Il sabato mattina io vado al Centro. Uno dei consulenti è a nostra disposizione dalle 8.30 alle 12.00, e una volta al mese c'è un programma speciale. Oggi non c'è programma, ma quando arrivo vedo Maxine, una consulente, andare verso il suo studio. Bailey non mi ha detto se è a lei che hanno parlato la settimana scorsa. Penso se sia il caso di parlarle, ma qualcuno entra da lei prima che io abbia potuto prendere una decisione.
I consulenti sanno come trovarci assistenza legale o un appartamento, ma non so se saranno capaci di capire il problema che dobbiamo affrontare adesso. Loro c'incoraggiano sempre a fare tutto il possibile per diventare più normali. Ora, credo, diranno che dovremmo desiderare questo nuovo trattamento anche se è troppo pericoloso da tentare mentre si trova ancora alla fase sperimentale. Una volta o l'altra io dovrò parlare con qualcuno qui, ma sono contento che un altro mi abbia preceduto. Non devo farlo per forza adesso.
Sto guardando il cartellone degli annunci con le notizie delle riunioni dei vari gruppi che si radunano al Centro quando Emmy mi si avvicina. — Bene, come va la tua ragazza?
— Io non ho una ragazza — rispondo.
— Io l'ho vista — insiste lei. — Lo sai che l'ho vista. Non dire bugie.
— Tu hai visto una mia amica — dico. — Non la mia ragazza. Un'amica può diventare la propria ragazza quando acconsente a esserlo, ma lei non ha acconsentito. — Non sono proprio onesto e questo non è bello, però io continuo a non voler parlare con Emmy di Marjory.
— Tu gliel'hai domandato? — continua lei.
— Non desidero parlare di lei con te — dico, e mi volto per andarmene.
— Perché sai che ho ragione — dice Emmy e mi gira intorno, piantandosi di nuovo di fronte a me. — Lei è una di quelle persone che si definiscono normali e ci usano come cavie. Tu stai sempre appiccicato a loro, Lou, e questo non è bene.
— Non so cosa tu voglia intendere — dico. Io vedo Marjory solo una volta alla settimana, perciò come si può dire che sto "appiccicato" a lei? Se venissi al Centro tutte le settimane e ci trovassi Emmy, questo significherebbe che sto appiccicato a lei? L'idea mi disgusta.
— Sono mesi che non partecipi a nessuno degli eventi speciali — insiste lei. — Il tuo tempo lo passi con i tuoi amici normali. - Pronuncia "normali" come una parolaccia.
Non ho partecipato a nessuno degli eventi speciali da mesi perché non m'interessano. Una conferenza su come educare i figli? Ma io non ho figli. Un ballo? La musica che vi suonerebbero non è quella che piace a me. La presentazione di un corso per ceramisti? Io non voglio confezionare oggetti di creta. Adesso che ci penso, mi rendo conto che ormai il Centro offre davvero pochissime cose che m'interessino. Fa comodo per incontrare altri autistici, ma non tutti sono come me, e trovo più persone che condividano i miei interessi : Internet o in ufficio. Cameron, Bailey, Eric, Linda… tutti andiamo al Centro per incontrarci prima di andare da qualche parte, ma è solo un'abitudine. Non abbiamo davvero bisogno del Centro tranne di tanto in tanto per parlare con i consulenti.
— Se vai in cerca di ragazze, dovresti cominciare da quelle che ti somigliano — torna alla carica Emmy.
Guardo il suo viso che porta tutti i segni fisici della collera: la pelle arrossata, gli occhi strizzati e troppo scintillanti, la bocca squadrata, i denti quasi digrignanti. Non so perché sia sempre così arrabbiata con me e non so perché le importi che io vada al Centro oppure no. Non credo comunque che lei mi somigli. Emmy non è autistica. Non conosco il suo handicap e non m'interessa.
— Non sono in cerca di ragazze — dico.
— Allora è lei che cerca te?
— Ho detto che non desidero parlare di questo con te — ripeto. Mi guardo intorno e non vedo nessuno che conosco. Pensavo che Bailey sarebbe venuto stamattina, ma può darsi che lui si sia accorto prima di me di quello che io ho capito solo oggi. Magari non è venuto perché si è reso conto di non aver bisogno del Centro. E io non voglio restar qui ad aspettare che Maxine sia libera.
Faccio per andarmene, ma Emmy ha ancora qualcosa da dire. — Dove credi di andare? — domanda. — Sei appena arrivato. Non pensare di poterti sottrarre ai tuoi problemi, Lou!
Posso sottraimi a lei, però. Non posso sfuggire al lavoro o alla dottoressa Fornum, ma posso sfuggire a Emmy. Pensando a questo sorrido, e lei si fa ancora più rossa in faccia.
— Cos'hai da sorridere?
— Sto pensando a una musica — dico. Questa è una scusa sempre plausibile. Non voglio guardare Emmy con quella faccia rossa, lucida e rabbiosa. Lei mi sta piantata davanti come volesse costringermi ad affrontarla, ma io guardo a terra. — Penso sempre a una musica quando qualcuno va in collera con me — aggiungo. Questo spesso è vero.
— Oh, sei impossibile! — lei scatta, e si allontana a passi pesanti. Mi chiedo se abbia qualche amico, perché non la vedo mai con altra gente. È triste, ma io non posso farci nulla.
Fuori tutto sembra più tranquillo, benché il Centro si trovi in una strada molto frequentata. Non ho alcun progetto. Se non passo la mattinata di sabato al Centro, non so con precisione cosa fare. Il bucato l'ho fatto, e le pulizie di fino al mio appartamento anche. I testi dicono che noi autistici non ce la caviamo bene con le incertezze e i cambiamenti di programma. Di solito queste cose non mi disturbano, ma questa mattina mi sento incerto. Mi ha disturbato tutto il parlare che Emmy ha fatto di Marjory.
Vorrei vederla adesso. Vorrei che potessimo fare qualcosa insieme, o che io potessi anche solo guardarla parlare con qualcun altro. Me ne accorgerei se le piacessi? Credo di piacerle. Tuttavia non so se le piaccio molto o un poco. Non so se le piaccio come un uomo piace a una donna o come un bambino piace a una persona adulta. Non so come fare a capirlo. Se fossi normale lo capirei, credo. Le persone normali devono capirlo, altrimenti non potrebbero mai sposarsi.
La settimana scorsa a quest'ora ero al torneo. Mi stavo divertendo. Preferirei trovarmi di nuovo lì piuttosto che qui; anche con tutto quel rumore, quell'affollamento, quegli odori. Era un posto dove mi trovavo a mio agio: qui non mi ci trovo più. Sto cambiando, credo, o piuttosto sono già cambiato.
Decido di tornare a piedi a casa, anche se è lontana. Fa più fresco adesso, e in alcuni giardini lungo la strada si vedono già sbocciare fiori autunnali. Il ritmo dei miei passi allevia la tensione e mi rende più facile ascoltare la musica che ho scelto per accompagnare la mia passeggiata. Vedo altre persone con gli auricolari: stanno ascoltando musica registrata o trasmessa. Mi chiedo se quelle senza auricolari stanno ascoltando la propria musica mentale o camminano senza musica.
Sono quasi arrivato a casa quando mi ferma un profumo di pane fresco. Trovo in una traversa una piccola panetteria e compro un filoncino di pane appena sfornato. Accanto alla panetteria c'è un fioraio la cui vetrina espone masse di fiori viola, gialli, azzurri, bronzo, rosso cupo. Quei colori trasmettono molto più che lunghezze d'onda di luce: irradiano gioia, orgoglio, tristezza, consolazione. Me ne sento quasi sopraffare.
Registro quei colori e quelle forme e porto a casa il pane annusando la sua fragranza e combinandola con i colori accanto ai quali passo. C'è una casa dietro un cortile che ha un rosaio rampicante tutto fiorito lungo la facciata: anche attraverso il cortile mi giunge il suo profumo.
È passata una settimana ormai, e né il signor Aldrin né il signor Crenshaw hanno più detto niente sul trattamento. Non ci sono giunte altre lettere. Sarebbe bello se ciò significasse che qualcosa non funziona nel progetto e che loro ci hanno rinunciato, ma non credo proprio che se ne siano dimenticati, anzi. Il signor Crenshaw sembra sempre così collerico, sia nell'aspetto che nella voce. La gente collerica non dimentica le ingiurie, perché il perdono dissolve la collera, questo era l'argomento del sermone domenicale. La mia mente non dovrebbe divagare durante il sermone, ma spesso mi annoio un poco e penso ad altre cose. La collera e il signor Crenshaw mi sembrano argomenti correlati.