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Suona il telefono. Non mi piace che il telefono suoni, mi distrae da quel che sto facendo e all'altro capo ci sarà qualcuno che si aspetterà che io cominci subito a parlare. Tiro un respiro profondo. Dico: — Qui Lou Arrendale.

— Ah… parla l'agente Stacy — dice la voce. — Ascolti… abbiamo mandato qualcuno al suo appartamento. Mi ripeta di nuovo il numero di targa dell'auto.

Glielo recito.

— Uhm. Bene, avrò bisogno di parlare con lei di persona. — Segue una lunga pausa. — Io penso che lei possa essere in pericolo, signor Arrendale. Chiunque stia facendo questo non è davvero una persona perbene. Quando i nostri ragazzi hanno cercato di tirar fuori quel giocattolo, c'è stata una piccola esplosione.

— Esplosione!

— Già. Per fortuna i nostri ragazzi sono stati prudenti. La faccenda non gli piaceva, così avevano chiamato la squadra esplosivi. Ma se lei avesse preso il giocattolo, ci avrebbe rimesso un paio di dita… o la cosa avrebbe potuto esploderle in faccia.

— Vedo. — Potevo davvero vedere tutto, visualizzarlo perfettamente. Ero stato sul punto di tendere la mano e prendere il giocattolo… e se lo avessi fatto… Di colpo mi sento gelare, le mani cominciano a tremarmi.

— Dobbiamo davvero prendere questa persona. A casa del suo istruttore di scherma non c'è nessuno…

— Tom insegna all'università — dico. — Ingegneria chimica.

— Questo ci aiuta. E sua moglie?

— Lucia è medico — rispondo. — Lavora all'ospedale. Lei davvero pensa che questa persona voglia farmi del male?

— Vuole sul serio causarle dei guai — dice il poliziotto. — E il vandalismo sembra diventare sempre più violento. Lei può venire alla stazione di polizia?

— Non posso allontanarmi da qui fino a dopo il lavoro, o il signor Crenshaw si arrabbierà con me. — Se qualcuno vuole farmi del male, non voglio che altri se la prendano con me.

— Manderemo qualcuno, allora — decide il signor Stacy. — In quale edificio si trova? — Glielo dico, gli spiego da quale porta entrare e quale strada fare per arrivare al nostro parcheggio, e lui continua: — Saremo lì entro mezz'ora. Abbiamo delle impronte digitali, dovremo prendere le sue per paragonarle con le altre. Le sue impronte dovrebbero essere dappertutto nella macchina… poi ultimamente lei l'ha fatta riparare, quindi ci saranno impronte di altri. Ma se ne troviamo alcune che non risultino essere sue o degli operai che hanno lavorato all'auto… avremo qualcosa di solido su cui basarci.

Mi chiedo se devo informare il signor Aldrin o il signor Crenshaw che sta arrivando la polizia per parlarmi. Ho idea che il signor Crenshaw si arrabbierà per questo. Il signor Aldrin pare non vada in collera con tanta facilità. Chiamo il suo ufficio.

— La polizia sta venendo per parlarmi — dico. — Mi rimetterò in pari con il tempo perso.

— Lou! Cos'è successo? Che hai fatto?

— È a causa della mia macchina — dico.

Prima che possa spiegarmi meglio, lui riprende a parlare, in fretta. — Lou, non dire nulla. Ti troveremo un avvocato. Qualcuno si è fatto male?

— Non si è fatto male nessuno — dico, e lo sento tirare un sospirone.

— Bene, questo è già qualcosa.

— Quando ho aperto il cofano, non ho toccato l'oggetto.

— Quale oggetto? Di cosa stai parlando?

— Della… della cosa che qualcuno mi ha messo nella macchina. Sembrava un giocattolo, un diavoletto a molla.

— Aspetta… aspetta. Mi stai dicendo che la polizia viene a causa di qualcosa che è successo a te, qualcosa che ha fatto qualcun altro? Non qualcosa che hai fatto tu?

— Io non l'ho toccato — ripeto. Le parole che lui ha detto mi filtrano nel cervello lentamente, una dopo l'altra; l'eccitazione nella sua voce mi ha impedito di sentirle con chiarezza. In un primo tempo lui ha creduto che io avessi fatto qualcosa di brutto, qualcosa capace di far venire la polizia. Quest'uomo che ho conosciuto fin da quando ho cominciato a lavorare qui… ha creduto che io potessi aver fatto qualcosa di brutto. Mi sento scosso.

— Chiedo scusa — dice il signor Aldrin prima che io possa parlare. — Ti ho dato l'impressione… devo averti dato l'impressione… sono balzato alla conclusione che tu avessi fatto qualcosa di sbagliato. Mi dispiace. So che non faresti mai cose del genere. Però continuo a pensare che hai bisogno di un avvocato della compagnia mentre parli con la polizia.

— No — rispondo. Mi sento gelido e amaro; non voglio esser trattato come un bambino. Credevo di essere simpatico al signor Aldrin. Se invece non gli sono simpatico, allora il signor Crenshaw, che è molto peggiore, deve odiarmi sul serio. — Non voglio un avvocato, non ne ho bisogno. Non ho fatto nulla di sbagliato. Qualcuno ha vandalizzato più volte la mia auto.

— Più di una volta?

— Sì — dico. — Due settimane fa mi hanno tagliato tutt'e quattro le gomme. È stato allora che sono arrivato al lavoro tardi. Il mercoledì seguente, poi, mentre ero a casa di un amico, qualcuno mi ha fracassato il parabrezza. Anche allora ho chiamato la polizia.

— A me però non l'hai detto, Lou — mi rimprovera il signor Aldrin.

— No… pensavo che il signor Crenshaw si sarebbe irritato. Questa mattina la mia macchina non voleva mettersi in moto. La batteria era sparita e al suo posto c'era un giocattolo. Io sono venuto a lavorare e ho chiamato la polizia. Quando loro sono andati a guardare, il giocattolo aveva sotto dell'esplosivo.

— Dio mio, Lou, questo… avresti potuto restare ferito. È orribile! Hai nessuna idea su chi… ma no, naturalmente no. Ascolta, vengo subito.

Riappende prima che io possa dirgli di non venire. Adesso sono troppo eccitato per lavorare. Ho bisogno di un po' di tempo in palestra. Non c'è nessun altro. Metto la musica adatta e comincio a rimbalzare sul trampolino. La musica mi solleva, mi alleggerisce.

Quando Aldrin arriva, mi sento più disteso. Sono sudato e ho addosso l'odore del sudore, ma non sono più scosso o impaurito.

Aldrin sembra preoccupato e vuole avvicinarsi a me più di quanto io desideri. Non voglio nemmeno che lui mi tocchi. — Stai bene, Lou? — chiede. La sua mano continua ad annaspare come volesse battermi qualche colpetto sulla spalla.

— Sto bene — rispondo.

— Ne sei sicuro? Io credo davvero che dovremmo avere qui un avvocato, e forse tu dovresti andare alla clinica…

— Non mi sono fatto male — ripeto. — Sto benissimo. Non ho bisogno di farmi visitare da un dottore e non voglio un avvocato.

— Ho lasciato detto all'entrata di far venire qui la polizia — dice lui. — Ho dovuto anche riferire al signor Crenshaw. — Aggrotta la fronte. — Era in riunione. Lo avviseranno quando uscirà.

Suona il campanello della porta. Gli impiegati che lavorano in questo edificio hanno tutti la chiave magnetica: solo i visitatori adoperano il campanello. — Vado io — dice il signor Aldrin. Io non so se andare in ufficio o restare nell'atrio. Resto nell'atrio e guardo il signor Aldrin andare alla porta. L'apre e dice qualcosa all'uomo che è comparso sulla porta. Non posso distinguere se è lo stesso uomo al quale ho già parlato finché lui non si avvicina, e allora lo riconosco subito: è lui.

13

— Salve, signor Arrendale — dice lui tendendo la mano. Io tendo la mia, benché le strette di mano non mi piacciano. So che è il gesto appropriato. — C'è qui un posto dove possiamo parlare?

— Il mio ufficio — dico, e faccio strada. Non ho mai visitatori, quindi c'è una sola sedia. Vedo che il signor Stacy guarda le mie girandole, spirali e altre decorazioni. Non so cosa possa pensarne. Il signor Aldrin mormora qualcosa al signor Stacy ed esce. Io non siedo perché non è educato sedere quando le altre persone stanno in piedi; ma il signor Aldrin torna con una sedia che riconosco per una di quelle del cucinino. La mette giù nello spazio tra la mia scrivania e gli scaffali, poi va a mettersi davanti alla porta.