— Sì, Lou — dice Ransome.
— Non capisco in che modo il trattamento possa non cambiarci — dico. — Se renderà normali le nostre elaborazioni sensoriali, cambierà la quantità e la qualità degli stimoli registrati e cambierà le nostre percezioni e il nostro modo di elaborarle…
— Sì, ma tu… la tua personalità… rimarrà la stessa, almeno all'incirca. Ti piaceranno le stesse cose, avrai le stesse reazioni…
— E allora il cambiamento a cosa serve? — chiede Linda. — La sua voce suona irritata, ma io so che è più preoccupata che irritata. — Ci dicono che vogliono che noi cambiamo, in modo da non aver bisogno delle misure di sostegno che ci servono ora… ma se non ne avremo più bisogno, ciò significa che le nostre preferenze saranno diverse… o no?
— Io ho impiegato tanto tempo per imparare a sopportare il sovraccarico degli stimoli — dice Dale. — E se poi uno degli effetti del trattamento sarà che non riuscirò a registrare le cose che dovrei? — Il tic all'occhio sinistro è più accentuato che mai.
— Non credo che avverrà nulla di simile — risponde il dottore. — I primatologi hanno constatato solo cambiamenti positivi nell'interazione sociale.
— Io non sono un maledetto scimpanzè! — Dan sbatte la mano sul tavolo.
Il dottore sembra sbigottito. Ma perché dovrebbe sorprendersi per il fatto che Dale sia rimasto urtato? A lui piacerebbe se presumessero il suo comportamento basandosi sugli studi dei primatologi circa gli scimpanzè? O forse le persone normali fanno proprio questo, vedono se stesse come somiglianti agli altri primati? Non posso crederlo.
— Nessuno sta insinuando che tu lo sia — dice il dottore in tono di leggera disapprovazione. — C'è solo il fatto che… loro sono il miglior modello che abbiamo. E dopo il trattamento hanno dimostrato di avere personalità riconoscibili, con cambiamenti solo nelle deficienze sociali…
Una diapositiva si accende sullo schermo. — Questo è lo schema della normale attività del cervello quando sceglie una faccia conosciuta su una foto di diverse facce — spiega. Si vede il profilo grigio di un cervello con piccole macchie verdi scintillanti. Grazie alle mie letture, riconosco alcune delle localizzazioni… no, riconosco la diapositiva. È l'illustrazione 16.43.d, dal capitolo 16 Funzioni del cervello. - E questo… — La diapositiva cambia. — Questo è lo schema di attività di un cervello autistico durante il medesimo compito. — Altro profilo grigio con piccole macchie verdi scintillanti. Illustrazione 16.43.c dallo stesso capitolo.
Cerco di ricordare le didascalie del libro. Non credo che il testo dicesse che la prima diapositiva raffigurava la normale attività del cervello quando si sceglie un volto conosciuto in una foto di gruppo. Credo si trattasse invece della normale attività del cervello quando vede un volto noto. Un composito di… ecco, ora ricordo. Nove volontari maschi e sani scelti tra studenti universitari secondo un protocollo approvato dal comitato di ricerca…
È già comparsa un'altra diapositiva. Altro profilo grigio, altre macchie scintillanti, questa volta azzurre. La voce del dottore continua a ronzare. Anche questa illustrazione la riconosco. Cerco di ricordare quel che diceva il libro e insieme di ascoltare il dottore, ma non ci riesco.
Alzo la mano. Il dottore s'interrompe e domanda: — Sì, Lou?
— Non potremmo avere una copia di queste illustrazioni, per riesaminare tutto più tardi? Sono cose difficili da afferrare tutte in una volta.
Lui si acciglia. — Non credo sia una buona idea, Lou. La ricerca è brevettata e quindi molto confidenziale. Se vuoi saperne di più, puoi chiedere a me o al tuo consulente ciò che vuoi e guardare ancora le diapositive, benché non credo possano dirti molto… — fa un risolino — visto che non sei un neurologo.
— Ho letto qualcosa in materia — dico.
— Davvero? — La sua voce si fa strascicata. — Cos'hai letto, Lou?
— Alcuni libri. — All'improvviso non voglio dirgli quale libro sto leggendo, e non so perché.
— Sul cervello?
— Sì… volevo capire come funzionava prima che voi lo cambiaste con il trattamento.
— E… lo hai capito?
— È molto complicato — dico. — Come il calcolo in parallelo, solo anche peggio.
— Hai ragione, è molto complicato — dice. Pare soddisfatto. Penso sia contento che io non abbia detto di aver capito. Mi chiedo cosa direbbe se sapesse che ho riconosciuto quelle illustrazioni.
Cameron e Dale mi guardano. Anche Bailey mi lancia un'occhiata. Vorrebbero sapere cosa so. Ma il fatto è che nemmeno io so ancora bene cosa so… e cosa può significare nel presente contesto.
Smetto di pensare al libro e ascolto, cercando di memorizzare le diapositive che vanno e vengono. Certo non afferro tutto, ma credo di riuscire a registrare abbastanza dati da poterli confrontare con il libro più tardi.
Infine sulle diapositive cominciano a comparire non più profili di cervelli ma molecole. Non le riconosco, non compaiono nel testo di chimica organica; però riconosco un gruppo ossidrile qua e un gruppo amminico là.
— Questo enzima regola l'espressione genica del fattore undici della crescita neurale — dice il dottore. — Nei cervelli normali è parte di un ciclo di feedback che interagisce con i meccanismi di controllo dell'attenzione, in modo da creare un'elaborazione preferenziale di segnali socialmente importanti… questa è una delle cose che a voi autistici creano problemi.
Ha rinunciato a far finta che siamo qualcosa di diverso da casi clinici.
— Fa parte del trattamento per neonati autistici e per altri casi di sviluppo cerebrale difettoso. Il nuovo trattamento vi ha introdotto delle modifiche in modo che possa influire sulla crescita neurale di un cervello adulto.
— Così che noi possiamo fare attenzione alla gente? — chiede Linda.
— No, no… noi sappiamo che questo già lo fate. Non siamo certo come quegli idioti della metà del Ventesimo secolo che credevano che gli autistici ignorassero l'altra gente. No, vi aiuterà a badare ai segnali sociali: espressioni del viso, variazione nei toni di voce, sfumature gestuali, questo genere di cose.
— Ma le persone non devono venire addestrate… come si fa con i ciechi… a interpretare i nuovi dati?
— Naturalmente. Ecco perché il trattamento comprende anche una fase di addestramento. Incontri sociali simulati usando volti generati dal computer… — Altra diapositiva, questa volta rappresentante un gruppo di persone sedute in circolo; una parla e le altre ascoltano con attenzione. Poi un negozio di abbigliamento con qualcuno intento a parlare con una commessa. Poi un ufficio affaccendato con qualcuno che parla al telefono. Tutto ha un'aria molto normale e molto noiosa. Il dottore non mostra alcuna diapositiva di persone che partecipino a un torneo di scherma o che stiano parlando alla polizia dopo aver subito un'aggressione in un parcheggio. L'unica diapositiva con un poliziotto raffigura un agente con un sorriso fisso sulla faccia che indica qualcosa col braccio a un'altra persona con un buffo cappello e uno zaino e in mano un libro dal titolo Guida turistica.
Sono scene artificiose, tutte, e i personaggi hanno proprio l'aria di essere stati generati dal computer. Noi dunque dovremmo diventare persone normali e autentiche e loro si aspettano che impariamo a diventarlo da queste figure irreali, immaginarie, poste in situazioni artificiose, studiate. Il dottore e i suoi soci presumono di sapere in quali evenienze ci troveremo e quali problemi dovremo affrontare e quindi c'insegneranno a reagire nelle circostanze immaginate da loro. Non sanno, il dottore e i suoi soci, che io avrei avuto bisogno d'imparare a trattare con un avversario che al torneo si rifiutava di riconoscere i colpi ricevuti e con un rivale geloso che mi minacciava e voleva farmi del male, e con vari agenti di polizia che ricevevano denunce di vandalismi e attentati.