Intecnamento. Dev rabbrividì. Aveva tanto desiderato sfuggire alla propria volontà. Aveva collaborato alla sua stessa schiavitù. Aveva sperato di dividerla con tutta l’umanità. Lanciò un’occhiata carica d’odio alla parte posteriore della testa di Scaglia Blu.
Attraverso l’oblò passò rapidamente la parte inferiore della Shriwirr. L’idea di dover di nuovo mettersi a leccare le zampe posteriori degli Ssi-ruuk, per quanto brevemente, lo faceva infuriare... ma non sarebbe durata a lungo. Ben presto sarebbe stato libero o morto, o entrambi.
Dietro di loro si chiusero delle pesanti paratie a prova di scoppio. Qualche secondo più tardi, la navetta atterrò bruscamente sul ponte di un hangar. Skywalker non si mosse.
Dev rimase seduto mentre i medici aiutavano Firwirrung a scendere dalla rampa anteriore. Si scoprì a tamburellare con le dita sul bracciolo, e premette le sue mani l’una contro l’altra per fermarle. Uno schiavo impotente non avrebbe certo mostrato alcuna ansia.
La testa a scaglie di uno dei medici spuntò dal boccaporto d’accesso. «È incosciente?» fischiò.
«Una piccola ferita alla testa», rispose Dev. «È per questo che è immobile.»
Il medico emise uno schiocco di disgusto. «Abbiamo una conoscenza molto limitata dell’anatomia umana. Tu dovrai stare assieme a lui.»
Sentendosi gelare, Dev si rese conto che avrebbero potuto sezionarlo per vedere com’era fatto Skywalker. «Padrone», supplicò. «Lasci che sia io a portarlo.»
«Benissimo», grugnì lo Ssi-ruu. «Abbiamo portato solo una barella.»
Dev slacciò la sua cintura di sicurezza, poi quella di Skywalker, poi con prudenza passò una mano sopra il punto in cui il Jedi era stato ferito, almeno, credeva che quello fosse il punto. Ma non c’era più alcun segno di ferita. Gli ci vollero diversi minuti di sforzi accucciato sotto il peso del corpo compatto e muscoloso del giovane Jedi prima che riuscisse a raggiungere il portello di uscita, ostacolato dalle braccia ammanettate e dalle gambe pesanti del suo fardello.
Raccolti attorno alla navetta nell’immenso hangar, una dozzina di Ssi-ruuk li stavano aspettando. Dev si sforzò di sorridere, aspettandosi un applauso. Invece gli Ssi-ruuk lo guardarono lottare in silenzio. Le sue scarpe risuonarono a ogni passo mentre scendeva la rampa. Probabilmente lo spettacolo di uno schiavo umano che trasportava il destino della sua razza sulle spalle li divertiva enormemente.
Barcollando sotto il peso, Dev seguì il medico attraverso l’hangar, poi attraverso le paratie di una camera di compensazione per merci, e infine su per un lungo corridoio illuminato da luci potenti. Dietro di sé udì un rumore ritmico e si chiese in quanti lo stavano seguendo. A mano a mano che procedeva, le cose sembravano sempre più disperate. Quasi desiderava di aver strangolato il Jedi quando ne aveva avuta la possibilità.
No, in realtà non lo desiderava affatto. Non fintantoché c’era una possibilità per quanto remota di salvarlo. Dopo tutti questi anni passati a vivere fra i nemici, aveva trovato un amico. Il Jedi aveva risvegliato la sua umanità, e lui gli doveva almeno la possibilità di lottare.
Salirono su un ascensore, svoltarono diversi angoli, diretti verso il laboratorio di intecnamento. Avrebbe dovuto essere il turno di notte ormai, e i corridoi illuminati da luci fioche, ma sopra di lui i tubi di luce gialla erano accesi al massimo. Dev inciampò e per poco non fece cadere il suo fardello. «Sta’ attento!» intimò una voce dietro di lui.
«Sì, padrone.» Non era poi difficile suonare esausto e pentito. «Mi dispiace, ma non gli ho fatto niente. Sta benissimo.» La schiena di Dev però non stava altrettanto bene.
Trovò una specie di consolazione in quel dolore, come una penitenza.
Seguì il medico dentro il grande laboratorio. La nuova piattaforma di intecnamento era accanto alla vecchia sedia vicino a una paratia. Solo ora Dev osò voltarsi. Altri due Ssi-ruuk lo avevano seguito. Il resto sarebbe stato di guardia fuori della porta.
Firwirrung aspettava già accanto al pannello di controllo, assistito da un altro medico e da due P’w’eck. E così questo voleva dire cinque Ssi-ruuk e due servi contro Dev e un Jedi privo di conoscenza. «Ah, Dev», fischiò Firwirrung. «Sei forte. Benfatto.»
Ora Dev riconosceva queste parole per quello che erano: complimenti per riuscire a manipolarlo meglio. Afferrandosi alla speranza che Skywalker fosse sveglio, Dev lo lasciò cadere a terra. «No», esclamò Firwirrung. «Il nuovo apparato lo terrà in posizione. Ecco, lascia che ti aiuti.»
Dev si accucciò e di nuovo issò Skywalker sulle spalle. Adesso! esclamò. Se non ti muovi adesso, sarai in trappola! Skywalker non rispose. Disperato, Dev bilanciò il Jedi sopra la sua spalla. Un medico aprì le manette che gli imprigionavano i polsi e Firwirrung lo appoggiò contro il lettino. Le sue caviglie e la sua vita furono subito imprigionate dai legacci, ma le braccia erano ancora afflosciate contro i fianchi e lontane dai pannelli di imprigionamento automatico. Firwirrung le spinse al loro posto. Il letto si rovesciò assieme al suo prigioniero.
Il portello si aprì. Dev si voltò, quindi si immobilizzò. Scaglia Blu entrò maestosamente, chiudendo il portello dietro di sé, poi marciò vicino a Dev. «L’umano Jedi sarà privo di conoscenza ancora per un po’, non credi?»
Dev allargò le braccia. Anche gli Ssi-ruuk usavano mostrare gli artigli vuoti per dimostrare di essere confusi. «Sarà un’attesa difficile, anziano.»
Scaglia Blu girò l’enorme testa e fissò Dev con un nero occhio ipnotico, poi fischiò quello che Dev temeva tanto di sentire. «Il tuo bisogno è disperato.» Altri due alieni scivolarono verso di lui, con i proiettori ionici in pugno.
«Aspettate», esclamò Firwirrung. «Dev ci ha sempre servito bene. Ora è venuto il momento di ricompensarlo.» Con un artiglio accarezzò la vecchia sedia da intecnamento. «Siediti, Dev. C’è ancora tempo. Sarò io stesso a mettere in posizione gli aghi e ad abbassare l’arco di intecnamento, esattamente come ti avevo promesso.»
Dev sentì che la lingua gli si gonfiava in bocca soffocandolo. Per quanto avesse cercato di adularli, non era riuscito a convincere nessuno di loro. Quanto miserevole doveva essere stato il suo comportamento in tutti quegli anni?
«Non senti come puzzi?» lo canzonò piano Scaglia Blu.
Allora era così che avevano capito. Approfittando del suo ultimo momento di libertà, saltò su Skywalker. Con la sua mano sana e con quella ferita strinse la gola del povero Jedi. «Non ho bisogno di niente», urlò. «Non mi avrete mai...»
Le luci si spensero nella stanza. Le parole gli si spensero in bocca.
18
La piccola creatura debole di mente, un P’w’eck, che Luke aveva controllato, schiamazzò in preda alla confusione con tutti gli altri, senza rendersi conto che era stata la sua coda a distruggere il pannello di controllo e a far spegnere le luci della cabina. Luke poteva solo sperare che il colpo avesse anche reso inservibili le abominevoli macchine degli alieni. Anche al buio poteva distinguere fra Dev e gli alieni tramite le loro presenze nella Forza. Un individuo fisicamente potente corse con passo pesante verso un portello chiuso.
Luke si era già liberato dei legacci con l’aiuto della Forza. Liberandosi facilmente di Dev, saltò a terra. La testa non gli faceva più male, ma la gamba destra era insensibile. Era costretto a barcollare verso sinistra. «Dev», gridò, «infilati sotto qualcosa o ti calpesteranno.»
«Agli ordini!» La voce di Dev era tremante per l’euforia.
La cosa più dura negli ultimi minuti era stare fermo mentre sentiva che Dev oscillava tra la determinazione e la paura. Luke avrebbe tanto voluto non avere perso il suo fulminatore, o almeno averne un altro con cui armare Dev.
Da un luogo sicuro accanto alla paratia, Luke tese in avanti la mano destra e cercò di visualizzare la sua spada laser. Non doveva essere troppo lontana. Meno di un secondo più tardi, sentì il suo peso rassicurante sul palmo. «Sei giù, Dev?» gridò sopra la cacofonia di suoni ssi-ruuvi.