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Martin fece per allungare la mano verso la lattina, ma fermò la mano e spalancò tanto d’occhi.

Accanto alla lattina di birra si era accucciato un essere lungo circa cinque centimetri, con un viso umano, un corpo leonino e delle ali piumate.

— Una minisfinge — continuò la voce. — Sono arrivate quando avete ucciso l’ultimo virus del vaiolo.

— Vuoi dirmi che ogni volta che una specie naturale si estingue, il suo posto è occupato da una specie mitica? — chiese l’uomo.

— In una parola… sì. Be’… non è sempre stato così, ma voi avete distrutto il meccanismo dell’evoluzione. L’equilibrio è stato ora ripristinato da quelli come noi che vengono dalla terra del mattino, da noi che in realtà non siamo mai stati in pericolo di estinzione. Ora è giunto il momento del ritorno.

— E tu, qualunque cosa tu sia, Tlingel… dici che l’umanità è ora avviata all’estinzione?

— Proprio così. Ma tu non puoi farci assolutamente nulla, no? E allora continuiamo con la partita.

La sfinge volò via. Martin bevve un sorso di birra e mangiò il pedone.

Poi chiese: — Chi saranno i nostri successori?

— La modestia quasi mi impedisce di dirlo — rispose Tlingel. — Nel caso di specie così importanti come lo è la tua, è naturale che il suo posto debba essere preso da quella più bella, più intelligente e più importante tra tutte.

— E tu cosa sei? Non ho modo di poter dare una sbirciatina?

— Be’… sì. Se faccio un piccolo sforzo.

La lattina di birra venne levata in aria, fu scolata e cadde sul pavimento. Poi seguì una serie di rapidi tintinnii che si allontanavano dal tavolo. Dall’altra parte, l’aria cominciò a guizzare di fiammelle per una zona piuttosto estesa, facendosi più scura all’interno della sagoma fiammeggiante. I contorni si fecero più chiari, mentre l’interno diventava nero gaietto. Poi la forma si mosse danzando per il saloon, mentre una moltitudine di minuscole impronte di zoccolo fesso apparivano sulle assi del pavimento e le facevano crepitare. Infine con un ultimo lampo quasi accecante, la cosa divenne completamente visibile e al vederla Martin sussultò.

Davanti a lui stava un unicorno nero con gli occhi gialli e beffardi, che si rizzò per un istante sulle zampe posteriori in posa araldica. Le fiamme gli danzarono attorno per un secondo ancora, poi svanirono.

Martin si era tirato indietro e aveva sollevato una mano in un gesto di difesa.

— Guardami! — annunciò Tlingel. — Io, l’antico simbolo di saggezza, valore e bellezza mi ergo innanzi a te!

— Credevo che il vostro tipico unicorno fosse bianco — riuscì alla fine a dire Martin.

— Io sono archetipo — rispose Tlingel, ricadendo sulle quattro zampe. — E possiedo doti che sono fuori dall’ordinario.

— Per esempio?

— Continuiamo la partita.

— E il destino della razza umana? Avevi detto…

— … e lasciamo per dopo le chiacchiere.

— La distruzione dell’umanità non mi pare che si potrebbe definirla col termine di chiacchiere.

— E se hai un’altra birra…

— D’accordo — disse Martin, ritornando verso il proprio zaino mentre l’essere avanzava, con occhi simili a un paio di soli sbiaditi. — C’è della birra chiara.

Qualcosa era cambiato nel gioco. Mentre Martin si sedeva davanti al corno d’ebano sulla testa di Tlingel, come un insetto che sta per venire inchiodato da uno spillo, si rese conto che aveva finito ormai di giocare bene. Aveva sentito la tensione nello stesso istante in cui aveva visto l’essere… e poi c’erano state anche tutte quelle chiacchiere sulla fine imminente della sua razza. Naturalmente se l’avesse detto un qualsiasi mattoide non gli avrebbe fatto né caldo né freddo, ma vista la fonte particolare che gli aveva comunicato la notizia…

Il morale gli era calato in fondo ai piedi. Adesso non era più al massimo della forma. E Tlingel era in gamba. Molto in gamba. Martin cominciò a chiedersi se gli sarebbe riuscito di fare pari e patta.

Dopo un momento vide che non ci sarebbe riuscito e ci rinunciò.

L’unicorno lo guardò e sorrise.

— Non giochi male… per essere un umano — gli disse.

— Certe volte ho giocato anche molto meglio.

— Non c’è da vergognarsi a perdere con me, mortale. Perfino tra gli esseri mitici ce ne sono pochi in grado di combattere una buona partita con un unicorno.

— Sono contento che non ti sei proprio annoiato del tutto — fece Martin. — Adesso vuoi finire ciò che mi stavi dicendo riguardo l’estinzione della mia specie?

— Oh, quella faccenda — rispose Tlingel. — Nella terra del mattino dove vivono quelli come me, ho avvertito l’eventualità della vostra scomparsa come un venticello lieve sotto le nari, con la promessa di preparare la strada a noi…

— E come dovrà funzionare?

Tlingel si strinse nelle spalle e mentre scuoteva la testa il corno scrisse cose misteriose nell’aria.

— Non saprei proprio dirtelo. Le premonizioni sono raramente precise. Anzi, è proprio per scoprire come stanno le cose che sono venuto qui. Avrei dovuto già riuscirci, ma tu mi hai distratto con la birra e la partita.

— Non potrebbe darsi che ti sbagliassi?

— Ne dubito. Questa è appunto l’altra ragione per cui sono qui.

— Vuoi spiegarti, per favore?

— Ci sono ancora delle birre?

— Due, mi pare.

— Per favore…

Martin si alzò e andò a prenderle.

— Accidenti! Su questa si è rotta la linguella — disse.

— Mettila sul tavolo e tienila ben ferma.

— D’accordo.

Il corno di Tlingel si abbassò e forò il coperchio della lattina. — È utilissimo in un sacco di situazioni — osservò Tlingel, ritirandolo.

— L’altra ragione per cui sei qui… — lo incitò Martin.

— È solo che sono un tipo speciale. Io so fare cose che agli altri non riescono.

— Per esempio?

— Trovare il vostro punto debole e influenzare gli eventi per sfruttarlo… affrettare il corso delle cose. Trasformare una possibilità in probabilità e poi…

— Tu vuoi distruggerci? Di persona?

— Questo è un modo sbagliato di considerare le cose. È quasi come una partita di scacchi. Si tratta di sfruttare contemporaneamente le debolezze dell’avversario e di esercitare la propria forza. Se voi non aveste già preparato il terreno, io non potrei fare nulla. Io posso solo influenzare ciò che già esiste.

— E cosa succederà? Ci sarà la III Guerra Mondiale? Un disastro ecologico? Una pestilenza provocata da mutazioni?

— Non lo so ancora di preciso, perciò preferirei che non mi rivolgessi domande del genere. Ti ripeto che al momento sto solo osservando la situazione. Io sono solo un agente…

— A me non pare proprio.

Tlingel rimase in silenzio. Martin cominciò a raccogliere i pezzi degli scacchi.

— Non vuoi rimettere i pezzi sulla scacchiera?

— Per sollazzare ancora il mio distruttore? No, grazie.

— Non è così che si deve considerare la faccenda…

— E poi quelle sono le ultime birre.

— Oh — Tlingel fissò con aria desiderosa i pezzi che venivano messi via, poi osservò: — Io sarei disposto a giocare ancora contro di te, anche senza altri rinfreschi…

— No, grazie.

— Sei arrabbiato.

— Non lo saresti anche tu, se le nostre situazioni fossero invertite?

— Tu stai antropomorfizzando la cosa.

— Be’?

— Oh, immagino che lo farei anch’io.

— Potresti offrirci una possibilità, almeno permettici di essere noi stessi a commettere i nostri errori.

— Voi non l’avete proprio fatto, però, con tutti gli esseri cui sono succeduti i miei simili.