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— Nel cofano — rispondo. — Non l'ho toccato. Ho solo richiuso.

— La faccenda non mi piace — dice Stacy. — Qualcuno davvero non le vuol bene, signor Arrendale. Una volta passi, ma… lei non ha nessuna idea di chi potrebbe essere il vandalo?

— L'unica persona che conosca e che ce l'abbia con me è il mio capo, il signor Crenshaw — dico. — A lui sono antipatici gli autistici. Vuole che proviamo un trattamento sperimentale…

— Ci sono dunque altri autistici nel posto dove lavora?

Mi rendo conto che non può saperlo. — La nostra sezione è costituita solo da autistici — dico. — Però non credo che il signor Crenshaw farebbe una cosa del genere. Benché a lui non piaccia che noi abbiamo un permesso speciale per guidare e un parcheggio tutto per noi. Pensa che dovremmo prendere la metropolitana come tutti gli altri.

— Ehm. E tutti i vandalismi hanno preso di mira la sua macchina.

— Sì. Ma lui non sa nulla del fatto che io tiro di scherma.

— C'è altro?

Non desidero lanciare false accuse. Farlo è sbagliato; ma non voglio nemmeno che la mia macchina subisca altri danni. Mi fa perdere tempo, confonde i miei orari e poi costa denaro.

— C'è qualcuno al Centro, Emmy Sanderson, che pensa sia sbagliato da parte mia avere amici normali — dico. — Però lei non sa dove si riunisce il mio circolo di scherma. — Io non credo veramente che sia stata Emmy, tuttavia lei e il signor Crenshaw sono le uniche persone che si siano arrabbiate con me negli ultimi tempi. Ma lo schema appare sbagliato, sia per lei che per il signor Crenshaw.

— Emmy Sanderson — dice lui, ripetendo il nome. — E lei non crede che sappia dove vi radunate per tirare di scherma?

— No. — Emmy non è mia amica, comunque io non credo che abbia fatto quelle cose. Don è mio amico e io non voglio credere che le abbia fatte.

— Non è più probabile che il nostro vandalo sia qualcuno che fa parte del circolo di scherma? Lì c'è qualcuno col quale lei non va d'accordo?

Di colpo mi sento tutto sudato. — Quelli sono miei amici — dico. — Gli amici non fanno del male agli amici.

Stacy grugnisce e non capisco cosa voglia dire il suo grugnito. — Ci sono amici e amici. Mi parli delle persone che fanno parte di quel gruppo.

Gli parlo prima di Tom e Lucia e poi degli altri; lui si annota i nomi.

— Erano tutti lì in queste ultime settimane?

— Non tutti ogni settimana. — Gli dico quelli che riesco a ricordare. — E Don è passato a un altro istruttore, perché si è offeso con Tom.

— Con Tom? Non con lei?

— No. — Non so come riferire l'accaduto senza criticare degli amici, e criticare gli amici è sbagliato. — Don certe volte scherza, ma è mio amico — dico. — Si è offeso con Tom perché Tom mi ha parlato di una cosa che Don aveva fatto molto tempo fa, e Don non voleva che me la dicesse.

— Qualcosa di brutto? — chiede Stacy.

— Eravamo a un torneo — racconto. — Don venne da me dopo un incontro e mi disse cosa avevo fatto di sbagliato e Tom, il mio istruttore, gli disse di lasciarmi in pace. Don cercava di aiutarmi, ma Tom pensava che non fosse così. Tom disse che io ero stato molto più bravo di Don al suo primo torneo, Don lo sentì e andò in collera con Tom. Dopo non ha voluto più far parte del nostro gruppo.

— Ehm. Ho l'impressione che questo sia più che altro un motivo per tagliare le gomme del suo istruttore. Dovremo controllare, però. Se le viene qualche altra idea, me la comunichi. Manderò qualcuno a prendere il giocattolo: vedremo di riuscire a ricavarne qualche impronta digitale, se sarà possibile.

Dopo aver riattaccato, mi siedo e penso a Don, ma non è piacevole. Penso a Marjory, invece.

Marjory ha detto a Lucia che io le piaccio? Questa è un'altra cosa che la gente normale fa, penso. Loro sanno quando a qualcuno piace un'altra persona, e quanto; non devono avere dubbi. Fa parte della loro abilità a leggere la mente degli altri, a sapere quando uno scherza e quando fa sul serio, a sapere quando una parola è usata nel suo senso letterale e quando è usata in altri sensi. Quanto vorrei sapere con sicurezza se piaccio a Marjory. Lei mi sorride e mi parla con gentilezza: ma lo farebbe ugualmente, credo, anche se avesse per me solo un poco di simpatia. È una persona di modi gentili.

Ricordo le accuse di Emmy. Ma le allontano dalla mia mente. Marjory è mia amica, me lo ha detto, e io devo crederle se davvero le sono amico.

Accendo il ventilatore per mettere in moto le mie girandole e spirali. Ne ho bisogno: sto respirando troppo in fretta e mi sento il collo bagnato di sudore. È a causa dell'automobile, a causa del signor Crenshaw, a causa del fatto che ho dovuto chiamare la polizia. Non a causa di Marjory.

Dopo qualche minuto la funzionalità del mio cervello torna all'analisi e alla creazione di schemi. Ma non lascio tornare la mia mente a Cego e Clinton. Lavorerò per una parte dell'intervallo del pranzo onde pareggiare il tempo che mi ci è voluto per parlare col signor Stacy, ma non i due minuti e diciotto secondi che il signor Crenshaw mi ha fatto perdere.

Immerso nella bellezza e complessità degli schemi, non ne emergo per il pranzo fino alle 13.28.17.

La musica nella mia mente è il Concerto per violino n.2 di Bruch. A casa ne ho quattro interpretazioni diverse. Una risale al Ventesimo secolo ed è la più vecchia, ma è ancora la migliore.

Questa musica rende più agevole distinguere alcuni tipi di schemi piuttosto che altri. Bach ne mette in risalto la maggior parte, ma non quelli che sono… l'unica definizione che mi viene in mente è "ellittici". Le lunghe ondate di questa musica, che oscurano gli schemi a favo illuminati da Bach, mi aiutano a trovare e costruire le lunghe, asimmetriche componenti che trovano riposo nella fluidità.

È una musica oscura. Sentirla mi dà l'impressione di lunghe scie ondulanti di tenebra, come nastri nerazzurri agitati dal vento di notte, oscurando e rivelando le stelle. Ora morbida, ora più alta, ora il violino solista con l'orchestra che alita nello sfondo e ora in crescendo, col violino che naviga sull'orchestra come un nastro su una corrente d'aria.

Credo che sarebbe la musica giusta anche per leggere Cego e Clinton. Mangio in fretta e carico il timer del mio ventilatore. In questo modo gli ammiccamenti e i barbagli della luce mi faranno sapere quando sarà il momento di rimettermi al lavoro.

Cego e Clinton parlano di come il cervello elabora bordi, angoli, consistenze, colori e di come le informazioni scorrono avanti e indietro attraverso le stratificazioni del processo visivo. Io non sapevo che c'era una zona separata per l'identificazione dei visi, benché i riferimenti che gli autori citano risalgano al Ventesimo secolo. Non sapevo che l'abilità di riconoscere un oggetto visto da angolazioni diverse è fortemente deficitaria in un cieco nato che riguadagni la vista più tardi.

Molto spesso gli autori parlano di cose che mi hanno dato fastidi gravi mettendole in relazione con l'esser nati ciechi o aver subito un trauma cranico per incidenti, embolie o aneurismi. Quando la mia faccia non diventa strana come quella delle persone normali allorché provano una forte emozione, questo vuol dire che il mio cervello non riesce a elaborare i cambi di espressione?

Un lieve ronzio: il ventilatore si è messo in funzione. Chiudo gli occhi, aspetto tre secondi e li riapro. La stanza è piena di colori e movimenti, spirali e girandole sono tutte in moto, riflettendo la luce in tanti scintillii mutevoli. Metto da parte il libro e torno al lavoro. L'oscillazione regolare dei bagliori mi calma: ho sentito persone normali chiamarla caotica, ma non è vero. È invece uno schema regolare e prevedibile, e mi è costato settimane per renderlo così. Credo ci siano metodi più facili per farlo, ma io ho dovuto regolare ognuna delle parti mobili finché non si muoveva alla velocità giusta in rapporto a quella delle altre.