Io non ho detto nulla di ciò che ci ha comunicato il signor Aldrin. Lui non si è raccomandato di non parlarne, ma a me sembra giusto così. Se il signor Crenshaw ha cambiato idea, lui certo andrà in collera. Già sembra in collera anche adesso, comunque, ogni volta che viene a controllare il nostro lavoro.
Al planetario proiettano il documentario Esplorazione dei pianeti esterni e dei loro satelliti. È già qualche giorno che lo danno, e ciò significa che non ci sarà molta folla, anche se oggi è sabato. Io vado presto, alla prima proiezione che è sempre quella meno affollata, anche nei giorni di pienone. Infatti solo un terzo dei posti è occupato, così io, Eric e Linda possiamo avere un'intera fila tutta per noi.
La parte più noiosa dello spettacolo è la lunga introduzione, dove si parla di quanto sapevamo cent'anni fa, cinquant'anni fa eccetera. A me interessa sapere ciò che sappiamo oggi, non ciò che è stato detto ai miei genitori quando andavano a scuola. Che differenza fa se in passato si credeva che ci fossero canali su Marte?
Finalmente il programma abbandona la storia e viene al presente. Le ultime foto dei pianeti esterni trasmesse dalle sonde spaziali sono spettacolari; le riprese in alta quota mi danno l'impressione di stare per cadere dal mio sedile nel pozzo gravitazionale di un pianeta dopo l'altro. Oh, quanto vorrei essere lì. Da piccolo, quando vidi per la prima volta documentali di gente nello spazio, desiderai essere un astronauta; ma so che è impossibile. Anche se mi sottoponessi al nuovo trattamento chiamato "Lungavita" e potessi vivere abbastanza a lungo, rimarrei sempre autistico. Mia madre diceva sempre: "Non piangere sulle cose che non puoi cambiare".
Il documentario non mi dice nulla che non sapessi già, però mi piace lo stesso. Dopo lo spettacolo sento fame: è già passata la mia solita ora di pranzo.
— Potremmo mangiare qualcosa — dice Eric.
— Io vado a casa — rispondo. — Ho della buona carne a casa, e mele che non si manterranno fresche ancora a lungo.
Eric annuisce e se ne va.
La domenica vado in chiesa. L'organista suona Mozart prima che cominci il servizio, e la musica s'intona perfettamente al cerimoniale del rito. Il coro canta una gradevole antifona di Rutter. Rutter non mi piace quanto Mozart, però almeno non mi fa dolere la testa.
Lunedì fa più fresco: tira una brezzolina fredda di nordest. La temperatura non è abbastanza bassa da dover mettere un maglione o una giacca, ma si capisce ormai che il peggio dell'estate è passato.
Martedì fa di nuovo caldo. Tutti i martedì io vado a fare la spesa. I supermercati sono meno affollati il martedì, anche se esso coincide con il primo del mese.
Quando ero bambino, ci dicevano che presto i supermercati sarebbero spariti, che tutti avrebbero ordinato la spesa su Internet e l'avrebbero ricevuta a domicilio; ma non è andata così. Ci sono ancora posti che ricevono le ordinazioni e fanno le consegne in questo modo, ma dalle nostre parti i negozi adibiti alla spesa in rete sono scomparsi uno dopo l'altro. Mia madre comunque diceva che per me era importante l'esperienza di andare a far compere.
Quando le persone nei supermercati fanno la spesa da sole, spesso hanno un'aria preoccupata e concentrata, e ignorano chi sta loro intorno. La mamma mi ha insegnato l'etichetta sociale del mercato, e adesso la padroneggio con sufficiente disinvoltura nonostante il rumore e la confusione. Siccome nessuno si sogna di fermarsi a chiacchierare con estranei, tutti evitano il contatto visivo e quindi è facile guardarli di sottecchi senza che loro se ne offendano. Però è cortesia guardare per un momento negli occhi la persona che prende il tuo denaro o la carta di credito. È educato inoltre fare qualche commento sul tempo, anche se la persona che si ha accanto nella fila ha detto quasi la stessa cosa, ma tanto nessuno ci fa caso.
Certe volte io mi chiedo quanto sono normali le persone normali, e ciò mi capita più spesso del solito nei supermercati. Quando ci tenevano lezioni di pratica della vita quotidiana, c'insegnavano a fare una lista e a passare direttamente da una corsia all'altra acquistando uno dopo l'altro tutti gli articoli di cui avevamo preso nota. Il nostro insegnante ci consigliava di controllare prima i prezzi sui giornali, piuttosto che paragonare i costi dei vari articoli tirandoli fuori dagli scaffali direttamente nel supermercato. Lui ci diceva, e io lo credevo, che ci stava insegnando il modo in cui la gente normale fa la spesa.
Ma all'uomo che blocca la corsia di fronte a me non è stata fatta questa lezione. Sembra una persona normale, eppure sta tirando fuori uno per uno i vasetti di varie marche di sughi per pasta, confrontando i prezzi e leggendo le etichette. Dietro di lui una donnetta dai capelli grigi e con gli occhiali sta cercando di esaminare lo stesso scaffale sbirciando di lato. Credo che lei voglia uno dei vasetti che stanno dalla mia parte, ma l'uomo si è messo di mezzo e la donna non vuole disturbarlo. Io nemmeno. Ha la faccia imbronciata, è accigliato e quasi torvo. Probabilmente è irritato. Io e la donna dai capelli grigi sappiamo che una persona che ha quell'aspetto potrebbe fare una scenata se disturbata.
Di colpo l'uomo alza gli occhi e coglie il mio sguardo. Arrossisce e sembra ancor più irritato. — Lei avrebbe potuto dire qualcosa! — sbotta tirando da parte il suo carrello e bloccando ancor di più la donna dai capelli grigi. Io le sorrido e mi sposto; lei gli gira intorno col carrello e finalmente posso passare.
— Ma è idiota — sento l'uomo brontolare. — Perché non li fanno tutti dello stesso formato?
Mi astengo dal rispondergli, benché ne senta la tentazione. Se la gente parla, si aspetta che qualcuno ascolti. A me hanno insegnato a far attenzione e ad ascoltare quando mi parlano, e mi sono addestrato a farlo quasi sempre. Ma in un supermercato spesso la gente non si aspetta una risposta e magari si arrabbia se uno risponde. Quell'uomo è già abbastanza in collera. Mi sento battere il cuore.
Adesso davanti a me ci sono due bambini che ridacchiano e tirano fuori dallo scaffale pacchetti di condimenti. Una giovane donna in jeans si volta da poco più in là e strilla: — Jackson! Misty! Smettetela! — Io sobbalzo. Lo so che lei non sta parlando con me, ma il suo tono di voce basta a farmi rabbrividire. Uno dei bambini, proprio accanto a me, si mette a strepitare e l'altro dice: — No! — La donna, col viso contratto dalla collera, si precipita verso di loro passandomi vicino. Sento uno dei bambini frignare, ma non mi volto. Vorrei dire: — State buoni, state buoni — ma non sono affari miei. Non sta bene dire a estranei di star buoni se non si è un genitore o un insegnante. Adesso sento altre voci, prevalentemente femminili. Qualcuno sgrida la donna con i bambini. Io sgattaiolo in una corsia laterale, col cuore in tumulto.
Arrivo in una corsia dove sono esposte diverse marche di vino e mi rendo conto che ho oltrepassato la corsia che volevo. Guardo con precauzione da tutte le parti prima di tornare indietro.
Io vado sempre nel reparto delle spezie, sia che ne abbia bisogno o no. Quando non c'è gente… e oggi non ce n'è… mi soffermo e mi permetto di assaporare le fragranze. Posso sentire il gradevole miscuglio di profumi delle spezie e delle erbe aromatiche, che coprono perfino gli odori dei detersivi e quello di gomma americana di alcuni bambini non lontani. Canella, cumino, chiodi di garofano, maggiorana, noce moscata… perfino i nomi sono deliziosi. Mia madre in cucina adoperava sia spezie che erbe e mi lasciava odorarle tutte. Alcune in verità non mi piacevano, ma per la maggior parte sapevano di buono. Oggi mi serve il chili, e non ho bisogno di cercarlo: so dove si trova sullo scaffale, una scatoletta bianca e rossa.
Mi sento di colpo madido di sudore: Marjory è proprio davanti a me, ma non mi ha notato perché sta osservando qualcosa con molta attenzione. Ha aperto un contenitore di spezie… quale, mi chiedo, finché una corrente d'aria mi porta l'inconfondibile fragranza dei chiodi di garofano. I miei preferiti. Mi volto in fretta e cerco di concentrarmi sugli scaffali di colori da pasticceria, frutta candita e articoli per la decorazione di torte. Non capisco perché li abbiano messi nella stessa corsia delle spezie, ma stanno lì.