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L'acqua calda mi è particolarmente gradita. Ho addosso qualche segno blu: lividi lasciati da qualcuno dei colpi che ho subito. Dopo indosso la tuta più morbida che ho. Ho un gran sonno, ma prima devo vedere se i miei compagni mi hanno mandato qualche notizia della loro riunione.

Ho ricevuto e-mail sia da Cameron che da Bailey. Cameron dice che hanno parlato ma non hanno preso nessuna decisione. Bailey dice che alla riunione hanno partecipato tutti tranne me e Linda, e che hanno chiesto a uno dei consulenti del Centro quali fossero le regole sulla sperimentazione umana. Il consulente se ne informerà.

Vado a letto presto.

Lunedì e martedì non abbiamo ulteriori notizie dal signor Crenshaw o dall'azienda. Forse quelli che dovrebbero somministrare il trattamento non sono pronti a provarlo sugli esseri umani, o forse il signor Crenshaw non è ancora riuscito a persuaderli. Vorrei saperne di più: mi sento come mi sentivo al torneo prima che iniziasse il primo incontro. La non conoscenza decisamente sembra più rapida della conoscenza.

Vado a rileggere l'articolo di giornale che mi hanno mandato per e-mail, ma continuo a non capire la maggior parte dei termini tecnici. Anche cercandone la definizione, non capisco quali effetti abbia il trattamento e come faccia a ottenerli. Dopo tutto non sono obbligato a comprendere certi argomenti, non rientrano nel mio campo.

Ma qui si tratta del mio cervello e della mia vita, perciò voglio capire. Quando cominciai a tirare di scherma, non capivo nemmeno quella. Non sapevo perché dovessi tenere il fioretto in un certo modo o perché dovessi disporre i piedi in maniera che formassero un angolo retto; non conoscevo nessuno dei termini tecnici, non sapevo come si eseguivano le mosse. Non mi aspettavo di diventare un bravo schermidore, pensavo che il mio autismo me lo avrebbe impedito, e da principio è stato proprio così. Adesso invece ho partecipato a un torneo e mi sono battuto contro persone normali. Non ho vinto, ma sono stato il più bravo tra i principianti.

Forse anche a proposito del cervello posso imparare più di quel che conosco adesso. Non so se ne avrò il tempo, ma ci proverò.

Mercoledì riporto il costume a Lucia. Lei lo prende e io vado nella stanza dove si trovano i nostri equipaggiamenti. Tom è già in cortile e io lo raggiungo. Fa freddo ma non c'è un alito di vento. Tom sta facendo gli stiramenti e io lo imito. Domenica e lunedì ero tutto irrigidito, ma adesso mi sono sciolto e uno solo dei lividi fa ancora male.

Arriva Marjory.

— Stavo raccontando a Marjory come sei stato bravo al torneo — spiega Lucia dietro di lei. Marjory mi sorride.

— Non ho vinto, però — dico. — E ho commesso degli errori.

— Hai vinto due incontri e la medaglia dei principianti — ribatte Lucia. — Non hai commesso poi tanti errori.

— Simon è rimasto sbalordito — dice Tom. Adesso si è seduto e sta ripassando la lama della sua spada con la carta vetrata per eliminare eventuali intaccature. Io tasto la mia, ma non ci trovo nulla. — Parlo dell'arbitro, sai: ci conosciamo da anni. Lo ha colpito specialmente il modo in cui ti sei comportato quando quel tizio non ha riconosciuto di essere stato colpito.

— Ma tu mi avevi detto di comportarmi così — dico.

— Be', sai, non succede spesso che i miei allievi seguano tutti i miei consigli — spiega Tom. — E dimmi, adesso che è passato qualche giorno, ti è piaciuto il torneo?

— Sì, in alcune parti mi è piaciuto molto. — Era un piacere, in effetti, ma anche una sfida: solo che non so descrivere questo miscuglio di sentimenti. — Certe volte provo piacere a fare cose nuove — dico.

Qualcuno sta aprendo la porticina: è Don. Di colpo sento una certa tensione in cortile.

— Ciao — saluta lui seccamente.

Io gli sorrido, ma lui non ricambia.

— Ciao, Don — dice Tom.

Lucia tace e Marjory lo saluta con un cenno.

— Prendo solo le mie cose — spiega lui, ed entra in casa.

Lucia lancia un'occhiata a Tom che si stringe nelle spalle. Marjory mi si avvicina.

— Vuoi fare un incontro? — chiede. — Stasera posso trattenermi poco. Ho da lavorare.

— Certo — dico io. Mi sento di nuovo leggero.

Adesso che mi sono battuto al torneo, mi sento molto rilassato a battermi qui. Non penso a Don, penso solo a Marjory. Di nuovo mi pervade la sensazione che toccare la sua lama somigli molto a toccare lei: che attraverso l'acciaio io possa sentire i suoi movimenti, perfino i suoi stati d'animo. Vorrei che l'incontro si prolungasse, perciò rallento un poco, non cerco di mettere a segno colpi, in modo da continuare così il più possibile.

Finalmente lei fa un passo indietro; ha il respiro affannoso. — È stato divertente, Lou, ma non ce la faccio più. Devo riprender fiato.

— Grazie — dico.

Ci sediamo l'uno a fianco dell'altro: siamo affannati tutti e due. Io accordo il ritmo del mio respiro al suo e mi sento più leggero che mai.

Don esce da casa portando le sue armi in una mano e la maschera nell'altra. Mi lancia un'occhiataccia e se ne va con passo rigido e affrettato. Tom esce di casa anche lui e allarga le braccia stringendosi nelle spalle.

— Ho cercato di farlo ragionare — dice a Lucia. — Lui si ostina a credere che io lo abbia insultato a bella posta, al torneo. Inoltre si è piazzato al ventesimo posto, parecchio dopo Lou. Anche questo è avvenuto per colpa mia, così adesso andrà a prendere lezioni da Gunther.

— Oh, non durerà — commenta Lucia allungando le gambe. — Don non sopporterà la disciplina.

— Si è offeso per causa mia? — domando.

— Si è offeso perché il mondo non accetta di adeguarsi supinamente ai suoi capricci — dice Tom. — Tra un paio di settimane Don sarà di nuovo qui, vedrai, facendo finta che non sia avvenuto niente.

— E tu lo riprenderai? — chiede Lucia con una certa asprezza.

Di nuovo Tom si stringe nelle spalle. — Se si comporterà bene, sì. Capita che le persone crescano, Lucia.

— Alcune di loro certo crescono, ma storte — ribatte lei.

Arrivano Max, Susan, Cindy e gli altri, tutti insieme, e tutti parlano con me. Non li ho visti al torneo, ma loro mi hanno visto. Mi sento imbarazzato per non averli notati, ma Max mi spiega la situazione.

— Non volevamo disturbarti, avresti potuto perdere la concentrazione. In occasioni del genere uno non vuole avere intorno più di una persona, massimo due — dice. Questo può essere vero solo se anche altra gente trova difficile concentrarsi. Io non sapevo che loro la pensavano così: credevo che volessero sempre intorno a sé un mucchio di gente.

Se le cose che mi hanno detto sul conto mio non sono tutte vere, forse anche le cose che mi hanno detto sulle persone normali non sono tutte attendibili.

Faccio un incontro con Max e poi uno con Cindy e vado a sedere accanto a Marjory finché lei dice che deve andare. Le porto lo zaino fino alla macchina. Mi piacerebbe passare più tempo con lei, ma non so come poterlo fare. Se incontrassi qualcuna come lei… qualcuna che mi piacesse… a un torneo, e lei non sapesse che sono autistico, sarebbe più facile chiedere a quella persona di venire a cena con me? Cosa risponderebbe quella persona? Cosa risponderebbe Marjory se glielo chiedessi? Rimango ritto accanto alla macchina dopo che lei si è seduta alla guida e vorrei aver già detto quelle parole ed essere in attesa della sua risposta. La voce rabbiosa di Emmy mi risuona nelle orecchie. Io non credo a ciò che ha detto, non credo che Marjory mi veda solo come un possibile soggetto di ricerca. Però non sono nemmeno tanto sicuro del contrario da poterle chiedere di uscire con me.

Marjory mi guarda e di colpo mi sento pietrificare dalla timidezza. — Buona sera — dico.

— Arrivederci — dice lei. — Alla prossima settimana. — Accende il motore e io indietreggio.