— Salve, Lou — dice. — Leggi?
— Salve. — Non rispondo alla sua domanda, perché lei può ben vedere che sto leggendo.
— Cosa leggi? — chiede avvicinandosi. Chiudo il libro tenendo il dito tra le pagine, così che lei possa vedere la copertina.
— Diamine, che librone! — commenta. — Non sapevo che ti piacesse leggere, Lou.
Io non capisco le regole sull'interrompere. Per me è sempre maleducazione interrompere le altre persone, mentre le altre persone non sembrano credere sia maleducato da parte loro interrompere me.
— Sì, talvolta — dico, senza distogliere gli occhi dal libro perché spero lei capisca che non voglio smettere di leggere.
— Sei in collera con me per qualche cosa? — chiede la signorina.
Adesso sono un poco in collera perché lei non vuole lasciarmi leggere in pace, ma non sarebbe gentile dirglielo.
— Di solito sei tanto amichevole e adesso hai portato quel librone così grosso: non è possibile che tu lo stia leggendo veramente…
— Sì che lo sto leggendo — dico, offeso. — Me lo ha prestato un'amica mercoledì sera.
— Ma è… sembra un libro molto difficile — ribatte lei. — Riesci davvero a capirlo?
La signorina è come la dottoressa Fornum: non crede che io sia capace di far molto.
— Sì, lo capisco — dico. — Sto leggendo in che modo le parti del cervello che elaborano la percezione visiva integrano gli impulsi discontinui per creare un'immagine stabile, come su uno schermo TV.
— Impulsi discontinui? — domanda lei. — Come quando l'immagine balla?
— In un certo senso — dico. — I ricercatori hanno identificato l'area del cervello dove l'immagine ballerina viene stabilizzata.
— Be', io non vedo l'utilità pratica della faccenda — commenta lei caricando la lavatrice. — Io sono ben contenta di lasciare che il mio organismo lavori senza bisogno che ci guardi dentro. — Misura il detersivo, lo versa, inserisce le monete e si ferma prima di spingere il tasto di avviamento. — Lou, non credo sia sano tutto questo preoccuparti di come lavora il cervello. La gente può impazzirci sopra, sai.
No che non lo sapevo. Non avrei mai pensato che sapere troppo circa il lavoro del mio cervello potesse condurmi alla pazzia. Ma non credo che questo sia vero. Però non penso che lei mi crederebbe se le dicessi che non è vero. Non desidero spiegare nulla, così apro di nuovo il libro. Lei sbuffa e sento i suoi tacchi ticchettare sul pavimento quando se ne va.
Quando ero a scuola, c'insegnavano che il cervello era come un computer, solo non altrettanto efficiente. I computer non fanno errori se sono costruiti e programmati come si deve, il cervello sì. Da ciò io trassi l'idea che tutti i cervelli, anche quelli normali e figuriamoci poi il mio, sono computer di livello inferiore.
Questo libro invece spiega che il cervello è infinitamente più complesso di qualsiasi computer, e che anche il mio cervello è normale sotto molti rispetti. La mia visione dei colorì è normale; la mia acutezza visiva è normale. Cosa non è normale? Solo una piccolezza… credo.
Il libro parla di variazioni nell'abilità a captare brevi stimoli transitori. Io ricordo i giochi al computer che mi aiutavano a udire e poi ripetere consonanti come la p e la t e la d, specialmente quando erano accompagnate da altre consonanti. Mi facevano fare anche esercizi con gli occhi, ma io ero così piccolo che non li ricordo.
Guardo i visi appaiati nell'illustrazione che valuta la discriminazione dei lineamenti sia per posizione che per tipo. A me quei visi paiono tutti uguali: posso solo distinguere (con l'aiuto del testo) che quei due hanno gli stessi occhi, lo stesso naso e la stessa bocca, solo che uno li ha come allargati, più distanti dagli altri lineamenti. Se fossero in movimento, come sul viso di una persona vera, io non distinguerei nemmeno quello. Si suppone che ciò implichi qualche deficienza nella speciale parte del cervello che sovrintende al riconoscimento dei visi.
Le persone normali sono davvero capaci di tante discriminazioni? Se è vero, non c'è da meravigliarsi che siano capaci di riconoscersi reciprocamente con tanta facilità, anche a distanza e con abiti differenti.
Questo sabato non abbiamo una riunione al campus. Vado al Centro, ma il consulente di turno è ammalato. Guardo e memorizzo il numero del Patrocinio gratuito che compare sulla bacheca, ma non desidero chiamarlo. Non so cosa ne pensino gli altri. Dopo qualche minuto torno a casa e mi rimetto a leggere il mio testo, però prima faccio pulizia nel mio appartamento e nella macchina. Decido di gettar via la vecchia pelle di pecora, perché contiene ancora minuscoli frammenti di vetro, e comprarne una nuova. Quella nuova ha un forte odore di pelle ed è più morbida di quella vecchia. Domenica vado in chiesa molto presto, onde avere più tempo per leggere.
Lunedì arriva una nota per ciascuno di noi, comunicandoci le date e le ore degli esami preliminari: ecotomografia, risonanza magnetica, visita generale, colloquio con lo psicologo, esami psicologici. La nota dice che possiamo assentarci dal lavoro per gli esami senza penalità. La cosa mi conforta, non mi piaceva l'idea di rimettere in pari tutte le ore che ci vorranno per tanti test. Il primo, la visita generale, è per lunedì pomeriggio. Andiamo tutti alla clinica. A me non piace farmi toccare dagli estranei, ma so come ci si deve comportare nelle cliniche. L'ago per cavare il sangue non fa male, però non capisco cosa c'entrino il mio sangue e l'orina col modo in cui funziona il mio cervello. Nessuno mi spiega mai niente.
Martedì ho la risonanza magnetica. Il tecnico continua a ripetermi che è indolore e che non devo aver paura quando la macchina mi farà passare nel cassone chiuso. Comunque io non ho paura, non sono claustrofobico.
Dopo il lavoro ho bisogno di fare la spesa, perché martedì scorso m'incontrai con gli altri del nostro gruppo a casa mia. So che devo fare attenzione a Don, ma non credo che lui davvero voglia farmi del male, comunque. A quest'ora probabilmente si sarà pentito di quanto ha fatto… ammesso che sia davvero lui il vandalo. E poi, questo è per me il giorno della spesa. Mi guardo intorno nel parcheggio per vedere se ci sono intrusi. Ma no, le guardie del campus sono molto efficienti.
Al supermercato mi fermo più vicino che posso a un fanale, in caso si sia fatto buio quando uscirò. Ci sono pochi clienti in giro, quindi faccio presto a esaurire la mia lista di cose da acquistare. Ho troppa roba per usare la cassa rapida, così mi accodo alla fila più breve di una cassa normale.
Quando esco è già l'imbrunire, ma non è proprio buio, e l'aria è fresca. Mi spingo davanti il carrello che sobbalza sul selciato. Arrivo alla macchina, apro lo sportello e comincio a caricare i sacchetti delle derrate con cura: cose pesanti come scatole di detersivo e barattoli sul pavimento dove non possono cadere; pane e uova sul sedile posteriore.
Sento spostarsi il carrello alle mie spalle. Mi volto e non riconosco il viso dell'uomo in giacca scura… almeno non subito, ma poi mi accorgo che è Don.
— È colpa tua. È tutta colpa tua se Tom mi ha sbattuto fuori — dice. La sua faccia è tutta contratta, con i muscoli che sporgono come nodi. I suoi occhi fanno paura, non voglio vederli e allora guardo altre parti del suo viso. — È colpa tua se Marjory mi ha scaricato. Fa schifo vedere in che modo le donne si fanno incantare da quella faccenda dell'handicap. Tu probabilmente ne hai a dozzine, tutte irretite da quell'aria indifesa che ti dai. — Alza la voce in un falsetto stridente, come se volesse imitare qualcuno. — "Povero Loù, non può farci niente" e "Povero Lou, ha bisogno di me" — dice. — I fenomeni da baraccone dovrebbero accoppiarsi con i fenomeni da baraccone, se proprio è necessario che si accoppino. La sola idea di te che te la fai con una donna normale mi fa vomitare dal disgusto.