Выбрать главу

Martin gli gettò un’occhiata ai piedoni.

— …oppure dà a me il bianco e lasciami mangiare quel pedone. Ce la farò lo stesso.

— Prendi il bianco — disse Martin, raddrizzandosi. — Vediamo se sai di cosa parli. — Infilò una mano nel sacco da montagna. — Vuoi una birra?

— Che roba è?

— Un ausilio ricreativo. Aspetta un momento.

Prima che avessero finito la confezione da sei lattine, il sasquatch, il cui nome come Martin aveva appreso era Grend, lo aveva battuto. Grend si era immediatamente impegnato con feroce determinazione, lo aveva spinto in una posizione sempre più insicura fino al punto in cui Martin aveva visto di essere finito e aveva abbandonato la partita.

— È stata una partita ben combattuta — dichiarò Martin, appoggiandosi con la schiena alla radice e guardando quella specie di scimmione che gli stava davanti.

— Sì, noi Piedoni siamo piuttosto in gamba, se così posso dire. È il nostro passatempo preferito, ma siamo così primitivi che non abbiamo scacchiere e pezzi. Per la maggior parte del tempo giochiamo tutto a mente. Non sono molti quelli che si avvicinano alla nostra bravura.

— E gli unicorni? — chiese Martin.

Grend annuì lentamente.

— Quelli sono gli unici che sono in grado di offrirci delle partite coi fiocchi. Un po’ raffinatini; ma sono sottili. Tremendamente sicuri di sé, però, devo dire. Perfino quando sbagliano. Non ne ho più visti molti da quando ho lasciato la terra del mattino, naturalmente. Peccato. Non avresti dell’altra birra?

— Temo di no. Ma ascolta. Ritornerò da queste parti fra un mese. E te ne porterò ancora se tornerai qui a giocare con me.

— Martin, affare fatto. Oh, scusa. Non volevo schiacciarti i piedi.

Ripulì di nuovo il saloon e portò un barilotto di birra che installò sotto il bar coprendolo di ghiaccio. Portò anche degli sgabelli da bar, sedie e tavoli che si era procurato all’emporio di Goodwill. Alle finestre appese delle tendine rosse. Quando ebbe finito era già sera. Si sedette davanti alla scacchiera, cenò con un pasto leggero, poi srotolò il sacco a pelo dietro il banco del bar e si accampò per la notte.

Il giorno seguente passò rapidamente. Dal momento che Tlingel sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento, Martin non lasciò le vicinanze del bar. Anche i pasti li consumava dentro e passava il tempo a studiare problemi scacchistici. Quando cominciò a far buio accese parecchie lampade a petrolio e candele.

Guardò l’orologio con crescente frequenza. Si mise a camminare avanti e indietro. Non era possibile che avesse fatto un errore. Il giorno era proprio quello. Lui…

Sentì una risatina.

Quando si voltò vide una testa munita di unicorno nero che galleggiava nell’aria proprio al di sopra della scacchiera, poi il resto del corpo di Tlingel si materializzò.

— Buona sera, Martin. — Martin volse via lo sguardo dalla scacchiera. — Questo posto mi sembra molto meglio adesso. Non si potrebbe fare un po’ di musica…

Martin girò dietro il bancone e accese la radiolina a transistor che aveva portato con sé. La musica di un quartetto d’archi si diffuse nell’aria. Tlingel ammiccò.

— Non molto in armonia con l’atmosfera di questo locale.

Martin cambiò stazione e ne trovò una che trasmetteva musica folk e western.

— Non mi va molto — ribatté ancora Tlingel. — Si perde troppo con la trasmissione.

Martin spense la radio.

— Hai una buona scorta di beveraggi?

Martin tirò fuori un boccale da quattro litri, il più grosso che fosse riuscito a trovare in un negozio di articoli da regalo, e lo mise sul bar. Poi ne riempì uno molto più piccolo per se. Era deciso a ubriacare quella bestiaccia, se possibile.

— Ah! Questo è davvero meglio che non quelle ridicole lattine — esclamò Tlingel, immergendoci il muso.

Il boccale era vuoto. Martin lo riempì.

— Vuoi metterti al tavolo con me?

— Certo.

— Hai avuto un mese interessante?

— Direi di sì.

— Hai deciso la prossima mossa?

— Sì.

— Allora diamoci sotto.

Martin si sedette e mangiò il pedone nero.

— Uhm, interessante.

Tlingel fissò la scacchiera per un po’, poi sollevò uno zoccolo fesso che si dipartì mentre toccava il pezzo.

— Io invece mi mangio l’alfiere col cavallo. Immagino che adesso vorrai un altro mese per decidere la prossima mossa che dovrai fare.

Tlingel si appoggiò allo schienale della sedia e si scolò tutta la birra del boccale.

— Lascia che ci pensi — rispose Martin, — intanto ti riempio il boccale.

Martin si sedette davanti alla scacchiera a riflettere mentre l’unicorno si scolava altri tre boccali di birra. In realtà però fingeva solo di riflettere. Stava solo aspettando. Quando aveva giocato contro Grend, la sua mossa era stata appunto di mangiare l’alfiere col cavallo e adesso aveva già pronta la risposta di Grend.

— Be’? — disse alla fine Tlingel. — Che ne dici?

Martin mandò giù un sorso di birra.

— Sono quasi pronto — ripspose. — Sai che reggi benissimo la birra, tu.

Tlingel si mise a ridere.

— Il corno degli unicorni è un disintossicante. Un rimedio universale. Io aspetto di raggiungere lo stadio del calor rosso, poi mi servo del corno per bruciare ogni eccesso e rimanere in forma.

— Oh — fece Martin. — Un bel trucco.

— …Se per caso tu hai bevuto troppo, basta che mi tocchi il corno per un istante e vedrai che ti rimetto in sesto in quattro e quattr’otto.

— No, grazie. Va benissimo così. Allora sposto avanti di due caselle il pedone della torre di regina.

— Ma guarda… — fece Tlingel. — È davvero interessante. Sai cosa manca a questo posto? Un piano… un piano anche scordato da saloon… credi di farcela a trovarlo?

— Purtroppo non so suonarlo.

— Che peccato.

— Potrei pagare qualcuno perché lo suoni.

— No. Non mi va di essere visto da altri umani.

— Se è un tizio davvero in gamba, immagino che saprebbe suonare anche a occhi bendati.

— Lascia perdere.

— Mi spiace.

— Sei anche ingegnoso. Sono sicuro che troverai qualche soluzione la prossima volta.

Martin fece un cenno d’assenso.

— E poi una cosa ancora, questi vecchi posti non avevano della segatura sparsa dappertutto?

— Mi pare.

— Ci starebbe proprio bene.

— Scacco.

Tlingel gettò freneticamente un’occhiata alla scacchiera.

— Volevo dire che sono d’accordo. «Scacco» significa che non ho scelta.

— Oh, capisco. Be’, intanto che siamo qui…

Tlingel fece avanzare il proprio pedone in d6.

Martin fissò la scacchiera. Non era quella la mossa che aveva fatto Grend. Per un istante pensò di continuare per conto suo la partita da quel punto. Fino a quel momento aveva cercato di pensare a Grend solo come un allenatore. Aveva cercato di allontanare il pensiero che quella in effetti era una lotta mortale di uno contro l’altro. Fino al pedone in d6. Poi si ricordò della partita che aveva perso contro il sasquatch.

— Mi fermo qui — disse, — e mi prenderò il mio mese.

— D’accordo. Beviamoci un’altra birra prima di darci la buona notte. D’accordo?

— Certo. Perché no?

Rimasero seduti per un po’ e Tlingel gli raccontò della terra del mattino, delle sue foreste primeve, dei pianori ondulati, delle alte montagne dalle cime frastagliate, dei mari purpurei, e dei suoi magici e mitici abitanti.

Martin scosse la testa.

— Non capisco proprio come mai siete così ansiosi di venire qui — disse, — quando abitate in un posto come quello.