— Verissimo — dice la poliziotta. — È sbagliato rompere le cose, ma la gente lo fa lo stesso. Chi è arrabbiato con lei?
Se le parlo di Emmy, questa donna combinerà guai a Emmy e lei combinerà guai a me. E poi io sono sicuro che non è stata Emmy. — Non lo so — rispondo. Sento un movimento dietro di me, quasi una pressione. Credo sia Tom, ma non ne sono certo.
— Agente, può permettere agli altri di andare? — domanda Tom.
— Oh, certo. Nessuno ha visto niente, nessuno ha sentito niente… cioè, avete sentito qualcosa, ma non avete veduto nulla… vero?
Tra mormoni di "no", "io no" e "se solo mi fossi mosso più in fretta" gli altri se ne vanno uno dopo l'altro. Rimangono Tom, Lucia e Marjory.
— Se lei è il bersaglio, e sembra proprio che lo sia, allora il vandalo sapeva che lei sarebbe stato qui stasera. Quanta gente sa che lei viene qui il mercoledì?
Emmy non sa quale giorno io dedichi alla scherma. Il signor Crenshaw non sa nemmeno che io la pratico.
— Tutti quelli che vengono ad allenarsi qui — risponde Tom per me. — Forse qualcuno che era al torneo… per Lou è stato il primo. Al tuo posto di lavoro lo sanno, Lou?
— Io non ne parlo molto — dico, ma non spiego perché. — Però non ricordo di aver detto a nessuno dove vado ad allenarmi. Ma forse ne ho parlato…
— Bene, è chiaro che dovremo appurarlo, signor Arrendale — dice l'agente. — Queste faccende possono approdare a misfatti peggiori. Lei dovrebbe stare attento. — Mi porge un foglio di carta con il suo nome e numero. — Chiami me o Stacy se le viene in mente qualcosa.
Quando l'auto della polizia se ne va, Marjory ripete: — Sarò felice di accompagnarti a casa, Lou, se vuoi.
— No, voglio andare con la mia auto — dico. — Dovrò farla riparare, e dovrò anche rimettermi in contatto con l'assicurazione. Non saranno contenti.
— Vediamo se ci sono vetri sul sedile — dice Tom, e apre lo sportello della macchina. La luce scintilla sui frammenti di vetro sparsi sul cruscotto, sul pavimento e sul coprisedile di pelle di pecora. Mi si solleva lo stomaco. La pelle doveva essere calda e soffice, e adesso avrà dentro schegge taglienti. La tolgo e la scuoto nella strada. I frammenti di vetro producono piccoli tintinnii cadendo sull'asfalto. Ma non sono sicuro che la pelle sia del tutto libera dal vetro: tra il pelo possono esserne rimasti altri frammenti come minuscoli coltelli nascosti.
— Non puoi guidare l'auto in queste condizioni, Lou — dice Marjory.
— Dovrà comunque andare a farsi mettere un parabrezza nuovo — obietta Tom. — I fari sono a posto; Lou può guidare se va piano.
— Posso almeno arrivare a casa — dico. — Guiderò con cautela. — Metto la pelle di pecora sul sedile posteriore e mi siedo al posto di guida.
A casa, più tardi, ripenso alle cose che Tom e Lucia hanno detto, facendole scorrere come un'audio nella mia mente.
— Secondo me — ha detto Tom — il tuo signor Crenshaw preferisce guardare alle tue limitazioni piuttosto che alle tue possibilità. Dovrebbe invece considerare te e la tua sezione come risorse da incrementare.
— Io non sono una risorsa, sono una persona — dico io.
— Certo, Lou, ma una grande azienda considera i suoi lavoratori come risorse o inconvenienti. Un impiegato che ha bisogno di qualcosa di diverso dagli altri può essere visto come un inconveniente… perché esige più risorse per produrre la stessa quantità di lavoro. È un modo superficiale di considerare le cose, ma è il punto di vista di molti manager.
— Vedono solo quello che non va — dico.
— Sì. Possono anche vedere quanto vali come risorsa, però quello che vogliono è solo la risorsa, senza gli inconvenienti.
— I manager veramente buoni — ha detto Lucia — sono quelli che aiutano le persone a migliorare. Se un lavoratore fa bene una parte del suo lavoro e non tanto bene un'altra parte, il manager in gamba lo aiuta a migliorare nelle aree deficitarie… ma solo fino al punto in cui ciò non danneggi le sue capacità, a causa delle quali il lavoratore è stato assunto.
— Però se un nuovo sistema di computer può far di meglio…
— Questo non importa. Vedi, Lou, una macchina o un'altra persona potrebbe magari fare quello che fai tu e forse farlo più in fretta e meglio… e allora? Tuttavia c'è una cosa che nessuno può fare meglio di te, ed è essere te.
— Ma a me cosa serve se non ho un lavoro?
— Lou, tu sei una persona… un individuo che non somiglia a nessun altro. È questo l'importante, non che tu abbia un lavoro o no.
— Io sono un autistico — dico. — Questo sono. Devo avere qualcosa… Se mi licenziano, cos'altro posso fare?
— Tanta gente perde il lavoro e poi ne trova un altro. Puoi farlo anche tu, se necessario. E se lo vorrai. Puoi scegliere il cambiamento, se vuoi, non è indispensabile che tu lo subisca. È come nella scherma: puoi essere quello che stabilisce lo schema o quello che lo segue.
Faccio scorrere quest'audio diverse volte, cercando di accordare i toni di voce alle espressioni così come le ricordo. Loro mi hanno ripetuto di trovarmi un avvocato, ma io non sono pronto a parlare con una persona che non conosco. È difficile spiegare ciò che sto pensando e ciò che è accaduto. Voglio risolvere questo problema per conto mio.
Se non fossi stato quel che sono, cosa sarei stato? Qualche volta ci ho pensato. Se avessi trovato facile capire ciò che la gente dice, avrei desiderato ascoltare di più? Avrei imparato a parlare con maggiore scioltezza? E a causa di ciò avrei potuto avere più amici, forse diventare popolare? Cerco d'immaginarmi da bambino, come un bambino normale che chiacchiera allegramente con la famiglia, gli insegnanti e i compagni. Se fossi stato quel bambino, invece di me, avrei imparato la matematica altrettanto facilmente? E le immense e complicate strutture della musica classica mi sarebbero apparse così chiare fin dalla prima audizione? Ricordo la prima volta che sentii la Toccata e Fuga in Re Minore di Bach… la gioia intensa che provai. Sarei stato in grado di fare il lavoro che faccio? E se no, quale altro lavoro sarei stato in grado di fare?
Tutti i testi che ho letto sulla mia condizione sono d'accordo su un punto, e cioè sulla permanenza dei miei handicap, come li chiamano. Gli interventi precoci possono migliorare i sintomi, ma il problema centrale rimane. Io sentivo quel problema centrale giorno dopo giorno, come se avessi nel mezzo del mio essere un grosso masso rotondo, una presenza pesante e imbarazzante che influenzava qualunque cosa facessi o cercassi di fare.
Ma se non ci fosse stata?
Non avevo letto più nulla sul mio autismo dopo essere uscito da scuola. Non ho studiato chimica, biochimica o genetica… Lavoro per un'azienda farmaceutica ma di farmaci so pochissimo. Conosco solo gli schemi, le configurazioni che scorrono attraverso il mio computer, quelle che identifico e analizzo e quelle che mi chiedono di creare.
Non so come le altre persone imparano cose nuove, ma il mio modo d'imparare funziona bene per me. Quando avevo sette anni i miei genitori mi comprarono una bicicletta e cercarono d'insegnarmi ad andarci. Volevano che prima di tutto ci sedessi sopra e pedalassi mentre loro la guidavano; solo in seguito avrei dovuto guidarla io. Io ignorai i loro consigli. Era chiaro che la guida era la cosa più importante, e la più difficile, perciò avrei dovuto imparare quella come prima cosa.
Così guidai la bicicletta intorno al cortile, imparando come il manubrio sussultava, si contorceva e sobbalzava mentre la ruota anteriore passava sull'erba e sulle pietre. Poi vi salii a cavalcioni mantenendo i piedi a terra e guidai la bicicletta intorno in quel modo, manovrando il manubrio, facendola cadere e rialzandola. Infine provai la bicicletta lungo la discesa del nostro vialetto d'ingresso, guidandola a zigzag con i piedi in aria ma pronto a fermarmi. Solo dopo di ciò provai a pedalare, e non caddi mai.