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Alla fine Martin disse: — L’alfiere mangia l’alfiere.

— Naturalmente.

— Come va il calor rosso?

Tlingel fece una risatina chioccia.

— Lo vedrai.

Il vento si levò di nuovo e cominciò a ululare. L’edificio scricchiolò.

— Okay — disse alla fine Tlingel e spostò la regina in d7.

Martin fissò la scacchiera. Cosa stava facendo? Finora era andato tutto bene, ma… ascoltò di nuovo l’ululare del vento e pensò ai rischi che correva.

— Basta così, gente — disse, appoggiandosi allo schienale della sedia. — La prossima puntata fra un mese.

Tlingel sospirò.

— Non scappare via. Dammi un’altra birra. E lascia che ti racconti dei vagabondaggi che ho fatto nel tuo mondo il mese scorso.

— Stai cercando degli anelli deboli?

— Ne avete un sacco. Come fate a sopportarlo?

— È più difficile di quel che pensi rafforzarli. Hai qualche consiglio?

— Va a prendere la birra.

Continuarono a chiacchierare finché il cielo non impallidì verso est e Martin si ritrovò mentre prendeva frettolosi appunti. La sua ammirazione per l’abilità analitica dell’unicorno andò aumentando man mano che la sera si avvicinava.

Quando alla fine si alzarono in piedi, Tlingel barcollava.

— Ehi, stai bene?

— Mi sono dimenticato di disintossicarmi. Un secondo ancora, poi svanisco.

— Aspetta.

— Aspetta!

— Come?

— Ne avrei bisogno anch’io.

— Oh. Tocca il corno, allora.

Tlingel abbassò la testa e Martin strinse l’estremità del corno tra le punte delle dita. Immediatamente sentì fluire una gradevole sensazione di tepore dentro di sé. Chiuse gli occhi per assaporarla meglio. La testa gli si schiarì. L’inizio di mal di testa che provava sulla fronte scomparve. La stanchezza svanì dai suoi muscoli. Riaprì gli occhi.

— Gra…

Glingel era scomparso. Martin stringeva un pugno di aria.

— … zie.

— Il qui presente Rael è amico mio — affermò Grend. — È un grifone.

— L’avevo notato.

Martin fece un cenno col capo all’indirizzo dell’essere dalle ali dorate.

— Piacere di conoscerti, Rael.

— Piacere mio — gridò l’altro. — Hai portato la birra?

— Oh… sì.

— Gli ho raccontato tanto della birra — spiegò Grend, quasi in tono di scusa. — Può bere una parte della mia. Non pianterà grane.

— Certo. Sta bene. I tuoi amici…

— La birra! — gridò Rael. — Bar!

— Non è molto intelligente, in realtà — sussurrò Grend. — Ma fa compagnia. Ti sarei grato se gli dessi corda.

Martin aprì la prima confezione da sei e passò una birra al grifone e una al sasquatch. Rael forò immediatamente la lattina col becco, ingollò il liquido, ruttò e allungo la zampa.

— Birra! — gridò con voce stridula. — Ancora birra!

Martin gliene passò un’altra.

— Ehi, hai ancora qui la prima partita, no? — osservò Grend, studiando la scacchiera. — Questa sì che è una situazione interessante.

Grend bevve e si mise a riflettere.

— Fortuna che non piove — commentò Martin.

— Oh, pioverà. Aspetta solo un po’.

— Ancora birra! — ululò Rael.

Martin gliene passò un’altra senza neppure guardare.

— Io porto il mio pedone in b6 — disse Grend.

— Ma scherzi?

— No. Poi tu mi mangi il pedone col tuo pedone c7, vero?

— Infatti…

— Martin allungò la mano e fece proprio quella mossa.

— Bene. Adesso io porto il cavallo in d5.

Martin lo mangiò col pedone.

Grend spostò la torre in e1.

— Scacco — annunciò.

— Sì. È proprio la mossa da fare — osservò Martin.

Grend fece una risatina.

— Vincerò ancora una volta questa partita — disse.

— Non mi è difficile crederlo.

— Ancora birra? — disse Rael a bassa voce.

— Certo.

Mentre Martin gli passava un’altra lattina, vide che il grifone si appoggiava adesso contro il tronco dell’albero.

Dopo diversi minuti, Martin spostò il proprio re in f8.

— Sì, avevo immaginato che l’avresti fatto — disse Grend. — Sai una cosa?

— Cosa?

— Tu giochi proprio come un unicorno.

— Uhm.

Grend spostò la propria torre in a3.

Più tardi, mentre la pioggia cadeva lieve attorno a loro e Grend lo batteva nuovamente, Martin si rese conto che c’era stato un prolungato periodo di silenzio. Gettò un’occhiata verso il grifone.

Rael si era rintanato la testa sotto l’ala sinistra e, in bilico su una gamba sola, si era appoggiato all’albero e dormiva.

— Te l’avevo detto che non avrebbe dato fastidio — osservò Grend.

Due partite dopo la birra era finita, le ombre si stavano allungando e Rael si stava risvegliando.

— Ci rivediamo il mese prossimo?

— Sì.

— Hai portato del gesso per calchi?

— Sì, l’ho qui.

— Molto bene, allora. Conosco un bel posto piuttosto lontano da qui. Non vorrai che la gente venga a frugare da queste parti, no? Adesso andiamo a farti guadagnare un po’ di soldi.

— Per comperare la birra? — chiese Rael, sbirciando da sotto l’ala.

— Il mese prossimo — disse Grend.

— Salite in groppa?

— Non credo che riusciresti a portarci tutti e due — disse Grend, — e anche se ce la facessi, non sarei sicuro di volerlo fare proprio adesso.

— Arrivederci, allora — gridò Rael con voce stridula e balzò in aria, andando a sbattere contro rami e tronchi d’albero prima di trovare il passaggio tra il fogliame e svanire alla vista.

— Quello sì che è un tipo in gamba e simpatico — disse Grend. — Vede tutto e non si dimentica mai nulla. Sa sempre come vanno le cose… nei boschi, nell’aria… perfino in acqua. Ed è anche generoso, quando ha qualcosa.

— Mmmm — osservò Martin.

— Mettiamoci in marcia — disse Grend.

— Pedone in b6? Davvero? — chiese Tlingel. — D’accordo. Vuol dire che il mio pedone d’alfiere te lo mangia.

Gli occhi di Tlingel si restrinsero quando Martin spostò il proprio cavallo in d5.

— Se non altro questa è una partita interessante — osservò l’unicorno. — Ti mangio il cavallo col pedone.

Martin spostò la torre.

— Scacco.

— Sì, infatti. La prossima mossa richiede almeno tre boccali di birra. Comincia a portarmi il primo, per favore.

Martin si mise a riflettere, osservando Tlingel che beveva mentre ponzava sulla mossa da fare. Quasi quasi si sentiva colpevole a giocare con alle spalle un panzer come il sasquatch. Ormai si era convinto che l’unicorno fosse destinato a perdere. In tutte le varianti del gioco che aveva combattuto contro Grend coi neri, lui era sempre stato battuto. Tlingel era molto in gamba, ma il sasquatch era un mago che non aveva altro da fare che giocare agli scacchi mentali. Era sleale. Ma non si trattava di una questione di onore personale, continuò a ripetersi. Lui stava giocando per proteggere la propria specie contro una forza soprannaturale in grado di far scoppiare la III Guerra Mondiale grazie a qualche arcana manipolazione mentale o facendo andare a pallino i computer per mezzo della magia. Non osava offrire una partita leale a quell’essere.

Gliene portò un altro. Poi studiò l’unicorno mentre questi studiava la scacchiera. Per la prima volta si rese conto che era bello. La più bella cosa vivente che avesse mai visto. Adesso che la tensione stava per svanire, poteva guardarlo senza la presenza di quella paura che in passato era sempre stata presente e poteva fermarsi per ammirarlo. Se alla razza umana doveva succedere qualcosa, avrebbe potuto capitarle anche di molto peggio…