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— Così tu credi che io la capisca davvero?

— Lou, si tratta della tua mente. Pensi di capirla?

— Credo di sì, ma non sono sicuro di aver ragione.

— Anch'io credo di sì. E non ho mai conosciuto nessuno che l'abbia imparata tanto a fondo in meno di una settimana. Ti hanno mai sottoposto a un test d'intelligenza, Lou?

— Sì. — Non desidero parlarne. Mi hanno sottoposto a test di tutti i tipi, dove si trattava per lo più d'indovinare cosa volesse chi aveva inventato il test medesimo.

— E ti hanno comunicato i risultati, o li hanno comunicati solo ai tuoi genitori?

— Non li hanno comunicati nemmeno ai miei genitori — dico. — Mia madre ne fu irritata. Le dissero che non volevano deludere le sue aspettative sul mio conto. Però ci assicurarono che sarei stato in grado di prendere un diploma.

— Lou, chi ha i tuoi risultati scolastici e quelli dei tuoi test clinici? — domanda Lucia.

— Non lo so — rispondo. — Forse… le scuole della mia città? I dottori? Io non ci sono più ritornato da quando i miei genitori sono morti.

— Chiunque li abbia, tu adesso dovresti essere in grado di farteli dare. Se vuoi, naturalmente.

Altra cosa alla quale non avevo mai pensato. Le persone hanno l'abitudine di richiedere i propri attestati scolastici e le cartelle cliniche dopo che sono cresciute e se ne sono andate? Io però non so se desidero sapere esattamente cosa c'è scritto in quegli attestati. E se dicessero di me più male di quanto ricordo?

— Comunque — continua Lucia — credo di sapere qual è il testo che ti conviene leggere ora. È un po' vecchiotto, ma non contiene nessun errore, anche se le nostre conoscenze si sono ampliate molto da allora. Si intitola Funzioni del cervello, di Cego e Clinton. Io ne ho una copia, credo. — Esce dalla stanza e io cerco di pensare a tutto ciò che hanno detto lei e Tom. È troppo: la mia testa ronza di pensieri come fotoni rapidissimi che mi rimbalzano contro le pareti del cranio.

— Ecco, Lou — dice Lucia porgendomi un libro. È pesante, un grosso volume di carta con una copertina di tela. Il titolo e i nomi degli autori sono stampati in oro su un rettangolo nero sul dorso. È passato davvero molto tempo dall'ultima volta che ho visto un libro di carta. — A quest'ora probabilmente si troverà anche on-line, ma non so dove. Io lo comprai quando cominciai a studiare medicina. Dagli un'occhiata.

Apro il libro. La prima pagina è bianca. La seconda reca il titolo, gli autori: Betsy R. Cego e Malcolm R. Clinton, poi uno spazio vuoto e in fondo il nome dell'editore e una data. Ancora un'altra pagina col titolo e i nomi degli autori. Poi una pagina col titolo Prefazione. Comincio a leggere.

— Quella puoi saltarla, e anche l'introduzione — dice Lucia. — Voglio vedere se il testo vero e proprio ti è comprensibile.

Perché gli autori avrebbero dovuto mettere nel libro qualcosa che la gente può non leggere? A cosa servono la prefazione e l'introduzione? Non voglio discutere con Lucia, ma a me sembra che dovrei leggere per prime quelle parti proprio perché vengono prima. Per ora comunque sfoglio le pagine finché trovo il capitolo 1.

Non è di difficile lettura, e lo capisco bene. Quando alzo gli occhi, dopo una decina di pagine, Tom e Lucia mi stanno guardando. Mi sento arrossire. Li avevo completamente dimenticati nel leggere. Non è educato dimenticarsi della gente.

— Tutto bene, Lou? — chiede Lucia.

— Mi piace — dico.

— Splendido. Portatelo a casa e tienilo per tutto il tempo che vuoi. Per e-mail ti trasmetterò qualche altro riferimento che so che si trova on-line. Ti va?

— Grazie — dico. Vorrei continuare a leggere, ma sento da fuori uno sportello d'auto che sbatte e so che è venuto il momento di dedicarmi alla scherma.

12

Gli altri arrivano in gruppo, entro un paio di minuti. Ci trasferiamo nel cortile sul retro, facciamo gli esercizi di stiramento, poi indossiamo giubbetto e maschera e cominciamo a tirare di scherma. Tra un incontro e l'altro Marjory si siede accanto a me. Sono felice quando siede accanto a me. Mi piacerebbe toccare i suoi capelli, ma non lo faccio.

Non parliamo molto. Io non so cosa dire. Guardo Marjory battersi con Lucia: lei è più alta di Lucia, ma Lucia è più brava. Questa sera ambedue indossano giubbetti bianchi, e ben presto quello di Marjory ha piccole macchie brune dove Lucia ha toccato.

Sto ancora pensando a Marjory quando comincio a battermi con Tom. Sto seguendo gli schemi di Marjory e non quelli di Tom, che quindi subito mi uccide due volte.

— Non ti stai concentrando — mi riprende.

— Chiedo scusa — dico.

Tom sospira. — So che hai tanti pensieri, Lou, ma una delle ragioni per cui pratichiamo questo sport è proprio quella di dimenticare per un poco le nostre preoccupazioni.

— È vero. — Smetto di pensare a Marjory e mi concentro su Tom e sulla sua arma. Adesso posso distinguere il suo schema, che è lungo e complicato, e sono in grado di parare i suoi assalti. Basso, alto, alto, basso, manrovescio, basso, alto, basso, basso, manrovescio… Tom esegue un manrovescio ogni quinta posizione, variandone l'approccio. Adesso posso prepararmi per il manrovescio, girando su un tallone e poi facendo un passetto in diagonale. Attaccare in linea obliqua, diceva uno dei vecchi maestri, mai direttamente. Infine stabilisco la serie che mi piace di più e colpisco Tom in pieno.

— Ahi! — dice lui. — Pensavo di aver elaborato uno schema che non saresti riuscito a identificare…

— Esegui un manrovescio ogni quinta posizione — dico.

— Alla malora — dice Tom. — Riproviamo…

Questa volta il manrovescio arriva in nona posizione, poi in settima. Osservo che Tom lo esegue sempre in una posizione di numero dispari. Metto alla prova la mia supposizione per una serie più lunga, limitandomi ad aspettare. Ecco, infatti: nove, sette, cinque, poi di nuovo sette. Allora io rifaccio il passetto in diagonale e colpisco di nuovo.

— Non era in quinta posizione — dice lui, piuttosto a corto di fiato.

— No… ma era un numero dispari — gli spiego io.

— Non riesco a pensare abbastanza in fretta — dice Tom. — Non so battermi e pensare insieme. Tu come fai?

— Tu ti muovi, ma lo schema no — spiego. — Lo schema, quando lo vedo io, è immobile. Così è più facile tenerlo a mente, perché non si sposta.

— Non ho mai considerato la cosa da questo punto di vista — dice Tom. — E allora tu come progetti i tuoi assalti? In modo che non seguano uno schema?

— Oh, lo seguono — gli garantisco. — Ma io posso passare da uno schema a un altro… — Vedo che non mi segue e cerco di spiegarmi meglio. — Quando tu vai in macchina da qualche parte, ci sono molte strade che puoi percorrere… molti schemi tra i quali scegliere. Se ne segui uno, e una delle strade contemplate in quello schema è sbarrata, ne prendi un'altra e passi di conseguenza a uno schema diverso, no?

— Tu vedi le strade come schemi? — dice Lucia. — Io le vedo come stringhe… e passare dall'una all'altra per me è sempre complicato.

— Quanto a me, non faccio che perdermi — interviene Susan. — Se non ci fosse il trasporto pubblico non arriverei mai da nessuna parte.

— Quindi tu puoi tenere in mente diversi schemi di assalti e passare come niente dall'uno all'altro?

— Per lo più, però, io reagisco agli attacchi del mio avversario mentre ne analizzo lo schema — dico.

— Questo spiega molto sul modo in cui hai imparato quando hai incominciato a tirare di scherma — dice Lucia. Sembra felice. Non capisco perché questo la faccia sentire felice. — Nei primi incontri, non avevi tempo d'identificare gli schemi… e non avevi acquistato abbastanza abilità da batterti e pensare insieme, vero?