Sto ancora pensando a queste cose il pomeriggio seguente, mentre mi cambio e mi dirigo a casa di Tom e Lucia per la lezione di scherma. Che qualità abbiamo noi, da cui altri potrebbero trarre profitto, a parte qualche casuale talento da fenomeno vivente? La maggior parte dei comportamenti autistici ci vengono presentati come handicap, non come capacità. Siamo asociali, manchiamo di abilità comunicativa, siamo deficitari nel controllo dell'attenzione… Non faccio che continuare a ritornare incessantemente su questo pensiero. È difficile riflettere dal punto di vista di una persona normale, ma io sento che questo problema del controllo dell'attenzione è il nucleo dello schema, come un buco nero al centro di un vortice spazio-temporale.
Sono arrivato un po' presto, ancora nessuna macchina è parcheggiata fuori. In casa, Tom e Lucia stanno ridendo di qualcosa. Nel vedermi entrare mi sorridono, contenti e rilassati. Mi chiedo come sarebbe avere sempre qualcuno in casa, qualcuno col quale ridere. Quei due non ridono sempre, ma paiono felici più spesso del contrario.
— Come stai, Lou? — chiede Tom, come al solito.
— Bene — rispondo. Vorrei chiedere a Lucia qualche chiarimento di tipo medico, ma non so se sia educato da parte mia e non so come cominciare. Trovo un altro argomento. — La settimana scorsa mi hanno tagliato le gomme della macchina.
— Oh, no! — dice Lucia. — Che disastro!
— È successo nel parcheggio del mìo palazzo — spiego. — La macchina stava al solito posto e le ruote erano tutt'e quattro a terra.
Tom fischia. — Una bella spesa — commenta. — C'è molto vandalismo nella tua zona? E hai denunciato la cosa alla polizia?
Alla prima di queste domande non so rispondere. — L'ho denunciata — dico. — Nel mio palazzo abita un poliziotto, e lui mi ha spiegato come fare.
— Bene — dice Tom.
— Il signor Crenshaw si è arrabbiato perché sono arrivato tardi al lavoro — continuo.
— Il nuovo dirigente? — chiede Tom.
— Sì. A lui non piace la nostra sezione… non gli piacciono le persone autistiche.
— Ah, probabilmente lui è… — attacca Lucia, ma Tom le lancia un'occhiata e lei non continua.
— Non capisco perché tu creda che a lui non piacciono gli autistici — dice Tom.
Mi rilasso. È tanto più facile parlare con Tom quando lui fa domande in forma indiretta. Non so perché, ma le domande sembrano meno minacciose.
— Lui dice che noi non dovremmo aver bisogno di un ambiente speciale — spiego. — Dice che costa troppo e quindi non dovremmo avere la palestra e… le altre cose. — Mi ricordo di non aver mai descritto a Tom e a Lucia le facilitazioni di cui godiamo sul lavoro.
— Ma questo… — Lucia fa una pausa, guarda Tom e poi riprende: — Questo è ridicolo. Ciò che lui pensa non ha importanza. La legge afferma che i datori di lavoro sono obbligati a fornire ai lavoratori handicappati un ambiente favorevole.
— Finché siamo produttivi come gli altri impiegati — dico. È difficile parlare di questo, mi fa paura. Sento che la gola mi si stringe e che la mia voce ha un suono aspro e meccanico. — E finché le nostre condizioni sono conformi alle categorie diagnostiche contemplate dalla legge…
— L'autismo è una condizione chiaramente più che conforme — dice Lucia. — E sono sicura che siete produttivi, o non vi avrebbero tenuti tanto a lungo.
— Lou, il signor Crenshaw minaccia forse di licenziarvi? — chiede Tom.
— No… non esattamente. Vi ho parlato di quel trattamento sperimentale. Non l'hanno più menzionato per un poco, ma adesso loro… il signor Crenshaw, la compagnia… vogliono che noi ci sottoponiamo a esso. Ci hanno spedito una lettera, in cui si diceva che gli impiegati facenti parte di un protocollo di ricerca erano immuni dai tagli di personale. Il signor Aldrin ha parlato col nostro gruppo. Dovremo tenere una riunione sabato prossimo. Io pensavo che non avrebbero potuto costringerci a sottoporci al trattamento, ma secondo il signor Aldrin il signor Crenshaw può abolire la nostra sezione e rifiutarsi di riassumerci per qualche altro lavoro perché non sappiamo far altro. Secondo lui possono far questo perché non sarebbe un licenziamento ma solo un cambiamento nella configurazione della compagnia.
Tom e Lucia sembrano ambedue molto in collera, hanno i visi contratti e la pelle lucida. Non avrei dovuto parlare di quelle cose, non era il momento adatto.
— Bastardi - commenta Lucia. Poi mi guarda e il suo viso cambia, si distende. — Lou… Lou, ascolta. Non sono arrabbiata con te. Sono arrabbiata con la gente che ti fa del male o non ti tratta bene… non con te, mai con te.
— Non avrei dovuto dirvi questo — mi scuso, ancora incerto.
— Sì che avresti dovuto — ribatte lei. — Noi siamo tuoi amici e dovremmo saperlo se qualcosa non va nella tua vita, in modo da poterti aiutare.
— Lucia ha ragione — dice Tom. — Gli amici devono aiutarsi reciprocamente. Come hai fatto tu quando ci hai aiutati a costruire le rastrelliere.
— Quelle le usiamo tutti — obietto. — Il mio lavoro invece riguarda solo me.
— Sì e no — dice Tom. — Il tuo problema è individuale, ma ha un interesse generale. Potrebbe riguardare ogni handicappato che lavori in qualsiasi altro posto. Cosa succederebbe se una ditta decidesse che una persona su una poltrona a rotelle non ha bisogno di rampe? A voi serve un legale, Lou. Non avevi detto che il Centro poteva trovarvene uno?
— Prima che arrivino gli altri, Lou, perché non ci dici qualcosa di più su questo signor Crenshaw e sui suoi piani? — chiede Lucia.
Mi accomodo sul sofà e cerco di riferire la storia più chiaramente che posso.
— Esiste un trattamento che loro… cioè qualcuno… ha usato su scimmie adulte — comincio. — Io non sapevo che le scimmie potessero essere autistiche, ma il fatto è che queste scimmie autistiche sono diventate più normali dopo aver ricevuto il trattamento. Adesso il signor Crenshaw vuole che lo facciamo anche noi.
— E voi non volete? — domanda Tom.
— Io non capisco come funzioni o in che modo possa migliorare le nostre condizioni — dico.
— Il tuo dubbio è ragionevole — approva Lucia. — Sai chi ha condotto la ricerca, Lou?
— Non ne ricordo il nome — dico. — Un mio amico mi spedì un'e-mail sull'argomento alcune settimane fa. Mi mandò un articolo e io lo lessi, ma non ne capii un gran che. Non ho studiato mai quel genere di argomenti.
— Hai ancora l'articolo? — chiede lei. — Posso domandare informazioni in proposito.
— Davvero?
— Certo. Almeno al dipartimento potranno dirmi se i ricercatori sono considerati persone affidabili o no.
— Noi avevamo avuto un'idea — dico.
— Noi chi? — domanda Tom.
— Io e le persone con le quali lavoro.
— Gli altri autistici?
— Sì. — Chiudo gli occhi un momento per calmarmi. — Il signor Aldrin ci ha invitati a mangiare una pizza. Ha bevuto birra. Ha detto che non credeva ci fosse profitto sufficiente nel curare autistici adulti… siccome oggi si curano feti e neonati, noi siamo gli ultimi in queste condizioni, almeno in questo paese. Così noi ci siamo chiesti perché erano tanto interessati a sviluppare il trattamento e cos'altro esso potesse fare. Vedete, la cosa somiglia a qualche analisi di schema che mi è capitato di fare. C'è uno schema, che però non è l'unico. Oppure si può pensare di star generando uno schema mentre in realtà se ne generano diversi altri e uno di essi può rivelarsi utile o no, a seconda del problema al quale dovrà essere applicato. — Alzo gli occhi e vedo che Tom mi sta guardando con un'espressione strana. Ha la bocca semiaperta.
Scuote la testa come scrollandola. — Quindi… voi pensate che loro abbiano in mente qualche altra applicazione, qualche scopo di cui voi siete solo un aspetto?