In un lampo di chiaroveggenza capisco che Lucia sta considerando più i propri sentimenti che i miei, in questo momento. È in collera perché Don l'ha ingannata; pensa che lui l'abbia fatta passare per sciocca, e questo la ferisce profondamente. Lei è orgogliosa della sua intelligenza. Quindi vuole che lui sia punito perché l'ha sminuita… almeno nella consapevolezza che ha di se stessa.
Non è uno stato d'animo particolarmente lodevole, e io non sapevo che Lucia potesse essere così. Forse avrei dovuto capirlo, come lei pensa che avrebbe dovuto capire i lati cattivi di Don? Se le persone normali si aspettano di capire tutto gli uni degli altri, tutti i sentimenti più riposti, come fanno a sopportarlo? Non gli vengono le vertigini?
— Non puoi leggere nelle menti, Lucia — dice Marjory.
— Questo lo so! — Lucia scrolla la testa e muove le mani in piccoli gesti rigidi, agitati. — È solo che… dannazione, odio che mi facciano fare la figura della stupida, e ho l'impressione che Don abbia fatto proprio questo. — Si volge a guardarmi. — Scusami, Lou, sto facendo l'egoista adesso. Quello che importa davvero sei tu e che tu stia bene.
Vedere la sua personalità normale, quella solita, emergere dalla persona incollerita che era un momento fa è come guardare un cristallo formarsi in una soluzione soprassatura. Mi sento meglio adesso che Lucia ha riconosciuto quel che stava facendo e non ha intenzione di farlo nuovamente. Però le ci è voluto più tempo di quanto non impieghi quando analizza il comportamento degli altri. Mi chiedo se le persone normali ci mettano più tempo a guardare in se stessi e a capire cosa sta realmente accadendo di quanto ne impieghiamo noi autistici, o se almeno in questo i nostri cervelli lavorino alla stessa velocità. Mi domando se Lucia ha avuto bisogno delle parole di Marjory per rendersi capace di quell'autoanalisi.
Mi chiedo cosa pensi realmente Marjory di me. Adesso sta guardando Lucia, ma di sottecchi mi lancia qualche occhiata. Come son belli i suoi capelli… mi sorprendo ad analizzarne i colori e il modo in cui la luce li fa risplendere quando muove la testa.
Siedo sul pavimento e comincio i miei stiramenti. Dopo un poco, li cominciano anche le donne. Sono un po' irrigidito, mi ci vogliono diversi tentativi prima di potermi toccare le ginocchia con la fronte. Marjory ancora non riesce a farlo: i suoi capelli cadono in avanti sfiorandole le ginocchia, ma la sua fronte non arriva a meno di quattro dita di distanza.
Appena finito, mi alzo e vado nel ripostiglio a prendere le mie cose. Tom è fuori con Max e Simon, l'arbitro del torneo. Il cerchio dei faretti mette un cono di luce nel cortile semibuio, con forti ombre all'intorno.
— Ehi, amico — dice Max. — Come stai?
— Bene.
— Ho sentito che hai usato una mossa di scherma con Don — dice. — Avrei voluto vederla.
Non credo che Max avrebbe voluto trovarsi davvero in una situazione simile, qualunque cosa pensi ora.
— Lou, Simon stava chiedendosi se vorresti batterti con lui — interviene Tom. Sono contento che non mi abbia chiesto come sto.
— Certo — dico. — Metto la maschera.
Simon è meno alto di Tom e più magro. Porta un vecchio giubbotto da scherma imbottito, fatto come i giubbotti bianchi usati nelle competizioni formali di scherma, solo che il suo è di un verde slavato. — Grazie — dice. Poi, come se sapesse che mi stavo meravigliando del colore del suo giubbotto, aggiunge: — Mia sorella ne voleva uno verde una volta, per un costume… solo che lei s'intende più di scherma che di tingere indumenti. Quando era nuovo era molto peggio, per fortuna adesso si è stinto.
— Non ne avevo mai visto uno verde — dico.
— Non lo ha mai visto nessun altro — dice. La sua maschera è del tipo normale, bianca ma ingiallita dall'età e dall'uso. Porta guanti marrone. Io indosso la maschera.
— Con quali armi? — domando.
— Quali preferisci? — chiede lui.
Io non ho preferenze: ogni arma o combinazione di armi ha le sue particolarità.
— Provate spada e daga — suggerisce Tom. — Sarà divertente da vedere.
Prendo la mia spada e la mia daga e le manipolo finché non diventano confortevoli… quasi non le sento, e questo va bene. La spada di Simon ha un'ampia coccia a campana, ma la sua daga ha un semplice anello. Se non è molto bravo nelle parate, potrei essere in grado di toccarlo alla mano. Mi chiedo se accuserà i colpi o no. Ma è un arbitro, certo sarà onesto.
Ha una posa rilassata, con le ginocchia appena piegate, l'aria di chi ha tirato di scherma abbastanza spesso da farlo ormai agevolmente. Ci salutiamo e la sua lama vibra nell'aria quando si abbassa. Sento il mio stomaco contrarsi. Non so cosa farà ora. Prima che io possa riprendermi lui allunga una stoccata, una cosa che nel nostro gruppo non facciamo quasi mai, col braccio completamente esteso e una gamba allungata all'indietro. Io evito con una contorsione, parando con la daga e allungando a mia volta una stoccata al di sopra della sua daga… ma lui è veloce, veloce come Tom, e ha già il braccio alzato a parare. Si riprende dall'affondo così in fretta che non posso approfittare di quel breve momento di mancanza di mobilità, e mi fa un cenno con la testa mentre ritorna alla posizione di guardia. — Bella parata — dice.
Il mio stomaco si contrae ancora di più e mi rendo conto che non è paura ma eccitazione. Simon può dimostrarsi più bravo di Tom. Vincerà, ma io imparerò. Si muove di sbieco e io lo seguo. Attacca diverse altre volte, sempre molto velocemente, e io riesco a parare tutti i suoi assalti, ma non attacco a mia volta. Voglio scoprire il suo schema, che è molto variato. Ancora e ancora. Basso alto alto basso basso alto basso basso basso alto alto: anticipo la sua prossima mossa e attacco mentre lui porta di nuovo un colpo basso, e questa volta lui non riesce a parare bene e io lo colpisco appena, di striscio, alla spalla.
— Buono — dice lui facendo un passo indietro. — Eccellente. — Lancio un'occhiata a Tom, che annuisce sorridendo. Max si stringe le mani sollevate sopra la testa e sorride anche lui. Io provo un urto di nausea. Nel momento del contatto io ho visto la faccia di Don e sentito il colpo che gli ho assestato e l'ho visto afflosciarsi a terra. Scuoto la testa.
— Tutto bene? — chiede Tom. Non voglio dir nulla. Non so se desidero continuare.
— Meglio fare una pausa — dice Simon, benché ci siamo battuti solo per un paio di minuti. Mi sento sciocco: so che lo fa per me e non dovrei essere depresso, ma lo sono. Ora ritorna ancora e ancora quell'impressione sulla mia mano, l'afrore del respiro che Don esala dopo il colpo, suono e visione e impressione tutto in una volta. Parte della mia mente ricorda il libro, la discussione sulla memoria, sullo stress e sul trauma, ma per la maggior parte provo solo una gran tristezza, un'aguzza e chiusa spirale di pena, paura e rabbia unite insieme.
Batto le palpebre e lotto per rimettermi, mentre una frase musicale mi attraversa la mente: la spirale si apre e si dilegua. — Sto… bene… — dico. Mi è ancora difficile parlare, ma già mi sento meglio. Alzo la mia spada. Simon fa un passo indietro e alza la sua.
Ripetiamo il saluto. Questa volta il suo attacco è altrettanto veloce ma diverso. Non riesco a distinguere il suo schema e decido di attaccare a mia volta. La sua lama scivola attraverso la mia parata e mi tocca nella parte sinistra dell'addome. — Toccato — dico.
— Mi stai facendo faticare davvero troppo — dice Simon. Sento infatti che ha il respiro affannoso, ma ce l'ho anch'io. — Mi hai quasi colpito quattro volte.
— Ho sbagliato la parata — commento. — Era troppo debole.
— Vediamo se farai di nuovo lo stesso errore — dice lui. Saluta e questa volta io attacco per primo. Non riesco a toccarlo, e i suoi attacchi sembrano più veloci dei miei; devo parare tre o quattro volte prima di vedere un'occasione favorevole. Ma prima che io lo tocchi, lui mi colpisce alla spalla destra.