— No — dico.
— Allora forse non sai che ultimamente si sono uniti a noi molti parrocchiani provenienti da un'altra chiesa, dalla quale si sono allontanati perché c'era stato un grosso litigio.
— Un litigio in chiesa? — Mi sento contrarre lo stomaco. È sbagliatissimo litigare in chiesa.
— Queste persone erano molto irritate e avvilite quando sono venute da noi. Io sapevo che ci sarebbe voluto del tempo perché guarissero da quel trauma — continua il sacerdote. — Ho dato loro tempo. Ma loro sono ancora arrabbiati e continuano a discutere, sia con la gente della loro vecchia chiesa sia con gente della nostra congregazione.
Io cerco di orientarmi nella situazione. — Allora lei ha parlato di voler essere guariti perché loro portano discordia?
— Sì. Dovevo cercare di farglielo capire. Voglio che si rendano conto che insistere sempre nelle solite vecchie dispute non è il modo migliore per lasciare che Dio agisca nelle loro vite e porti loro la guarigione. — Il sacerdote scuote la testa, abbassa gli occhi un momento e poi torna a guardarmi. — Lou, mi sembri ancora un poco turbato. Sei sicuro di non potermi dire perché?
Non desidero parlargli adesso del trattamento, ma è peggio non dire la verità qui in chiesa che in qualunque altro luogo.
— Lei ha detto che Dio ci ama e ci accetta come siamo. Poi però ha detto che la gente dovrebbe cambiare, dovrebbe accettare la guarigione — dico. — Ma se veniamo accettati quali siamo, forse è così che dovremmo essere. Se invece dobbiamo cambiare sarebbe sbagliato essere accettati quali siamo.
Lui annuisce. Non so se questo significhi che approva il mio modo di esporre il problema o se pensa che dovremmo cambiare. — Io davvero non intendevo ferire te quando ho tirato quella freccia, Lou, e me ne dispiace. Ho sempre creduto che tu fossi una persona ben adattata e contenta entro i limiti che Dio ha posto alla tua vita.
— Non credo sia stato Dio — dico. — I miei genitori dicevano che era un incidente. Ma se è stato Dio, allora sarebbe errato cambiare, no?
Il sacerdote pare sorpreso.
Continuo: — Però tutti hanno sempre voluto che io cambiassi quanto e come potevo, che io diventassi il più normale possibile, e se questo è bene, allora non possono credere che i limiti… l'autismo… vengano da Dio. È questo che non riesco a capire. Devo sapere quale delle due ipotesi è la vera.
— Ehm… — Il sacerdote si dondola sui calcagni e per un lungo istante guarda lontano. — Non ho mai considerato la questione da questo punto di vista, Lou. In verità, se si pensa agli handicap come letteralmente mandati da Dio, allora aspettare accanto alla piscina è l'unica risposta sensata. Non si butta via qualcosa che Dio ti ha dato. Ma d'altra parte io sono d'accordo con te. Non riesco a vedere un Dio che vuole che la gente nasca con handicap.
— Quindi io dovrei desiderare di guarirne, anche se non esiste cura?
— Credo che noi dobbiamo volere quel che Dio vuole; solo che la maggior parte delle volte non sappiamo cosa sia — dice lui.
— Lei lo sa — dico.
— Solo in parte. Dio vuole che noi siamo onesti, cortesi, e che ci aiutiamo l'un l'altro. Ma se Dio voglia che cerchiamo qualsiasi benché minima possibilità di cura per i nostri mali… questo non lo so. Forse è giusto farlo solo se la cosa non ostacola il nostro progresso quali figli di Dio, suppongo. Poi ci sono mali che non è umanamente possibile curare, e allora il meglio che possiamo fare è sopportarli. Santo cielo, Lou, mi hai sottoposto un problema davvero difficile! — Mi sorride, ed è un vero sorriso che gli illumina gli occhi e tutta la faccia. — Saresti stato uno studente interessante in seminario.
— Non avrei potuto andarci — dico. — Non posso nemmeno imparare le lingue…
— Non ne sono proprio sicuro — obietta. — Rifletterò molto su quanto mi hai detto, Lou. Se vorrai riparlarne.
Ciò significa che per ora non desidera parlarne oltre. Gli dico — Buon giorno — e me ne vado.
L'autobus è in ritardo, per cui non l'ho perduto. Aspetto all'angolo della strada e ripenso alla predica. Poca gente prende il bus di domenica, così mi trovo un sedile isolato e guardo fuori gli alberi, tutti bronzo e rame nella luce autunnale. Quando ero piccolo le foglie ancora diventavano rosse e oro, ma quegli alberi sono morti e quelli che abbiamo adesso, se cambiano colore, ne assumono uno più spento.
In casa ricomincio a leggere. Vorrei finire Cego e Clinton prima di domani mattina. Sono certo che mi chiameranno per parlarmi del trattamento e chiedermi la mia decisione. Non sono pronto a prendere una decisione.
— Pete — disse una voce che Aldrin non riconobbe. — Sono John Slazik. — La mente di Aldrin diventò di gelo, il suo cuore si fermò e poi cominciò a pulsare violentemente. Era il generale a riposo John Slazik, in quel momento direttore generale della compagnia.
Aldrin ebbe un singulto, quindi ritrovò la voce. — Sì, signor Slazik. — Un istante dopo pensò che forse avrebbe dovuto dire "Sì, generale", ma ormai era tardi.
— Senti mi stavo giusto chiedendo cosa puoi dirmi a proposito del progettino di Gene Crenshaw. — La voce di Slazik era profonda, calda e liquida come un buon brandy e altrettanto potente.
Aldrin poteva sentire il calore diffonderglisi nelle vene. — Sì, signore. — Cercò di mettere ordine nei suoi pensieri. Non si era aspettato una chiamata dal direttore generale in persona. Fece, come meglio poté, una relazione che includeva la ricerca, la sezione degli autistici, la necessità di tagliare le spese, la sua preoccupazione che il piano di Crenshaw potesse avere conseguenze negative sia per la compagnia che per gli impiegati autistici medesimi.
— Vedo — disse Slazik. Aldrin trattenne il fiato. Poi Slazik continuò con la stessa voce calma e strascicata: — Mi dispiace un poco che tu non sia ricorso a me immediatamente. Va bene che sono nuovo da queste parti, però mi piacerebbe davvero molto sapere cosa bolle in pentola prima che la patata bollente mi finisca in faccia.
— Mi dispiace, signore — si scusò Aldrin. — Non lo sapevo. Stavo cercando di lavorare entro la catena di comando…
— Uhm… — Un lungo sospiro. — Be', capisco il tuo punto di vista, ma il fatto è che a volte capita… di rado ma capita… che uno cerchi di salire un gradino e rimanga col piede in aria, e allora gli conviene sapere quando è il momento di scavalcarli, i gradini. E questo era proprio il momento in cui la cosa sarebbe stata utile… a me.
— Mi dispiace, signore — ripeté Aldrin, col cuore che galoppava.
— Be', penso che dopo tutto siamo arrivati in tempo — disse Slazik. — Per lo meno la faccenda non è giunta ai media. Mi ha fatto piacere sentire che ti sei preoccupato per il benessere dei tuoi ragazzi almeno come per quello della compagnia. Spero che tu ti renda conto, Pete, che io non permetterei mai nessuna azione illegale o immorale contro i nostri impiegati o i soggetti di ricerca. Sono davvero sorpreso e dispiaciuto che uno dei miei subordinati abbia cercato di fare il fesso in questo modo. — Durante l'ultima frase la voce strascicata s'indurì e assunse il gelo dell'acciaio. Involontariamente Aldrin rabbrividì.
Poi la voce ritornò normale. — Ma questo non è problema tuo. Pete, noi ci troviamo in alto mare con quei tuoi ragazzi. Gli hanno promesso un trattamento e li hanno minacciati di licenziarli, e adesso tu devi salvare la situazione. L'ufficio legale manderà qualcuno a raddrizzare le cose, ma io desidero che tu li prepari.
— Qual è la situazione adesso, signore? — chiese Aldrin.
— È ovvio che il loro posto di lavoro non è in pericolo, se vogliono mantenerlo — disse Slazik. — Qui non si costringe nessuno a fare il volontario; non siamo nell'esercito e questo io lo capisco, anche se qualcun altro non lo capisce. Non dovranno accettare il trattamento per forza. Se però vorranno sottoporvisi, bene. A stipendio intero e senza perdita di anzianità.