Mentre stava per passare davanti a un separé affollato di loschi figuri, il suo comlink squillò nella tasca della camicia. Girò su se stesso e tornò al tavolino d’angolo, dove tirò il comlink fuori dalla tasca. «Che cosa c’è, Han?» sussurrò.
«Padron Luke», esclamò la voce di 3BO, «sono così contento di essere riuscito a trovarla, padrone. La principessa Leia è stata arrestata. Il generale Solo è andato a salvarla...»
Luke si afflosciò contro il divisorio e abbassò la voce ancora di più. Interrompendo continuamente e inserendo veloci domande nel racconto di 3BO, riuscì a scoprire dove si era diretto Han. «E signore», aggiunse 3BO, «gli Ssi-ruuk intendono attaccare nel giro di un’ora o meno. Deve fare in fretta. Avverta Chewbacca che sono diretto al Falcon, ma che sono travestito da assaltatore imperiale. Non mi deve sparare.»
Meno di un’ora? E la sua navetta che aveva mezz’ora di ritardo? «Dov’è C1?»
«È stato requisito dalla senatrice Captison, signore. Dovremo tornare a prenderlo in un secondo tempo. Signore, se lei pensa che io possa essere più utile qui a terra che nello spazio, durante le prossime ore...»
«Dirigiti verso il Falcon. Parleremo dopo.» Luke si rimise il comlink in tasca e tese una mano verso il terminale della rete pubblica. Doveva mandare Chewie con il Falcon nelle montagne, ad aiutare Han? No, a volte Han si muoveva molto più in fretta di quanto chiunque si potesse aspettare. Avrebbero potuto incrociarsi mentre tornava e mancarlo.
Ma a volte Han si infilava in una situazione troppo complicata per essere risolta a colpi di fulminatore. Luke si morse il labbro. Doveva aiutare Han e Leia, ma doveva anche avvisare la Flurry... no, doveva salire a bordo, prima che gli alieni attaccassero. Era quella, come comandante, la sua responsabilità.
Improvvisamente si raddrizzò sul sedile sdrucito. Comandante? Un momento!
Riaprì il contatto con il tenente Riemann.
Per essere una città sottoposta al coprifuoco, Salis D’aar sembrava a Han piuttosto vivace. Piccoli gruppetti di persone correvano da un edificio all’altro, evitando plotoni ai assaltatori imperiali. Un velivolo della sicurezza a doppio scafo si diresse verso di lui, minaccioso. Han si gettò fuori dal corridoio aereo ed entrò nella gola formata da due alti edifici. Il suo inseguitore gli tenne dietro, sparando apparentemente a casaccio. Han frenò, si infilò in un vicolo stretto, poi si gettò in un cerchio della morte Immelmann e tornò nella gola. Il veicolo della sicurezza continuò a schizzare nel vicolo e Han non lo vide uscire dall’altra parte.
Appena si fu orientato di nuovo, uscì dalla città e si calò fino quasi a sfiorare l’acqua del fiume a ovest. Restò tanto basso che a momenti avrebbe potuto afferrare i pesci a mani nude e a distanza di braccia dall’enorme parete di quarzo bianco alla sua destra, sperando così di sfuggire alla sorveglianza. Aspettò che le colline diventassero alte abbastanza da offrirgli una certa copertura, poi attraversò il fiume ed entrò nella gola formata da uno degli affluenti.
Una volta individuata la valle giusta non gli ci volle molto per localizzare il suo obiettivo, una costruzione di tronchi d’albero a forma di «T» con un tetto di pietra verde scuro, addossata a una parete di roccia. Pianificando con largo anticipo, diciamo di due minuti (3BO sarebbe stato fiero di lui), slacciò la cintura di sicurezza e si assicurò di avere i piedi liberi, preparandosi a gettarsi fuori. Nessuno gli sparò contro. Decelerò sulle scure cime degli alberi. Nell’istante preciso in cui decise di avere perso abbastanza velocità saltò fuori dallo sportello. Atterrò proprio nel morbido cespuglio che aveva puntato. Lo speeder esplose con un boato e una nuvola di fuoco e fumo contro il muro perimetrale. Quando quattro soldati di marina riuscirono finalmente ad avvicinarsi alle fiamme, Han stava già entrando nella casa attraverso una porta aperta e temporaneamente incustodita, assicurata a colossali cardini neri.
Solo una porta, nel lungo corridoio centrale, era chiusa e aveva un droide di sicurezza accanto. Era ovvio che gli Imperiali non si curavano di rispettare i sentimenti anti-droidistici dei Bakurani, in questa installazione a loro riservata. Han puntò il fulminatore all’altezza della sezione mediana del droide e sparò. Fulmini blu avvolsero la macchina e si protesero da quattro appendici verticali che spuntavano dalla sommità del droide. Han si avvicinò prudentemente. Il droide ronzava e fumava.
Sicurezza mantenuta al minimo, osservò, agitando il suo circuito gerarchico davanti alla porta. Un po’ troppo facile. Se questa era un’altra trappola... Be’, ci avrebbe pensato dopo. 3BO a questo punto doveva già essere sul Falcon. Avrebbe tanto desiderato avere un comlink, ma un segnale estraneo avrebbe attirato da lui tutti i soldati del circondario.
«Leia?» chiamò piano nella stanza buia. «Sono io.»
Le luci si accesero. «Ehilà», disse la voce di Leia da sopra di lui. Era appollaiata sul sedile di una poltrona a repulsione proprio sopra la porta. «Meno male che hai parlato. Stavo per spiaccicarti.» Fece atterrare la poltrona ai piedi di un letto vecchia maniera, non a repulsione. Han non sapeva che una sedia a repulsione potesse fare queste acrobazie. Leia doveva averla riprogrammata.
«Ti hanno fatto del male?» Tirò dentro il droide fuso prima di chiudere la porta. Se nessuno lo vedeva, forse non si sarebbero resi conto che era stato danneggiato.
«No, a dire la verità. Da quello che ho capito, il governatore Nereus vuole tenermi da parte come regalo per il prossimo imperatore. Sostiene che in questo momento sono una specie di ospite. Il pranzo era delizioso. E ho anche un caminetto.» Indicò con un gesto la camera da letto in stile rustico. Legno chiaro, non piallato, rivestiva le pareti e il soffitto.
«Una specie di ospite che non può andarsene?»
«Non resterò qui a lungo.» Si piantò i pugni sui fianchi. «E così sei riuscito a entrare. Suppongo che tu abbia un piano per uscire di qui.»
«Non ancora.»
Leia voltò gli occhi al cielo. «Oh, no, non di nuovo»
«Guarda, dolcezza», disse Han in tono pensieroso, mentre si sedeva sull’orlo del letto. «Ho fatto esplodere lo speeder con cui sono arrivato contro il loro bel muretto di cinta. Per quello che ne sanno io sono saltato fuori molto prima di arrivare qui. Restiamo qui tranquilli per un’oretta. Lasciamo che esaminino il relitto ed esplorino il terreno qui attorno...»
Passi pesanti si avvicinarono alla porta. Han saltò giù dal letto. «Si può uscire di qui?» Si precipitò verso il caminetto.
«Ma certo che no. È troppo stretto.»
Troppo tardi. La porta si aprì. Han afferrò una sbarra di metallo che si trovava dentro al caminetto annerito, saltò più in alto che poté e tirò su le gambe.
«Avete visto qualcosa di sospetto dalla finestra?» chiese una voce filtrata dal microfono di un elmetto. Han si puntellò a due ruvide pareti di pietra. Avrebbe voluto salire ancora, ma non osava attirare l’attenzione facendo cadere della fuliggine. Il naso e la gola gli prudevano già. Al pensiero di quella guardia in uniforme appena dentro la porta, le mani cominciarono a sudargli.
«Non ho neanche provato», disse Leia con voce di sfida.
«Bene. State indietro.» Han sentì una serie di passi lenti, due paia; immaginò una squadra dotata di analizzatore che passava in rassegna la stanza alla ricerca di forme di vita. Si chiese se la pietra bloccava il loro equipaggiamento. Non riusciva a raggiungere il suo fulminatore. Ancora un secondo e avrebbero di certo notato il droide che aveva messo fuori combattimento...
«Va bene, adesso avete fatto i vostri controlli. Fuori di qui», ordinò Leia. Come in tributo alla gelida minaccia contenuta nella sua voce, i passi dei soldati si allontanarono in tutta fretta. Dopo un paio di secondi Leia disse da sotto di lui: «Sono andati».