pensato tanto.» Davvero? Erano incredibili le cose che il suo inconscio rivelava a qualcun altro prima di sentirsi in dovere di informare lui. Per il momento si immaginò a capo di un clan di piccoli apprendisti Jedi con occhi spaiati in tutti gli assortimenti del verde, azzurro e grigio. «Ma un figlio che fosse potente nella Forza avrebbe anche una grossa potenzialità per il male.»

«Ma certo.» Leia si sedette e ritirò in grembo le punte dello scialle. Poi colse una campanella blu-porpora da un rampicante e l’annusò. «È un rischio che gli umani devono correre. È sempre un pericolo mettere al mondo una creatura intelligente.»

«Non ti viene da chiederti dove trovò nostra madre il coraggio di farlo?»

Improvvisamente Leia si infiammò di rabbia, sorprendendolo. «Oh», aggiunse, in tono leggero. «Questo mi ricorda che ho un messaggio per te. Ho visto Vader.»

«Vader?» Per un momento Luke non capì. «Hai visto... nostro padre? Anakin Skywalker? Vader non esiste più.»

«Come vuoi, allora, Anakin. Comunque sia, l’ho visto.»

Un terribile senso di perdita lo assalì. Perché suo padre era apparso a Leia e non a lui? «Che cosa ti ha detto?»

Leia distolse lo sguardo. «Dovrei ricordarti che anche la paura fa parte del lato oscuro. Mi ha chiesto scusa, o almeno ci ha provato.»

Luke guardò la città. «Io l’ho visto solo una volta. Per un momento. Non mi ha parlato.»

«Be’, io non voglio niente da lui, e non voglio che mi venga a trovare.»

Luke meditò il messaggio di suo padre. Anche la paura appartiene al lato oscuro. La paura che Gaeriel aveva di lui: anche quella veniva dal lato oscuro. «L’odio appartiene al lato oscuro, Leia.»

«Non c’è nulla di sbagliato nell’odiare il male.»

«Il suo, mmm, quello che ha detto aveva, insomma, qualcosa a che fare con... ah!» Inciampò sulle parole e si fermò. «Oh. Ho interrotto qualcosa questa mattina quando ho chiamato, vero?»

Perfino il chiarore delle stelle la vide arrossire. «È stato difficile trovare il tempo per noi due», ripeté.

«Mi dispiace. Ma forse nostro padre ha fatto qualcosa di buono, se ti ha mandato da Han in cerca di conforto.»

«Be’, a me proprio non sembra. Quando l’ho visto, con quell’aspetto così normale, io... mi sono resa conto che chiunque può diventare quello che era lui. Che anch’io potrei.»

«Come lui, ma per il bene», insisté Luke. Sfiorò la sua guancia con un bacio. L’aveva amata moltissimo, tanto tempo prima, prima di sapere quello che lei ora rifiutava di accettare. «Ci vediamo domani mattina.»

«Ehi, aspetta!» Si raddrizzò. «Non mi starai mandando via!»

«Solo per un po’, Leia. Vai da Han», mormorò. «Vi lascerò soli.»

Leia lo fissò negli occhi e respirò profondamente. Era evidente che era irritata. Finalmente balzò in piedi e se ne andò.

Luke guardò in basso, verso i cerchi di luce della città e un pullman a repulsione di passaggio, poi strinse le mani l’una sull’altra e si piegò in avanti. «Padre?» bisbigliò. Ma lui, pensò, era in pace con la memoria di Anakin. Forse questo spiegava perché fosse comparso a Leia.

Cominciò una delle meditazioni di Yoda, concentrando la sua volontà sempre più profondamente su se stesso. I problemi personali svanirono in lontananza e la forza dell’universo gli passò attraverso. Aveva una sorella: non era solo. Un giorno, quando sarebbe cresciuto abbastanza nella Forza, l’amore lo avrebbe unito a qualcuno simile a lui. Ogni emozione sua o della sua compagna, ogni ondata di gioia o di dolore, avrebbe riverberato fra loro due, risuonando fino a che l’ultima dolce eco fosse scomparsa.

Aprì gli occhi e le mani. Non aveva ancora perso Gaeriel. L’avrebbe aiutata come poteva, e se lei lo rifiutava, avrebbe lasciato Bakura con pochi rimpianti.

Due occhi ridenti e spaiati e una gonna blu vorticarono nella sua mente. Chi credeva di prendere in giro?

E che cosa stava facendo quassù da solo? Si alzò e si diresse a un ascensore.

Dev accarezzò la nuova, bellissima sedia da intecnamento... o forse avrebbe dovuto chiamarla in qualche altro modo? Tre dozzine di nuove sedie erano in corso di realizzazione, per affiancare il flusso di energia che Skywalker gli avrebbe fornito, ma questa era speciale. Era più simile a un letto disposto in verticale che a una sedia e un motore la poteva reclinare da zero a trenta gradi. Invece di un arco di intecnamento era fornita di una serie di circuiti incorporati capaci di attrarre energia, situati sotto la schiena di Skywalker. Diverse solide, morbide cinghie, per il momento aperte, pendevano ai lati e vicino al piede del lettino, mentre altri strumenti medici sottolineavano che la posizione era stata disegnata per garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’occupante (ieri avevano provato la funzionalità di quegli apparati). Tutta nera e d’argento, luccicava sotto le forti luci della cabina. «È bellissima, padrone Firwirrung.»

«Mi dispiace, Dev», cantò Firwirrung a bassa voce. «So che questo ferirà i tuoi sentimenti...»

«Vorrei tanto che fosse la volta buona, padrone. Ma so che avete bisogno di provare l’apparato. Cominciamo.»

Firwirrung annuì con la sua enorme testa dalla cresta nera.

Dev stesso aveva suggerito la maggior parte delle specifiche per l’installazione iniziale e la costrizione del soggetto. Sopra il letto non c’era nessun arco di intecnamento, inoltre il letto era inclinato indietro di alcuni gradi rispetto alla verticale. Cautamente Dev si avvicinò, camminando all’indietro. Il suo piede sinistro tirò un legaccio, che si chiuse con uno scatto. «Funziona!» esclamò Dev.

«Prova quell’altro», tubò Firwirrung.

Dev fece attenzione, questa volta. Da una scanalatura del lettino sporgeva un arco di materiale flessibile. Avvicinò la caviglia sinistra... Snap. Il secondo legaccio attivava un altro meccanismo che Dev aveva suggerito. Questo faceva sì che il lettino si inclinasse all’indietro di dodici gradi. Dev si rilassò e assecondò il meccanismo, con le braccia incrociate sul petto. Appena la sua schiena toccò un altro cannello, un legaccio più ampio gli imprigionò la vita. In questo modo era trattenuto con molta più sicurezza di quanto accadesse nella vecchia sedia.

«Bellissimo.» Firwirrung si avvicinò e accarezzò il legaccio attorno alla vita con un artiglio. «È abbastanza stretto?»

Dev cercò di piegare e torcere il corpo. «Sì. Ma non tanto da impedire la respirazione.»

«La forma umana è così peculiare», fischiettò Firwirrung felice. Dev rise con lui. «Sei comodo, Dev? Possiamo solo indovinare quali siano le sue misure.»

«Oh, sì.»

«Mano sinistra, ora.»

Dev protese la mano sinistra. Un altro legaccio scattò e assicurò fermamente il suo polso. In quest’ultimo legaccio erano incorporati dei sensori che, attraverso la sua pelle sottile e priva di scaglie, che non avrebbe opposto nessun ostacolo, avrebbero rilevato le funzioni vitali. Dietro Firwirrung, su un pannello nero inserito nella paratia, luci pallide cominciarono a lampeggiare. Firwirrung girò su se stesso e le osservò.