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— Può darsi — dico cautamente.

Tom lancia un'occhiata a Lucia che annuisce. — Può darsi davvero — dice. — Provare questo trattamento su di voi fornirebbe loro molti altri dati, e allora… Lasciatemi pensare…

— Io credo che la cosa abbia a che fare con il controllo dell'attenzione — continuo. — Tutti abbiamo modi diversi di percepire gli impulsi sensoriali e… e di stabilire le priorità dell'attenzione. — Non sono sicuro di aver usato i termini giusti, ma Lucia annuisce con vigore.

— Il controllo dell'attenzione… naturalmente. Se si potesse manipolarlo nella genesi e non con mezzi chimici, sarebbe tanto più facile sviluppare una forza-lavoro estremamente motivata.

— Nello spazio — dice Tom.

Mi sento confuso, ma Lucia annuisce di nuovo.

— Già. Per far lavorare la gente nello spazio, il grande problema è fare in modo che si concentri, che non si distragga. Gli impulsi sensoriali lassù non sono quelli ai quali noi siamo abituati, quelli scelti dalla selezione genetica. — Non so come lei faccia a capire cosa sta pensando Tom. Mi piacerebbe tanto leggere nella mente degli altri in questo modo. Lucia mi sorride. — Lou, credo che tu sia inciampato in qualcosa di grosso. Procurami quell'articolo e io mi darò da fare.

Mi sento a disagio. — Io non dovrei parlare del mio lavoro fuori del campus — dico.

— Ma non stai parlando del lavoro — rettifica lei. — Stai parlando del tuo ambiente di lavoro… è diverso.

Mi chiedo se il signor Aldrin sarebbe d'accordo.

Qualcuno bussa alla porta e smettiamo di parlare. Io sono sudato anche senza tirare di scherma. I primi ad arrivare sono Dave e Susan. Raduniamo le nostre cose e usciamo nel cortile posteriore.

Poi arriva Marjory, e mi sorride. Io di nuovo mi sento più leggero dell'aria. Don non è venuto. Suppongo sia ancora in collera con Tom e Lucia perché non si sono comportati da amici con lui.

Sto facendo un combattimento con Dave quando sento un rumore dalla strada e poi un sibilo di gomme che stridono nella corsa. Ignoro il rumore e continuo il mio attacco, ma Dave si ferma e io lo colpisco un po' duramente al petto.

— Chiedo scusa — dico.

— Non ti preoccupare — dice lui. — Pare sia successo qualcosa: non hai sentito niente?

— Sì — rispondo, e cerco di ripercorrere la sequenza dei rumori. Un tonfo, un tintinnio, uno stridore e un rombo. Cosa può essere stato?

— Meglio andare a controllare — dice Dave.

Anche gli altri sono usciti a vedere; li seguo nel cortile anteriore. Alla luce del fanale nell'angolo posso vedere qualcosa che luccica sul marciapiedi.

— È la tua macchina, Lou — dice Susan. — Il parabrezza.

Mi sento gelare.

— La scorsa settimana sono state le gomme… che giorno era, Lou?

— Giovedì — rispondo. Mi trema la voce.

— Giovedì. E adesso questo… — Tom guarda gli altri e loro lo guardano. Posso capire che tutti stanno pensando alla stessa cosa, ma non so quale sia. Tom scuote la testa. — Credo che dovremo chiamare la polizia. Odio interrompere l'allenamento, ma…

— Ti accompagno io a casa, Lou — propone Marjory. Si è avvicinata, è dietro di me. Sobbalzo nel sentire la sua voce.

Tom chiama la polizia perché, spiega, il fatto è avvenuto davanti a casa sua. Mi passa il telefono dopo un poco e una voce annoiata chiede il mio nome, indirizzo e numero telefonico, e il numero di targa della mia macchina.

Poi la voce chiede un'altra cosa, ma le parole si accavallano e non riesco a distinguerle. — Mi dispiace… — dico.

La voce ripete, più alta, separando meglio le parole. Stavolta capisco.

— Ha qualche idea su chi possa aver fatto questo?

— No — dico. — Però qualcuno mi ha tagliato le gomme la settimana scorsa.

— Oh? — Adesso la voce ha assunto un tono interessato. — Ha denunciato il fatto?

— Sì.

— Ricorda il nome dell'agente venuto a investigare?

— Ho un suo biglietto: un momento solo… — Metto giù il ricevitore e tiro fuori il portafogli. Estraggo il biglietto e leggo il nome dell'agente, Malcolm Stacy, e il numero del rapporto.

— In questo momento lui non è qui, ma metterò questo rapporto sulla sua scrivania. Ora… ci sono testimoni?

— Ho sentito il rumore, ma non ho visto nulla. Eravamo nel cortile sul retro.

— Peccato. Be', manderemo qualcuno, però ci vorrà un po' di tempo. Lei rimanga lì.

Quando l'auto di pattuglia finalmente arriva sono quasi le dieci di sera. Siamo tutti seduti in soggiorno, stanchi dell'attesa. Io mi sento in colpa, anche se non c'entro con l'incidente: non sono stato io a rompere il parabrezza e a dire agli altri di rimanere. Il poliziotto è una donna di nome Isaka, piccola, bruna e di modi molto asciutti. Penso creda che il misfatto è troppo poco importante per disturbare la polizia.

Esamina la mia automobile, le altre automobili e la strada e sospira. — Be', qualcuno le ha rotto il parabrezza e qualcuno le ha tagliato le gomme la settimana scorsa, perciò concluderei che questo è un problema suo, signor Arrendale. Deve aver fatto arrabbiare sul serio qualcuno, e probabilmente sa chi è, se solo ci pensa un poco. Com'è la sua situazione nell'ambiente di lavoro?

— Ottima — dico senza riflettere. Tom fa un gesto. — Ho un nuovo superiore, ma non credo che il signor Crenshaw vada rompendo parabrezza o tagliando gomme. — Non riesco proprio a crederlo, anche se è in collera con me.

— Oh? — dice lei, prendendo nota.

— Era irritato perché sono arrivato tardi al lavoro dopo il danno alle gomme — spiego. — Ma non credo che lui vorrebbe rompermi il parabrezza. Può sempre licenziarmi.

Lei mi guarda ma non mi chiede altro. Si rivolge invece a Tom. — Avevate un party?

— No, era sera di allenamento per un club di scherma — dice lui.

Vedo il collo della poliziotta tendersi. — Scherma? Con armi?

— È uno sport — spiega Tom, e vi è tensione anche nella sua voce. — Abbiamo avuto un torneo due settimane fa, e tra qualche settimana ce ne sarà un altro.

— Qualcuno si è mai fatto male?

— Qui mai. Abbiamo rigorose misure di sicurezza.

— Vengono le stesse persone tutte le settimane?

— Di solito sì, ma succede che qualcuno salti l'allenamento di tanto in tanto.

— E questa settimana?

— Be', Larry non è venuto… è a Chicago per affari. E non è venuto neanche Don.

— Ci sono stati problemi con i vicini? Proteste per rumori, roba del genere?

— No. — Tom si passa le mani tra i capelli. — Questo è un quartiere tranquillo e noi abbiamo un buon rapporto con i vicini. Non ci sono stati mai neppure vandalismi.

— Però il signor Arrendale ha subito due episodi di vandalismo in meno di una settimana… Questo è significativo. — La donna aspetta ma nessuno dice nulla. Infine lei si stringe nelle spalle e continua.

— Ragioniamo. Se l'auto del vandalo procedeva nella stessa direzione in cui sono parcheggiate le macchine, il guidatore avrebbe dovuto fermarsi e scendere per rompere il parabrezza. Se invece procedeva nella direzione opposta, il guidatore avrebbe potuto sporgersi e colpire il parabrezza con una mazza, diciamo, o gettarvi contro un sasso. Poi poteva ripartire prima che chiunque di voi si affacciasse sul davanti della casa.

— Capisco — dico io. Adesso che la donna ha descritto l'incidente posso anche visualizzarlo. Ma perché?

— Lei deve avere qualche idea su chi può avercela con lei — insiste la poliziotta, che sembra irritata con me.

— Non importa quanto può essere arrabbiata una persona contro qualcuno — dico — è sempre sbagliato rompere le cose. — Sto riflettendo, ma l'unica persona di mia conoscenza che se la prenda perché pratico la scherma è Emmy. Comunque Emmy non ha un'automobile e non credo sappia dove abitano Tom e Lucia. D'altra parte non credo che Emmy mi romperebbe il parabrezza. Piuttosto verrebbe in casa e parlerebbe a voce troppo alta e direbbe cose scortesi a Marjory.