Torno in cortile e siedo accanto a Lucia. — Se una persona chiede a un'altra di andare a cena con lei — domando — e la persona alla quale lo chiede non vuole andarci, la persona che chiede ha modo di accorgersene prima di chiedere?
Lucia non risponde per un periodo di circa quaranta secondi, poi dice: — Se una persona si comporta in modo amichevole con un'altra, potrebbe esser contenta di ricevere una simile richiesta pur senza desiderare di accettarla. Oppure quella sera potrebbe avere qualche altra cosa da fare. — Fa una pausa. — Hai mai chiesto a qualcuno di cenare con te, Lou?
— No — dico. — L'ho chiesto solo alle persone con cui lavoro, quelli che sono come me. Questo è diverso.
— Vero — annuisce lei. — Stai pensando di chiedere a qualcuno di uscire con te?
Mi si serra la gola e non posso parlare, ma Lucia non insiste: si limita ad aspettare.
— Stavo pensando di chiederlo a Marjory — dico finalmente a bassa voce. — Ma non vorrei disturbarla.
— Non credo che la disturberesti, Lou — risponde Lucia. — Non so se verrebbe a cena con te, però non credo proprio che sarebbe seccata dalla tua richiesta.
A casa quella sera, e quando vado a letto, penso a Marjory che siede a tavola davanti a me. Ho visto scene come questa alla TV. Ma non sono ancora pronto a chiedere.
Giovedì mattina esco di casa e guardo la mia macchina. Ha un aspetto strano: tutt'e quattro le gomme sono appiattite a terra. Non capisco. Le ho comprate solo pochi mesi fa, e quando faccio benzina controllo sempre la pressione. Non capisco come abbiano fatto a sgonfiarsi. Ho solo una ruota di scorta, e benché tenga in macchina una pompa a pedale so che non posso gonfiare tre gomme abbastanza in fretta. Farò tardi al lavoro e il signor Crenshaw si arrabbierà. Sento già il sudore gocciolarmi lungo le costole.
— Cosa succede, amico? — È Danny Bryce, il poliziotto che abita nel mio palazzo.
— Ho le gomme sgonfie — dico. — Non so perché. Le ho controllate l'altro giorno.
Si avvicina. È in uniforme. Odora di menta e limone e la sua uniforme profuma di pulito. Ha le scarpe lucidissime. Sulla camicia ha una targhetta color argento su cui è scritto il suo nome DANNY BRYCE in nero.
— Qualcuno le ha squarciate — spiega. Ha l'aria seria ma non è in collera.
— Squarciate? — Ho letto di simili cose, ma a me non era mai accaduto. — Perché?
— Malignità — risponde lui, chinandosi a guardare. — Sì. Decisamente è un atto di vandalismo.
Dà un'occhiata anche alle altre macchine, ma nessuna di loro ha le gomme sgonfie. — No, l'unica danneggiata è la tua. Qualcuno ce l'ha con te?
— Ancora no, oggi non ho visto ancora nessuno. Il signor Crenshaw si arrabbierà con me — dico. — Farò tardi al lavoro.
— Non avrai che da riferirgli quel che è successo — mi tranquillizza lui.
Il signor Crenshaw si arrabbierà ugualmente, penso, ma taccio. Non bisogna contraddire un poliziotto.
— Chiamerò la polizia per te — dice. — Manderanno qualcuno…
— Ma io devo andare al lavoro — ribatto. Sento che sto sudando ancora di più. Non so cosa fare. Non conosco l'orario dei mezzi pubblici, anche se so dove si fermano. Dovrei trovare un orario. E dovrei anche chiamare l'ufficio, però non so se sarà già arrivato qualcuno.
— Devi davvero denunciare l'accaduto, sai — dice il signor Bryce molto serio. — E poi puoi chiamare il tuo capo e informarlo…
Non conosco il numero dell'ufficio del signor Crenshaw. Penso che se lo chiamo, lui non farà altro che prendersela con me. — Lo chiamerò dopo — decido.
Dopo solo sedici minuti arriva un'auto della polizia e Danny Bryce rimane con me, invece di andare al lavoro. Io mi sento meglio con lui, qui. Dall'auto esce un uomo in calzoni avana e giacca sportiva marrone. Non ha una targhetta col nome. Il signor Bryce gli va incontro e io sento l'altro uomo chiamarlo Dan.
I due mi si avvicinano. — Lou, questo è l'agente Stacy — fa le presentazioni il signor Bryce sorridendomi. Guardo l'altro uomo. È più basso del signor Bryce, e più magro; ha capelli neri e lisci che odorano di qualcosa di oleoso e profumato.
— Mi chiamo Lou Arrendale — dico. La mia voce suona strana, come succede quando sono spaventato.
— Quando ha visto per l'ultima volta la sua macchina? — chiede l'agente.
— Alle nove e quarantasette di ieri sera — rispondo. — Lo so per certo, perché ho guardato l'orologio.
Lui digita qualcosa sul suo palmare.
— Parcheggia sempre nello stesso posto?
— Di solito sì, ma non sempre — spiego. — Il parcheggio non ha posti numerati e certe volte qualcuno si è già messo qui quando ritorno dal lavoro.
— Lei è tornato dal lavoro alle nove e quarantasette di ieri sera?
— No, signore — dico. — Sono tornato dal lavoro alle cinque e cinquantadue e poi sono andato… — Non voglio dire "a lezione di scherma". Se lui pensasse che c'è qualcosa di male nella scherma? O in me che imparo la scherma? — Sono andato a casa di amici — dico invece.
— Questi amici li visita spesso?
— Sì, tutte le settimane.
— C'erano altre persone lì?
Naturale che c'erano altre persone. Perché dovrei andare a far visita a qualcuno se lì ci fossi soltanto io? — C'erano i miei amici che vivono in quella casa — dico. — E altre persone che non abitano in quella casa.
L'agente socchiude gli occhi e lancia un'occhiata al signor Bryce. Non capisco cosa significhi quell'occhiata. — Ah… e lei conosce queste altre persone? Quelle che non abitano nella casa? C'era un ricevimento?
Troppe domande, e non so a quale rispondere per prima. "Queste altre persone…" Lui si riferisce alle persone in casa di Tom e Lucia che non erano Tom e Lucia? "Quelle che non abitano nella casa…" Ma la maggior parte della gente non abita in quella casa. Tra i miliardi di persone che ci sono al mondo soltanto due vivono in quella casa e ciò rappresenta… meno di un milionesimo dell'uno per cento.
— Non c'era un ricevimento — rispondo, perché questa era la domanda più facile.
— Io so che tu esci ogni mercoledì sera — dice il signor Bryce. — Certe volte porti uno zaino… io pensavo che andassi in palestra.
Se i poliziotti parleranno con Tom e Lucia, verranno a sapere della scherma. Devo parlarne ora. — Vado… vado a lezione di scherma — dico. Odio quando mi viene da balbettare.
— Scherma? Non ti ho mai visto con i fioretti — commenta il signor Bryce con aria piuttosto sorpresa e interessata.
— Io… io tengo il mio equipaggiamento in casa dei miei amici — spiego. — Loro sono anche i miei istruttori. Non mi va di avere le mie cose nell'automobile o in casa.
— Così… lei è andato in casa di amici a lezione di scherma — dice l'altro poliziotto. — Da quanto tempo prende queste lezioni?
— Da cinque anni.
— Così chiunque volesse danneggiare la sua macchina lo saprebbe? Saprebbe dove lei va il mercoledì sera?
— Forse sì… — Ma in realtà non lo credo. Penso che se qualcuno voleva danneggiare la mia auto, doveva sapere dove abito e non dove vado quando esco.
— Lei va d'accordo con quelle persone?
— Sì. — Questa mi pare davvero una domanda sciocca. Non avrei continuato ad andare da Tom e Lucia per cinque anni se loro non fossero persone simpatiche.
— Avrei bisogno dei loro nomi e numeri di telefono.
Glieli fornisco, benché non capisca a cosa gli servono. La mia auto è stata danneggiata qui e non a casa di Tom e Lucia.
— Probabilmente si tratta di un vandalo — dice l'agente. — Questo è un quartiere abbastanza calmo, ma dall'altra parte del fiume cose del genere succedono in continuazione. Qualche ragazzino avrà pensato di spingersi fin qui, tanto per cambiare. E magari qualcosa lo avrà spaventato prima che si desse da fare anche con altre macchine. — Si volge al signor Bryce. — Se ci saranno altri danni fammelo sapere, d'accordo?