La sua propria tragedia. Se il destino garantiva che la sua vita sarebbe finita, che tragedia avrebbe scelto?
Una che portasse al trionfo. Gaeri esaminò attentamente la sua nuova idea. Non poteva consegnare Eppie Belden a Wilek Nereus. È questa la risposta, si disse. Non c’era un solo ufficiale, burocrate o professore imperiale che avesse mai ammirato come aveva ammirato Eppie.
Dunque questa era la sua decisione. Amava Bakura, non l’Impero. «Sono con te», disse piano.
Eppie le afferrò la mano e la strinse. «Lo sapevo che avevi più buon senso di quanto non lasciassi trapelare. È una decisione dura, ragazzina e ti costerà... ma congratulazioni. Adesso vedremo cos’altro possiamo fare a quella fabbrica di componenti.»
«Sei stata tu a mandare a monte l’automazione?»
Il sorriso di Eppie fece sparire la metà delle sue rughe e approfondì l’altra metà. «Quella fabbrica vale per l’Impero quanto tutta Bakura. Se la produzione cessa, sia pure nel bel mezzo di una battaglia, manderanno ogni soldato di Salis D’aar a riportare l’ordine. Il che lascia il complesso Bakur a me... e a qualche amico.»
Gaeri si sentì ribollire il sangue. «Ti posso aiutare meglio dal mio ufficio. Ho uno dei droidi ribelli nascosto lassù.»
«Aspetta.» Eppie rovistò in un cassetto e tirò fuori un pezzettino di metallo e plastica. «Lo conosci quel canale riservato alle truppe d’assalto, che si suppone assolutamente inviolabile?»
Gaeriel annuì.
«Orn voleva che tu avessi questo tanto tempo fa, ma non poteva fidarsi di te. Usalo adesso. Ti consentirà di dare qualche ordine agli assaltatori prima che vengano a prenderti.»
Gaeri chiuse la sua mano sull’oggetto.
«Be’, che cosa aspetti? Corri!» Eppie le colpì una spalla.
Gaeri tornò al complesso con il suo speeder, evitando le pattuglie imperiali e zigzagando fra barricate e incendi. Il droide dei Ribelli, C1-P8, era esattamente dove lo aveva lasciato, accanto alla sua scrivania, con la cupola che ruotava mentre emetteva pigolii inintelliggibili. Gaeri gemette. «Stai cercando di dirmi qualcosa, vero? Ma io non ci capisco niente. Aari?»
«Eccomi», annunciò la sua aiutante.
«Cerca di ottenere tutte le informazioni che puoi sulla rete dell’ufficio di Nereus, anche se vuol dire farci scoprire. Sta per cadere tutto a pezzi.»
«Agli ordini.» Con grande divertimento di Gaeri, il piccolo droide rotolò fino a un terminale e si collegò. Evidentemente era programmato per avere un bel po’ di percezione e volizione tutte sue.
«Ecco, senatrice.» Aari le aveva trasmesso una schermata. Nereus aveva ordinato alle sue truppe di soffocare tre dimostrazioni e aveva mandato il capo dei suoi servizi segreti alla fabbrica del distretto di Belden. Gli ufficiali del servizio segreto di Nereus, a quanto si diceva, prima sparavano e poi interrogavano i superstiti.
Gaeri strinse il pugno. Doveva liberare zio Yeorg e anche la principessa ribelle. Ma prima, doveva ricordare che nessun Captison aveva mai perso tempo mentre Bakura era in preda ai disordini. Porse il chip che Eppie le aveva consegnato ad Aari. «Installa questo. Ci permetterà di immetterci sulla frequenza delle truppe d’assalto.»
Aari sollevò una delle sue sopracciglia nere. C1-P8 trillò e pigolò. Perfino all’orecchio inesperto di Gaeri sembrava eccitato.
Le tremavano le mani. Un utente non autorizzato che si immetteva nella rete sarebbe stato acchiappato nel giro di pochi minuti, ma questo sarebbe stato il suo tributo alla memoria di un vecchio coraggioso.
«Eccoci», annunciò Aari un momento più tardi dalla scrivania accanto. Dal suo terminale principale Gaeri copiò i dati dell’impianto di estrazione del succo di namana, quindici chilometri più giù sulla costa, un impianto sicuro e di nessuna importanza militare: e li riversò nei banchi memoria delle truppe d’assalto al posto del loro schema della fabbrica di componenti. Quando avrebbero cercato di attaccare la fabbrica di Belden, avrebbero avuto informazioni totalmente errate. Sarebbero stati in preda alla confusione e la gente di Belden avrebbe avuto un po’ più di tempo per... be’, qualunque cosa stesse facendo Eppie, che lei non voleva nemmeno sapere cos’era.
Ma chiamò il supervisore della fabbrica su un canale convenzionale. Lo avvisò che gli assaltatori stavano arrivando e che la ribellione di Bakura era cominciata. Non era magari un’azione rivoluzionaria eclatante, ma avrebbe gettato per qualche minuto l’Impero nella confusione.
«D’accordo, Aari. Tira fuori il chip.»
Aari tirò fuori la sua cassetta degli attrezzi e rimosse l’illegale chip pseudoimperiale. «Questo è meglio che lo fonda subito.»
«Giusto.» Adesso che poteva permettersi di pensare alla liberazione di zio Yeorg, si rese conto che conosceva una sola persona che la poteva aiutare. Cancellò i dati dal suo terminale e si chinò sul droide. Si sentiva ridicola, a rivolgergli la parola. «C1-P8, mi puoi aiutare a localizzare il comandante Skywalker?»
Chewbacca camminava a grandi passi attorno al Falcon, di guardia. La nave era pronta al decollo, tutti i sistemi operativi (almeno per il momento) e da fuori sembrava al suo meglio, vale a dire che mentre se ne stava accucciata sulla bianca superficie vetrosa, ammaccata, sporca e malridotta, un osservatore di passaggio avrebbe senz’altro dubitato che potesse decollare. Chewbacca teneva d’occhio ogni nave e ogni gru, ogni speeder che veniva parcheggiato nelle vicinanze e ogni edificio in vista. Nessun segno di Luke.
Finalmente si udì il lamento acuto di uno speeder in avvicinamento. Chewie scivolò attorno allo scafo fino a una postazione dalla quale poteva sparare senza essere visto. Pochi secondi più tardi lo speeder atterrò a portata di fuoco. Un assaltatore in armatura bianca smontò in maniera incredibilmente goffa.
Aveva tutta l’aria di essere una grana. L’assaltatore non parlò, ma venne avanti con le braccia tenute in una posizione molto curiosa. O non poteva parlare, o aveva scelto di non farlo.
Chewie aveva appena finito di approntare il Falcon per il decollo. Non aveva nessuna intenzione di lasciare che un Imperiale, magari con il grilletto facile, arrivasse e mettesse un lucchetto sul portello o qualcosa del genere. Tirò fuori il suo fulminatore, lo regolò su «stordimento» e sparò.
L’assaltatore continuò a venire verso di lui, barcollando.
Chewie sparò di nuovo. Questa volta il soldato cadde a terra. Era tentato di lasciarlo lì per terra, ma poi decise che l’armatura poteva essergli utile. Trascinò il corpo, incredibilmente pesante, su per la rampa d’accesso del Falcon. Il portello principale si abbassò con un sibilo. Accucciandosi, Chewie afferrò ciascun lato dell’elmetto bianco con una possente zampa e tirò.
Dentro l’elmetto c’era una testa dorata, che continuava a ripetere con voce alta e metallica, ad altissima velocità: «uke! Padrone... uke! Padrone...»
3BO! Adesso, per l’ennesima volta, avrebbe dovuto procedere con tutti quei maledetti programmi di diagnostica. Disgustato, Chewie riprese a svestire il droide dell’armatura.
Luke guardò per l’ultima volta il cronografo con il vetro incrinato che dominava la sala ristoro. Fra cinque minuti, se la sua navetta non era arrivata, avrebbe raggiunto Chewie sul Falcon. Stava considerando una fetta di carne misteriosa, cotta in modo ineguale e piuttosto grassa. «Credo che prenderò una di quelle, con qualunque cosa abbiate per accompagnarla», disse. «Per asporto.» Avrebbe mangiato assieme a Chewie. «Oh. No. Facciamo tre di quelle.» Il bancone color arancio, sporco e grasso, era vuoto, il che suggeriva che di solito a quest’ora il posto di ristoro della piattaforma dodici era vuoto. Gruppetti isolati di Bakurani, che si scambiavano mormorii guardandosi attorno, erano seduti qua e là ai tavolini. «Arresto», sentì dire, e «morto». «Belden» e «Captison» erano altri nomi che aleggiavano nell’aria. Sentì anche dire «Jedi».